Capitolo 5


Hispania

E così mi trovo in una luminosa mattina del mese di Martius dell’anno 874 ab urbe condita al porto di Olisipo, ad ammirare le due navi che ci porteranno a viaggiare fino ai confini del mondo.
È impossibile descrivere adeguatamente quelle navi a chi non le abbia viste di persona, perché sono davvero uniche: la grazia e l’agilità di una trireme che si sposano con la maestosità e l’imponenza di una navis oneraria. Da lontano sembra di vedere uno strano animale che striscia sulla superficie del mare, con centinaia di lunghe zampe come un millepiedi e con le bianche vele spiegate come ali attaccate ai pennoni. Ma poi, avvicinandoti, cominci a renderti conto che quelle zampe sono in realtà remi lunghi dieci piedi e che le vele sono più immense delle ali del più grande uccello che abbia mai solcato i cieli.
E poi vedi la prua.
La prua, con il suo rostro di bronzo lungo quattro piedi, come il becco di un enorme uccello da preda pronto a colpire, l’immagine della tutela scolpita in legno e gli occhi dipinti sulle fiancate che sembrano guardarti e valutarti mentre ti avvicini… La vista della prua della nave ti convince che dopo tutto la prima impressione era corretta: la nave è davvero qualcosa di vivo, un grande predatore pronto a solcare la superficie del mare e ad allargare le sue ali librandosi in cielo.
E questa immensa creatura del mare brulica di umanità. Mentre si avvicina il momento di sciogliere gli ormeggi e iniziare un viaggio che promette di essere più lungo e avventuroso della spedizione di Giasone sulla pentecontere Argo, più di duecentosettanta persone si preparano alla partenza: i remiges ai banchi di voga, i marinai dell’equipaggio impegnati nei loro misteriosi preparativi alle vele, al timone e alle ancore, gli scaricatori e i facchini che trasportano attrezzature e provviste nella stiva, e i rimanenti milites che non sanno dove stare per non trovarsi tra i piedi di tutti gli altri.


