Capitolo 34


Myos Hormos, Nonae Sext. 875 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
Dopo quasi tre mesi di permanenza a Myos Hormos mi sembra quasi strano sentirmi chiamare “trierarca”. Io e l’equipaggio ci abbiamo messo veramente poco a rientrare nella logica e nelle abitudini della vita civile: anche se alloggiamo al castrum siamo comunque a poca distanza dall’abitato, che per quanto non molto grande è indubbiamente una città romana, con tutte le comodità e i lussi che questo comporta.
Tutto questo naturalmente sta per finire. La Inceptio, dopo tre mesi passati in secca nel cantiere mentre veniva ripulita e riparata, è stata rimessa in mare ieri; nei prossimi giorni verranno caricate le provviste e le scorte per la seconda tratta del nostro lungo viaggio, da qui fino a Taprobane in India e poi ancora ad oriente verso la Seria.
La nostra partenza è prevista per le Idus di Sextilis, quando si riaprirà la breve stagione dei viaggi sulla rotta del lontano Oriente in corrispondenza con l’arrivo dei venti di Hippalos che dal Mare Erythræus soffiano tutti gli anni verso est. L’equipaggio si sta già preparando a dare l’addio alla relativa comodità del castrum e ai piaceri della città.
Ho appena ricevuto un invito da parte del decurio Caio Arrio Emiliano, che è una delle personalità più in vista della città e anche uno dei maggiori finanziatori privati della nostra missione. Desidera incontrare me, il pilus prior Aktis e “il giovane mathematikos” Claudio Tolomeo questo pomeriggio a casa sua. Non so per quale motivo ci voglia vedere, ma naturalmente non possiamo mancare di presentarci a lui.


– Secondo voi di cosa vorrà parlarci il decurio? – Chiese Claudio Tolomeo.
– Immagino che ci vorrà dare istruzioni per la prossima tappa del viaggio. – Rispose Dominico: – Dopotutto la rotta che dobbiamo seguire adesso è ben nota ai mercanti che commerciano con l’India, almeno fino a Taprobane e alla foce del fiume Gange.
Era l’ora settima e Dominico, Aktis e Tolomeo percorrevano le vie della città di Myos Hormos. Da quando quindici anni prima il Senato di Roma le aveva riconosciuto lo status di municipium, con tutto quello che ne consegue in termini di esenzioni fiscali, la città era cresciuta molto ma il nucleo originario aggrappato alle colline dietro al porto era ancora ben riconoscibile.
La grande domus degli Arrii Emiliani era vicina all’antico foro, abbellito ora da una nuova basilica, e i tre la raggiunsero con una breve passeggiata. Vennero accolti dall’ostiarius che li introdusse nell’enorme tablinium e li pregò di attendere l’arrivo del dominus.
I tre sedettero in attesa del padrone di casa ammirando il mosaico sul pavimento del tablinium arredato con pochi mobili, ma raffinati e costosi: armaria alle pareti di fondo, colmi di libri, codices e vari documenti, un’arca in un angolo, di legno intarsiato e con visibili diverse serrature e bande di ferro di rinforzo, certo il luogo in cui il loro ospite teneva valori e documenti riservati, e una splendida scrivania lunga più di sei cubiti con il piano rivestito in legno di citrus, un oggetto dal valore inestimabile.
Dominico stava ancora osservando gli animali rappresentati nel grande mosaico del pavimento, confrontandoli con quanto aveva visto di persona nell’ultimo anno di viaggio, quando finalmente arrivò Caio Arrio Emiliano: un uomo non molto alto sulla trentina, dall’espressione intelligente e con una curiosa barbetta nera a punta che gli dava un’aria più da siriaco che da romano: – Vedo che stai guardando il mosaico del mio bisnonno, trierarca, cosa ne pensi?
Vale, Arrio Emiliano, trovo che sia molto bello, e anche incredibilmente realistico. Ma, – aggiunse – se mi perdoni la curiosità, è stato veramente realizzato per il tuo bisnonno? Pensavo che la tua famiglia venisse da Roma.
