Capitolo 10


L’indiano

Roma, a.d. XI Kal. Iun. 810 AUC

– Scusami, domina, se ti disturbo, – disse Marco, l’ostiarius, entrando nel tablinium – ma è appena arrivato dal porto di Ostia uno straniero che ha portato questo.
Mamilia Lydia prese dalle mani dello schiavo l’oggetto, che risultò essere una brevissima lettera scritta su una tavoletta doppia, legata e sigillata con cera. Lydia riconobbe il sigillo di Hiram, lo ruppe e lesse il contenuto:

Myos Hormos, a.d. III Id. Mart. 209 AUC

Hiram di Arsinoe a Mamilia Lydia S.V.B.E.E.V.
Il latore della presente è quel Ramaswami di Nikam di cui ti parlai nella mia lettera dell’anno passato.
Come d’accordo, gli ho promesso a nome tuo che se, come sostiene, è in possesso di informazioni utili alla realizzazione del tuo progetto, sarà congruamente ricompensato per i suoi servigi.
Vale.

– Grazie Marco, conduci pure qui lo straniero.
Ramaswami risultò essere un ometto alto a malapena cinque piedi, magro e con una gran testa a forma di pera capovolta. La sua caratteristica più notevole era comunque il colorito della pelle che, pur non essendo scura come quella di un etiope, era di un bruno molto più carico di quella di un egiziano o di un siriano.
La sua lingua nativa era totalmente sconosciuta a Lydia, ma riuscirono a capirsi abbastanza facilmente in quanto Ramaswami, sebbene conoscesse solo poche parole di latino, parlava un greco discreto e un persiano terribile ma comprensibile: – Sì kyria, il tuo amico Hiram di Arsinoe mi ha parlato del tuo interesse nella fabbricazione dello scinzi. Ti posso assicurare che so praticamente tutto quello che si può sapere sull’argomento.
– È un’affermazione un po’ forte la tua, non ti pare? – Rise Lydia: – Come puoi affermare di saperne tutto? Non potrebbero esserci nel vasto mondo altre persone che ne sanno più di te?
– Difficile, kyria, – rispose Ramaswami risentito – visto che ho lavorato per diciotto lunghi anni nell’officina di Tsai Yong, che è colui che ha inventato la parola scinzi – Ramaswami in realtà pronunciava questa parola all’incirca come “scin-szì” – per indicare il nuovo materiale da lui creato perfezionando le antiche tecniche tradizionalmente utilizzate per produrre lo .
– Hai ragione Ramaswami, ti chiedo di perdonarmi per aver dubitato delle tue parole; – si scusò Lydia – ma spiegami per favore, che differenza c’è tra lo scinzi e questo di cui tu parli?
– È la stessa differenza che passa tra il giorno e la notte: – riprese Ramaswami con il suo tono ampolloso – lo è un materiale rozzo, grezzo, buono al massimo per avvolgere il pesce al mercato, mentre lo scinzi è più fine e delicato della migliore ceramica, più liscio e chiaro del miglior papiro o pergamena. Quando la sua produzione sarà più diffusa, diventerà certamente il materiale preferito dagli artisti per creare i loro capolavori e dai poeti per scrivere i loro versi!
– Perché dici: “Quando sarà più diffusa”? – Chiese ancora Lydia: – Pensavo che lo scinzi fosse ampiamente diffuso in Seria.
– No, kyria, non ancora. – Rispose Ramaswami: – Si tratta di un procedimento nuovo, inventato come ti ho detto dal mio ex padrone Tsai Yong, e per il momento questo materiale viene prodotto solo dalla sua bottega. In tutte le terre degli Han, quella che tu chiami Seria, eravamo solo in quattro a sapere come si produce lo scinzi: Tsai Yong, suo figlio Lun, che è ancora un bambino, io e un altro schiavo che lavoravamo al macero e alla pressa. Adesso che io sono riuscito a fuggire, presumo che siano rimasti solo in tre, a meno che Tsai Yong nel frattempo non abbia trovato qualcun altro per sostituirmi.