È giunto il momento di parlare di quell’equipaggio i cui membri saranno i miei compagni di viaggio per i prossimi mesi o anni. Non posso naturalmente nominarli tutti uno per uno, ma cercherò di farvene conoscere almeno i componenti più notevoli e, con il privilegio del senno di poi che è prerogativa di chiunque come me racconti a posteriori fatti già avvenuti, quelli che avranno un ruolo più significativo nei fatti successivi.
L’equipaggio di una nave, come del resto anche la truppa di una legione, ha una sua gerarchia interna fatta di potere e di responsabilità, di privilegi e di rango. In un certo senso questa può essere rappresentata con l’immagine di una scala, con ai gradini più alti i personaggi più importanti e ai suoi piedi gli elementi più insignificanti.
Cominciamo naturalmente dal trierarca Clearco che, a dispetto del suo nome, è di origine ateniese. Fisicamente è una figura imponente: alto sei piedi e muscoloso senza essere massiccio, con i capelli scuri sempre tagliati cortissimi e il perfetto profilo greco; quando si mostra alla truppa dall’alto del cassero di poppa in armatura completa, lorica, elmo e paludamentum, sembra di vedere Themistocles alla battaglia di Salamina, ma senza la barba.
Poiché agli ordini del trierarca c’è una singola cohors formata da sole tre centuriae non c’è bisogno di un tribunus e quindi il trierarca assume di fatto anche questo ruolo, ed è quindi a lui che rispondono sia l’equipaggio propriamente detto, gubernator e marinai, sia i centurioni e i loro milites.
Il fatto stesso che a soli quarantadue anni gli sia stato affidato il comando di una nave per una spedizione così importante testimonia della sua competenza come navigatore e, quando era più giovane, come gubernator.
Purtroppo alle sue indubbie capacità si affianca un carattere insopportabile. Arrogante e irascibile, Clearco non è certo il tipo di comandante che sa farsi amare dai suoi uomini, e quindi non gli resta che appartenere alla seconda categoria, quella degli ufficiali che si fanno temere e odiare. Possiamo almeno ritenerci fortunati del fatto che non ce ne è toccato in sorte uno del terzo tipo: gli incapaci che si fanno disprezzare.
Il problema di Clearco sta nel fatto che non è capace di delegare le responsabilità ai suoi sottoposti, né di chiedere, o accettare, una critica o un consiglio. È il tipo di persona che ragiona a fondo prima di prendere una decisione, ma anche se questa dovesse risultare sbagliata nemmeno entrambi i consoli di Roma riuscirebbero a convincerlo a cambiarla.
Scendendo di un gradino nell’immaginaria scala degli ufficiali della Viatrix, troviamo il gubernator Bithus, proveniente dalla Moesia Inferior. Sebbene non sia altrettanto alto del trierarca, le spalle larghe e il collo taurino fanno immediatamente capire che non si tratta di una persona con cui convenga venire alle mani. Con i suoi vent’anni di esperienza nella Classis Moesica, la flotta fluviale che pattuglia il basso corso del Danuvius, è senza alcun dubbio assolutamente competente per il suo ruolo: in quanto gubernator non solo è direttamente responsabile del timone e della rotta della nave, ma ha anche ai suoi ordini i marinai addetti alle vele, alle ancore e allo scandaglio. Se la parola del trierarca è definitiva per quanto riguarda cosa si deve fare in mare, è il gubernator che decide come farlo.
Al terzo posto troviamo Quinto Flavio, il pilus prior della cohors dei remiges. Comanda direttamente la prima centuria e funge da collegamento tra il trierarca e gli altri due centurioni. Quinto Flavio è un vero romano, nato a Roma da una famiglia plebea ma antica e benestante, un uomo solido con la corporatura e il portamento di chi è nato per combattere; ha fatto carriera nelle legioni e, con questo incarico, è probabilmente a un passo dall’ottenere l’ammissione all’ordo equestris. Se terminerà con onore questa difficile e pericolosa missione è probabile che venga promosso a praefectus castrorum di una guarnigione permanente.
Il pilus prior è centurione della prima centuria, coadiuvato dal suo optio Marco Varo, un brav’uomo, fin troppo tranquillo e gentile per un ruolo da ufficiale sotto il comando di Clearco. Le altre due centuriae sono anch’esse sotto la responsabilità di Quinto Flavio, tramite i loro centurioni e i loro optiones: Caio Segimondo, originario della Germania Inferior, comanda la seconda centuria e Marco Atilio la terza.
A questi vanno aggiunti i signiferi, uno per centuria, responsabili delle insegne ufficiali e quindi della trasmissione ai milites degli ordini. Durante una battaglia o in uno schieramento di marcia, quando non è possibile udire direttamente la voce del comandante per via del rumore o della distanza eccessiva, è il signifer che comunica alla truppa gli ordini del centurione mediante i movimenti del suo stendardo. A bordo di una nave i signiferi sono utili più o meno come una terza ruota per una quadriga ma hanno un rango troppo elevato per essere messi a fare lavori pesanti. Quindi finché siamo a bordo passano il loro tempo a giocare a dadi sotto il castello di poppa.
Sempre scendendo la nostra scala immaginaria troviamo adesso gli immunes, gli specialisti addetti a vari compiti specifici che, pur essendo tecnicamente dei semplici milites, godono di una paga maggiorata e sono esentati dai lavori pesanti come remare o allestire le fortificazioni del castrum. Tra questi ci sono il magister fabrum Caio Sertorio e i quattro carpentieri ai suoi ordini, che hanno la responsabilità degli armamenti e delle eventuali riparazioni necessarie alla nave, il medico Dionyso, due chirurghi e tre capsarii che, tra tutti loro, cercheranno di mantenere vivi e in buona salute noi poveri mortali, tre cuochi e infine il tibicen, che col suono del suo flauto segna il ritmo della vogata ai remiges.
Sotto gli immunes ci sono i milites i quali, essendo su una nave, hanno prevalentemente il compito di remare. Anche tra questi remiges ci sono però differenze di rango, a seconda di quale posizione occupano nei banchi di voga.
Al di sopra degli altri ci sono quelli della prima centuria che occupano i banchi dei thranitai, in alto e all’aria aperta. È senza dubbio la posizione più comoda, ma implica anche una maggiore responsabilità in quanto sono gli unici a vedere l’acqua e i remi e quindi sono loro che devono aggiustare il ritmo di vogata per non intralciare i loro compagni. Di fianco a loro e un po’ più in basso siedono gli zygioidella seconda centuria che, pur essendo seduti all’interno dello scafo, riescono almeno a tenere la testa all’aperto, a differenza dei loro più sfortunati compagni della terza centuria, i thalamioi, che si trovano praticamente nella stiva: tutto quello che un thalamios può vedere è il suo remo, oltre al sedere dello zygios al di sopra di lui. Magari quello che dice Aristophanes nella sua commedia, sugli zygioi che cagano in testa ai thalamioi, è un’esagerazione, ma sicuramente stare là sotto, quasi sul fondo della stiva, con il tanfo dell’acqua putrida che si raccoglie nella sentina… beh, non è proprio una bella esperienza.
Potreste quindi pensare che questi siano gli ultimi degli ultimi, ma a mantenere alto il loro morale ci sono io che, non essendo un miles, ai loro occhi conto meno di niente. Per fortuna ho quattro assistenti sotto di me, e questi sono veramente ai piedi della scala. Il nostro compito è fondamentale ai fini della missione: cartografare i territori che esploriamo e prendere nota di tutti i luoghi interessanti, possibili approdi o eventuali pericoli, in modo da lasciare a chi ci seguirà un periplus dettagliato per rendere i futuri viaggi più agevoli e meno pericolosi. Forse potreste pensare che questo ci ponga in una posizione di privilegio o anche solo di rispetto nei confronti del resto dell’equipaggio, ma in tal caso sbagliereste di grosso: agli occhi dell’ultimo dei milites noi siamo semplicemente dei civili, gente che non vale neanche la pena di prendere in considerazione.


