Capitolo 5


Il flamen – Il chirurgo – De medicina

Arelate, a.d. VIII Id. Mai. 872 AUC

Tito Canio Rufo era un uomo arrivato.
Proveniente da una famiglia sicuramente antica ma non particolarmente ricca, si era fatto strada partendo dal basso. Accumulato un piccolo capitale nel commercio del vino, aveva poi fatto definitivamente la sua fortuna con la speculazione immobiliare: quando qualche anno prima il quartiere del porto al di là del fiume aveva cominciato ad ingrandirsi, Canio Rufo era stato tra i primi a capire la reale estensione del fenomeno e aveva investito tutto il suo patrimonio in terreni edificabili.
Quelle terre, che venivano rapidamente inglobate nella colonia, erano aumentate vertiginosamente di valore; questo aveva permesso a Canio Rufo di diventare, da modesto commerciante qual era prima, un importante speculatore immobiliare con enormi introiti che aveva poi reinvestito nel commercio all’ingrosso.
Adesso, ad appena quarantacinque anni, era stato nominato flamen mercurialis, nonché magister del collegium dei negotiatiores associato al tempio di Mercurius Lugus. Il collegium accoglieva infatti tutti i maggiori commercianti all’ingrosso di olio e vino, due dei principali prodotti di esportazione di Arelate, e Canio Rufo era uno dei suoi membri più importanti.
Al momento però non stava certo pensando a questo: la sua bella domus, nel nuovo quartiere sulla riva destra del Rhodanus, era in uno stato di totale agitazione: Fausto, il figlio minore di Tito, quattordicenne, nel pomeriggio era caduto da cavallo rompendosi malamente una gamba.
Era stato riportato a casa in barella e adesso era steso sul suo letto a lamentarsi per il dolore mentre intorno a lui si agitavano la madre, il padre, il fratello Marco e la maggior parte della servitù di casa. Finalmente si fece largo tra tutta quella confusione Caio Veturio, medico chirurgo.
– Bene Canio Rufo, adesso per favore manda tutti fuori da qui, lasciate respirare questo povero ragazzo. – Veturio era un uomo alto e magro, sulla cinquantina, con modi sbrigativi e l’atteggiamento di uno che sa esattamente che cosa si deve fare in ogni circostanza.
Nel tempo in cui il padre buttava fuori dal cubiculum tutta la folla, il medico aveva già esaminato la gamba di Fausto e si dirigeva alla porta: – Tu, – chiamò, col tono di chi è abituato a farsi obbedire, uno degli schiavi che si attardavano ancora lì fuori – corri in cucina e fatti preparare una coppa di vino con miele, e che sia ben caldo. Svelto.
Mentre il servo eseguiva l’ordine, Veturio cominciò a estrarre vari strumenti e contenitori dalla sua capsa e a disporli in bell’ordine su un tavolino vicino al letto del ragazzo ferito. Quando gli portarono la coppa, prese un po’ di polvere brunastra da una pisside d’osso e la sciolse nel vino, mescolando a lungo con una bacchetta, anch’essa d’osso.
– Ecco Fausto, – disse quindi porgendo la coppa al ragazzo e aiutandolo a bere – bevi questo, ti aiuterà a sopportare il dolore. – E, trascinando il padre fuori dal cubiculum: – Ecco, flamen, adesso lasciamolo riposare per un po’.
– Ma come, Veturio, – si stupì Canio Rufo – è tutto qui? Una pozione? Per una gamba rotta?
– No, la pozione che gli ho dato è a base di oppio, servirà solo a calmare il dolore. Aspettiamo circa mezz’ora perché faccia effetto, e poi verrà la parte più difficile. Qui, se te la senti, avrei bisogno del tuo aiuto.
– Per fare cosa? – Chiese il padre, preoccupato.
– Ho esaminato la gamba e purtroppo la frattura è scomposta. Bisogna raddrizzarla prima di fasciare e steccare, in caso contrario l’osso si risalderebbe storto e tuo figlio resterebbe storpio. – Vide il padre del ragazzo rabbrividire: – Non ti preoccupare, è un’operazione rapida e facile, anche se molto dolorosa: per questo gli ho dato l’oppio prima di effettuarla.
– D’accordo, come dobbiamo procedere? E io come posso aiutarti?
– È molto semplice: tu dovrai tenerlo saldamente dalle spalle, incastrando il cavo di un gomito sotto ciascuna ascella, mentre io tirerò la gamba per estendere la frattura e permettere all’osso di tornare al suo posto. – Il tono del medico era comprensivo: – Sul momento gli farà molto male, te lo dico perché tu sia preparato, ma devi tirare con tutte le tue forze e non permettergli di divincolarsi; sarà tutto finito in un attimo.
Andò tutto bene, come aveva previsto il chirurgo, anche se a metà dell’operazione nonostante l’oppio, o forse proprio grazie a questo, il ragazzo svenne per il dolore.
Ricomposta la frattura il medico procedette a spalmare sulla gamba un unguento preso da una pisside in terracotta. Poi applicò ai lati della tibia due stecche di legno rivestite di pelle e le legò strettamente con una complicata imbragatura di cinghie di cuoio che si allacciava da una parte sopra il ginocchio e dall’altra sotto il tallone girando intorno al piede.
– Bene, – concluse – adesso lasciamolo davvero riposare.