– Sì, entrambe le affermazioni sono vere. Quelle due navi che vedi rappresentate vicino al punto in cui è seduto il pilus prior sono state alla base della ricchezza della mia famiglia: appartenevano a Hiram di Arsinoe, il nonno paterno di mia madre. Ma la famiglia di mio padre viene da Roma dove suo padre, il mio nonno di cui io porto il nome, è stato il primo a praticare l’imprimitura su scala commerciale.
– Ah, mi sembrava di aver riconosciuto il nome, – intervenne Tolomeo – quindi è la tua famiglia che fornisce al Museo lo scinzi per merito del quale abbiamo tanto ampliato la biblioteca negli ultimi cinquant’anni.
– Esattamente, Claudio Tolomeo, anche se quel ramo dell’azienda di famiglia è gestita da mio cugino, il senatore Lucio Arrio Emiliano, dalla sua villa nella campagna di Pistoriae. Piuttosto, – aggiunse, passando direttamente agli affari – so che nel vostro viaggio avete visto animali ben più strani di questi; ho letto con grande interesse i vostri rapporti: il diario di viaggio del trierarca – indicò con un cenno del capo nella direzione di Dominico – le annotazioni e le mappe del nostro amico geografo – indicando Tolomeo – e la relazione del vostro physiologo sulle piante e animali finora sconosciuti che avete avuto occasione di incontrare. Naturalmente – aggiunse per prevenire l’obiezione – copia di tutti i documenti è già stata inviata ad Alexandria e da lì a Roma e ad Olisipo.
– Quindi pensi che le nostre osservazioni potranno tornare utili?
– Certamente, Tiberio Dominico! Solo le possibilità commerciali aperte dal contatto con i bubi dell’isola di Bioko e la scoperta di Oceanica valgono ciascuna l’intero costo della vostra spedizione. Ma ci pensi? Un’isola più grande dell’intera Italia, completamente disabitata, dal terreno fertile e dal clima mite. E si trova a meno di tremila miglia da qui! Se Roma decidesse di dedurre là una colonia potrebbe essere la base per lo sfruttamento di tutte quelle terre vergini che avete trovato al sud.
– Bene, – Aktis, sempre abbastanza taciturno, intervenne per la prima volta nella conversazione – speriamo quindi che il resto del viaggio ci riservi scoperte altrettanto utili.
– Ah, ecco, temo di dover essere portatore di cattive notizie. – gli rispose Arrio Emiliano imbarazzato: – Naturalmente non avete ancora potuto saperlo, ma ho appena ricevuto da Alexandria notizie della Viatrix…
– Cattive notizie? – Gli fece eco Dominico preoccupato.
– Pessime. Parte dell’equipaggio ha tentato un ammutinamento alle Idus di September dello scorso anno, e durante lo scontro la nave è naufragata sulle scogliere di una costa nell’estremo nord. Clearco è stato assassinato dai rivoltosi, e più di metà dell’equipaggio è morto nel naufragio o nei mesi seguenti cercando di ritornare alla civiltà.
– Terribile…
– Sì. I superstiti sono riusciti a ritornare in Germania Inferior solo all’inizio di Iunius e, naturalmente, il resoconto del disastro della spedizione boreale mi è stato immediatamente inoltrato tramite corriere militare nella speranza che riuscisse a raggiungervi prima della vostra partenza per l’India. Vedi, trierarca, in seguito alle notizie della Viatrix la vostra spedizione è stata annullata.
– Annullata? Ma perché…
– Diciamo “sospesa a tempo indeterminato”, se preferisci. Devi sapere che al di là dell’ammutinamento che ha causato in ultima analisi il disastro, l’opinione del geografo della Viatrix, un certo Filippo che credo il qui presente Claudio Tolomeo abbia conosciuto, è che sia impossibile arrivare dalla Germania alla Seria passando da nord, almeno non con una nave attrezzata come la vostra.
– Sì, – intervenne Tolomeo – conosco bene Filippo, o Peregrino come lo chiamiamo ad Alexandria, e lo reputo un bravo geografo e una persona di buon senso. Sai dirmi per caso in base a quali fatti si è costituito questa opinione? Prima della partenza avevamo discusso della cosa io e lui, ed eravamo concordi sul fatto che il passaggio da nord avesse molte più probabilità di riuscita di quello da sud.