E quindi, – Pensò Lydia – sei l’unica persona in tutto il mondo romano a sapere queste cose. Questa è un’informazione molto interessante e potrebbe rendere ancora più importanti le tue conoscenze. – E ad alta voce aggiunse: – Molto bene, Ramaswami, parlami delle tecniche per la preparazione dello scinzi: quali materie prime si usano, quali strumenti servono, quanto lavoro ci vuole, quanto tempo richiede la fabbricazione. Tu capisci che prima di imbarcarmi in un’impresa del genere devo poter calcolare i costi necessari, e valutare se il prodotto finale può essere competitivo sul mercato.
– Certo kyria, capisco benissimo le tue esigenze; ma per darti una risposta definitiva – aggiunse subito l’indiano – dovremo prima compiere delle prove con i materiali che avete a disposizione qui, e dovrò verificare se i vostri artigiani sono in grado di realizzare alcuni strumenti necessari.
– Comunque, – proseguì – ti posso dire che lo scinzi che producevamo noi era realizzato a partire da una grande varietà di materiali dal costo molto ridotto: stracci di tessuto di canapa, cotone e di lino, vecchie corde e reti da pesca consumate, fibra grezza di cotone e di canapa, la corteccia di alcune piante e gelatina di carne di maiale. A seconda dei materiali impiegati e delle loro proporzioni, si possono ottenere diverse qualità di scinzi, da quello più sottile e leggero adatto per i pittori, a quello più robusto che puoi usare per scriverci sopra lettere che devono viaggiare a lungo o libri che devono durare nel tempo.
– Per quanto riguarda gli strumenti, come ti dicevo, dovrò cercare di adattare quelli che noi usavamo alle capacità dei vostri artigiani, ma il costo non dovrebbe essere elevato. Il lavoro in sé è sia pesante che delicato, e richiede quindi degli schiavi abbastanza abili. Infine, per quanto riguarda la tua ultima domanda, nella bottega di Tsai Yong lavoravamo in due, più un bambino, sotto la supervisione del padrone stesso, e producevamo ogni dieci giorni circa cento fogli di scinzi di queste dimensioni. – Fece segno con le mani indicando un quadrato di un po’ più di due piedi di lato.
– Uhm… Bene. Ci penserò sopra e valuterò con attenzione queste informazioni che mi hai dato. Intanto ti presento Novio, – Lydia chiamò con un gesto Quinto Novio che stava passando in quel momento davanti alla porta del tablinium – il mio segretario. Novio, questo è Ramaswami di Nikam, appena arrivato dall’India; resterà probabilmente nostro ospite per un certo tempo. Lo affido a te, vedi che gli assegnino un cubiculum e dì per favore a Marco di assisterlo. Poiché non parla ancora molto bene il latino ma solo il greco vorrei che, compatibilmente con i tuoi normali impegni, gli facessi da guida finché resterà con noi e se possibile lo aiutassi a migliorare la sua conoscenza della nostra lingua. Dopotutto, – aggiunse, rivolgendosi di nuovo all’indiano – se devi diventare responsabile di questa nuova attività, non potrai rivolgerti sempre agli operai mediante un interprete.
– Certo domina, farò il possibile per accontentarti. – Rispose Novio uscendo dalla stanza per andare a cercare Marco.
– Bene Ramaswami, immagino che sarai stanco dopo il lungo viaggio che hai fatto; ti ho trattenuto fin troppo a lungo e te ne chiedo scusa: ti affido a Novio che ti mostrerà il tuo alloggio e ti consiglio di rinfrescarti e riposarti fino all’ora di cena.
– Ti ringrazio, kyria, per l’ospitalità che mi offri e penso che seguirò il tuo gentile suggerimento. – Disse Ramaswami alzandosi per raggiungere Novio che era appena uscito.