– Allora, Caio Veturio, dimmi onestamente qual è la situazione. – I due si erano spostati nel tablinium insieme a Marco, il figlio maggiore di Tito, e l’agitazione di Canio Rufo era un po’ diminuita.
– In due parole: abbastanza buona. – Il chirurgo era adesso completamente rilassato, terminata l’emergenza: – Sono abbastanza certo che la frattura si è ricomposta correttamente, e non essendoci lesioni esterne possiamo escludere il rischio di cancrena. L’unico pericolo è la possibilità che sia stata lesa l’arteria, e su questo non c’è molto che si possa fare: il ragazzo dovrà tenere la gamba assolutamente immobile per almeno una decina di giorni e poi, se va tutto bene, potrà riprendere ad alzarsi purché non si appoggi alla gamba malata. E per almeno altri venti giorni dovrà usare una stampella.
– Quindi tu pensi davvero che non ci sia pericolo?
– Naturalmente c’è sempre pericolo, la vita stessa è pericolosa! Ma nel caso specifico, ritengo che il rischio sia molto limitato: Fausto è giovane e robusto: se starà attento e non farà qualche sciocchezza, quella gamba sarà come nuova nel giro di poco più di un mese.
– Bene, mi tranquillizzi. Parlando d’altro, se posso chiedertelo, com’è che hai scelto questa professione? A guardarsi intorno si direbbe che tutti i medici siano greci o egiziani…
– Beh, non siamo proprio tutti greci! – Rise il medico: – Nelle legioni ne puoi trovare molti come me: io sono nato a Bibrax, nella Gallia Belgica, e ho imparato il mestiere prima come capsarius e poi come chirurgo nella Legio IIII Macedonica.
– Immagino che l’esercito offra un mucchio di opportunità a un medico per fare esperienza. – Intervenne Marco.
– Puoi ben dirlo. In trent’anni di servizio ho visto molte più ferite di quelle che un uomo dovrebbe vedere in un’intera vita. Per un chirurgo non ci può essere luogo più adatto del castrum per imparare il mestiere, anche se ti assicuro che non è mai uno spettacolo piacevole.
– Posso ben immaginarlo! – Rispose Canio Rufo facendo una smorfia: – Però a dire il vero tu sei il primo medico dell’esercito che io abbia mai incontrato; come ti dicevo, ero convinto che tutti i medici venissero dalle province orientali.
– Il motivo per cui vedi in giro pochi di noi è che l’esercito ci tratta troppo bene, per cui la maggior parte dei medici rifiuta il congedo e rimane sotto le Aquile. – Scherzò Veturio: – Però, anche se è certamente vero che i migliori chirurghi del mondo sono nelle legioni di Roma, devo dire che effettivamente i clinici più bravi sono di origine orientale. Proprio qui ad Arelate esercita ancora Iulio Hermes che è stato allievo del medico Dionysius, che a sua volta da giovane aveva studiato con il grande Celso.
– Celso? Ho già sentito il nome ma non ricordo bene…
– Aulo Cornelio Celso: – rispose il medico – è vissuto circa cent’anni fa. Ha scritto un mucchio di libri sugli argomenti più disparati: retorica, agricoltura, e tanti altri, tra cui anche la medicina. Pare che abbia raccolto tutte le conoscenze mediche della sua epoca e che i migliori medici del mondo abbiano studiato con lui e sui suoi scritti.
– Ma dimmi, – lo interrogò Marco – c’è veramente tanta differenza tra un clinico e un chirurgo? Io pensavo che la medicina fosse un’unica grande arte e che un medico fosse un medico e basta.
– No, giovanotto, ti sbagli. Non siamo più nell’epoca di Ippocrate, quando un singolo medico poteva possedere tutte le conoscenze del suo tempo. Ormai la medicina è diventata una disciplina troppo complessa, e nessuno può più imparare tutto quello che c’è da sapere.
– E quindi la soluzione sarebbe la specializzazione?
– Esattamente. Al giorno d’oggi se vuoi essere un buon medico devi saper riconoscere i tuoi limiti. Io so riparare una frattura o curare e ricucire una ferita in modo da fermare l’infezione e da evitare la cancrena, ma se un paziente ha una febbre o una tosse di petto è meglio che si faccia curare da un clinico. E poi ci sono medici specializzati nella cura delle malattie dell’occhio, altri in quelle dell’udito, dei denti e così via.
– Bene, vorrà dire che la prossima volta prima di ammalarmi mi informerò su quali sono le specialità del mio medico. – Rise Tito; e poi, tornando serio: – Dimmi piuttosto di mio figlio: di che cure avrà bisogno?
– Soprattutto riposo. Stasera ti manderò uno dei miei assistenti che lo veglierà fino a domani per controllare che non insorgano complicazioni. Non credo che si sveglierà prima di domattina, ma se dovesse farlo e avesse fame, dategli solo cibi liquidi: fai tenere del brodo in caldo in cucina, miele, al massimo un po’ di frutta, ma non molta, possibilmente cotta.
– E nei prossimi giorni?
– Per i prossimi cinque o sei giorni verrò tutte le mattine a controllare i progressi e a rifare la fasciatura, se necessario. Per due o tre giorni avrà ancora dolori molto forti; ti lascerò qualche dose di oppio, da usare se sarà necessario. Quello di cui avrà bisogno dopo è veramente solo riposo. Come ti ho detto fra una decina di giorni dovrebbe potersi alzare da letto, ma solo con una stampella, poi vedremo. E adesso – aggiunse, alzandosi in piedi – torno alla mia taberna, ci vediamo domattina. Vale.

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