– Evidentemente nel frattempo ha cambiato idea. Ti farò avere una copia del suo resoconto ma, in sintesi, il problema si riduce al fatto che a nord fa freddo. Molto freddo.
– Questo lo sapevamo anche prima di partire, è una cosa che qualunque geografo sa bene.
– Sì, ma quello che non sapevate, e non potevate sapere senza che qualcuno andasse a vedere di persona, è quanto a nord si estendano le terre oltre Scatinavia e la Germania e quanto siano estese da est a ovest. Peregrino dice che hanno dovuto passare l’inverno in una terra in cui nevica sei mesi all’anno e in cui durante l’inverno il mare congela per mesi interi e il sole non sorge per diversi giorni consecutivi.
– Ha scritto davvero questo? Se l’avesse detto chiunque altro penserei che fosse una parodia del resoconto di Pytheas sul suo viaggio attraverso Oceano.
– L’ha scritto, Claudio Tolomeo. E secondo le informazioni che ha raccolto tra gli hyperborei queste terre gelide si estenderebbero per molte migliaia di miglia, spingendosi persino più a nord di dove sono arrivati loro.
– In tal caso posso capire il suo punto di vista: un viaggio così lungo, lungo terre fredde e desolate dove probabilmente non è possibile procurarsi cibo, con l’equipaggio esposto al gelo… Probabilmente ha ragione lui, è un viaggio impossibile per una nave come la Inceptio o la Viatrix.
– È proprio quello che hanno pensato i tuoi colleghi di Alexandria quando il resoconto di Filippo è arrivato al Museo. Ma se il viaggio è impossibile procedendo da occidente verso oriente, sarà altrettanto impossibile il percorso inverso. – Concluse Arrio Emiliano: – Abbiamo già perso la Viatrix e la maggior parte del suo equipaggio, io e i miei soci non vogliamo perdere anche voi!
– Ma la rotta fino all’India e la Seria è sicura! – Provò ad obiettare Dominico.
– Certamente. Ed è anche già ben nota e trafficata, almeno nella sua prima tratta, e quindi non richiede in realtà una missione di esplorazione. Come dicevo prima, la missione è sospesa a tempo indeterminato: nei prossimi anni verrà probabilmente progettata una nuova spedizione che tenga conto dei problemi incontrati dalla Viatrix nel nord; probabilmente sarà necessario costituire degli insediamenti permanenti nelle terre degli hyperborei come appoggio per una piccola flotta che avanzi lentamente, passo per passo, ad esplorare quella costa. Non lo so esattamente, è tutto ancora da decidere e ci vorranno molto tempo e denaro anche solo per cominciare.
– E quindi noi adesso cosa facciamo? – Chiese Dominico con aria sconsolata. In meno di mezz’ora aveva visto sbriciolarsi quello che ormai considerava il suo mondo: era già pronto a ripartire verso l’ignoto con la sua nave tra pochi giorni, ed improvvisamente quest’uomo gli stava dicendo che poteva tornarsene a casa, grazie mille.
– Questo sta a voi deciderlo, trierarca. Mi dicono che la Inceptio è pronta a ripartire: è una nave da esplorazione, non una oneraria, sarebbe sciocco impiegarla su una rotta ben nota come quella di Taprobane! Tu e il tuo equipaggio siete sciolti dai precedenti impegni, se volete potete tornarvene alle vostre case; ma se invece volete continuare ad esplorare, le coste che avete visitato nell’anno appena trascorso circondano una terra grande altrettanto o forse più grande ancora dell’intera ecumene, almeno stando a quanto ha riportato Claudio Tolomeo; la nave è pronta, se vuoi un equipaggio sono sicuro che te lo possiamo trovare; se ti interessa puoi ripartire quando vuoi per esplorare Oceanica, le terre d’Africa o tutte le isole conosciute o sconosciute di fianco alle quali siete passati senza magari neanche vederle.
A queste parole il volto di Iacopo Tiberio Dominico tornò ad illuminarsi: “Per esplorare strane nuove terre, alla ricerca di nuovi popoli e nuove civiltà, fino ad arrivare là dove nessun romano era mai giunto prima.”.
Certo che era pronto a ripartire, anche oggi stesso. Dopotutto, pensò Dominico, il mondo era davvero abbastanza grande.

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