A cena Mamilia Lydia decise di tenere la conversazione su un tono più leggero e non cercare di parlare di affari: – Allora, Ramaswami, potresti parlarmi della terra che noi chiamiamo Seria e dove hai vissuto per tanti anni? A Roma non ne sappiamo praticamente nulla, salvo il fatto che da lì proviene la seta e che si trova da qualche parte al di là dell’India.
Si trovavano nel triclinium della domus dei Mamilii ed erano soli, a parte un paio di giovani schiave che servivano la cena. L’indiano finì di masticare un’oliva prima di rispondere: – Volentieri, kyria, ma non credo di poterti dire molto. – Ramaswami si interruppe per qualche istante per riordinare le idee: – Le terre degli Han, quelle che voi chiamate Seria, sono immense: si dice che dalla capitale Luoyang si possano percorrere mille miglia in ogni direzione senza raggiungerne il confine.
– Mille miglia? – Ripeté Lydia stupita: – Ne sei sicuro? Se quello che dici è vero la Seria sarebbe molto più grande di Roma e di tutte le sue province!
– No, non ne sono sicuro. Considera che io sono arrivato là come prigioniero e me ne sono andato da schiavo fuggiasco, non ho visto molto delle terre degli Han. Però, – aggiunse – quando sono scappato dalla casa di Tsai Yong ho percorso quasi quattrocento miglia verso sud per arrivare al porto di Panyu, da cui sono riuscito a trovare un imbarco per Nikam. E Guiyang, dove mi trovavo, è considerata una delle province meridionali del regno Han…
– Mi sembra quasi incredibile. E come fa un re a tenere sotto controllo un paese così immenso? Hanno anche loro un sistema simile a quello dei nostri proconsoli?
– Hanno una specie di re supremo, lo chiamano il Figlio del Cielo, o qualcosa del genere. A lui sono sottomessi i re dei vari paesi che costituiscono il dominio degli Han e che a loro volta delegano il potere a dei governatori provinciali. Almeno, – concluse con un’alzata di spalle – questo è quello che mi sembra di aver capito. Come ti ho detto non ero lì come ambasciatore ma come schiavo.
Uno schiavo ben informato e con gli occhi e le orecchie aperte, a quanto pare. – Pensò Lydia mentre si faceva riempire dalla schiava la coppa del vino. E aggiunse: – Un’altra cosa che non siamo mai riusciti a sapere con certezza è quanto dista questo paese dall’India. Sarebbe interessante poter aprire una rotta commerciale diretta con queste Terre degli Han.
– Non credo che sarà così facile, kyria. – Rise Ramaswami: – Dal porto di Panyu dove sono riuscito ad imbarcarmi, ci abbiamo messo quasi due mesi ad arrivare a Nikam, penso che si sia trattato di un viaggio di quattro o cinquemila miglia. E da Nikam ci sono più di altre millecinquecento miglia per arrivare a Taprobane!
– Non è poi un viaggio inaffrontabile, – lo rimbeccò Lydia – è solo poco più della distanza che c’è tra Myos Hormos e Taprobane, e ogni anno centinaia di navi percorrono quella rotta.
– È vero, ma la maggior parte del viaggio costeggia terre abitate da popolazioni non particolarmente amichevoli. Col tempo, i miei compatrioti hanno negoziato con loro il permesso di sostare e commerciare in alcuni dei loro porti, ma voi dovreste ricominciare tutto da capo.
– Probabilmente hai ragione. Dopotutto possiamo continuare a commerciare con la Seria per tramite dell’India, come abbiamo sempre fatto; non credo che ci sarebbero margini di profitto sufficienti a giustificare un investimento del genere. Però adesso, – aggiunse indicando la tavola tra loro – occupiamoci di questo agnello arrosto, sarebbe un peccato lasciarlo raffreddare.

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