Tutto il carico è nelle stive e gli equipaggi sono a bordo delle navi: il momento della partenza è finalmente arrivato.
Qui, pronti a partire, sotto gli occhi di migliaia di spettatori, sembra quasi di essere gli equipaggi di due quadrigae nel circo, pronte a scattare e a rincorrersi per aggiudicarsi il premio che spetta al vincitore della corsa. D’altra parte questo circo è senz’altro immenso, degno veramente del più grande spettacolo del mondo. Invece di percorrere sei volte il circuito intorno a una spina lunga poche centinaia di passi, dovremo fare un solo giro. Ma che giro! L’intero orbis sarà il nostro circo e l’ecumene e la Seria le nostre metae.
Questa immagine mi balzò viva agli occhi e, purtroppo, mancai l’occasione di coglierne il presagio: non avrei mai potuto immaginare con quanta intensità il nostro trierarca Clearco sentisse questo viaggio come una sfida, una gara da vincere a tutti i costi. Lui, l’aristocratico ateniese, contro il plebeo romano Dominico; se l’avessi intuito avrei saputo in seguito comportarmi diversamente? Avrei potuto fare qualcosa, io, per modificare il destino che ci attendeva? È questa una domanda a cui a tutt’oggi non sono in grado di dare una risposta.
È il proconsole Tito Sempronio Rufo in persona a dare il segnale di partenza: in piedi su un podio eretto per l’occasione all’estremità del molo, dove le concave navi quasi scalpitano come quadriglie di cavalli pronti a lanciarsi fuori dai carceres. Sono così immedesimato nel paragone con il circo che mi aspetto quasi di vederlo lasciar cadere la mappa e invece, si limita a pronunciare un breve discorso che termina con l’esortazione a partire: – Ite. – E noi andiamo.
I tibicines di entrambe le navi cominciano a soffiare nelle tibiae e trecentoquaranta remi battono contemporaneamente la superficie dell’acqua. Dapprima lentamente e poi sempre più veloci, la Viatrix e la Inceptio si muovono nelle calme acque del porto di Olisipo e verso il canale che conduce a Oceano, in mezzo alle acclamazioni degli spettatori.
Il viaggio è cominciato.

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Chaos Legion wants you!