2 – L’Anello


Londra, mercoledì 12 aprile 2023

Andrew Hyde è nel suo ufficio al British Museum e, come sempre, sta esaminando e catalogando il contenuto degli scatoloni che gli sono stati consegnati in febbraio dagli addetti del magazzino. La radio in sottofondo trasmette un programma musicale della BBC.
Andrew a cinquant’anni appena compiuti è da due anni assistente curatore anziano per le collezioni del museo relative alla Mesopotamia Antica e attualmente sta svolgendo ricerche sui manoscritti di W. K. Loftus perché ha intenzione di scriverne una biografia.
Loftus è stato il primo archeologo occidentale a scavare, nel sito attualmente noto come Warka in Iraq, le rovine della città mesopotamica di Urukh, che identificò con la Erech biblica, e oltre ad aver raccolto una quantità di reperti e pubblicato un paio di libri sulle sue campagne di scavo, ha lasciato una quantità ragguardevole di appunti, schizzi e disegni relativi ai siti dove ha lavorato. Dopo la sua morte per malattia a soli trentotto anni, i suoi manoscritti sono finiti in un magazzino del British Museum e, probabilmente, nessuno li ha più guardati per più di 150 anni.
Questo finché Andrew ha chiesto, a un annoiato magazziniere del museo, di trovargli negli archivi tutto ciò che riguardava Loftus e il suo lavoro: come risultato adesso di fianco alla sua scrivania sono impilati quattro scatoloni pieni di buste e faldoni ingialliti. In quasi due mesi ne ha già esaminati circa la metà, prendendo metodicamente appunti per il suo libro e fotocopiando i documenti più interessanti.
Ha appena estratto un’altra busta e si accinge ad esaminarla quando gli portano il tè; la busta resta sul tavolo mentre Andrew sorseggia l’infuso bollente, la radio ha terminato il programma di musica ed è passata a un notiziario. Andrew non la sta veramente ascoltando e lascia che la voce del radiogiornale faccia da sottofondo sentendo solo qualche frase qua e là.

– … dopo l’attentato di venerdì che ha causato settanta morti e oltre centocinquanta feriti in una moschea, la situazione a New York continua a degenerare…

Andrew finisce il tè e riprende in mano la busta che è stranamente pesante. Infatti, dopo averla aperta, vede che contiene appena due pagine manoscritte, in quella che ormai riconosce a prima vista come la calligrafia di Loftus, e un curioso oggetto metallico. Si tratta di un bracciale a forma di C, con le estremità arrotondate, senza elementi terminali, di circa nove centimetri di diametro per uno di spessore.

– … anche ieri due attentati, il primo rivendicato dai Supremazisti Cristiani e il secondo dalle Pantere Musulmane…

La superficie di metallo grigio è coperta di qualche incrostazione ma è priva di ruggine e questo ad Andrew pare strano, dato che l’oggetto dev’essere rimasto in un magazzino dello scantinato del museo per almeno 150 anni. E poi è troppo leggero per essere ferro massiccio.

– … guerriglia nelle strade del centro. Il Governatore ha proclamato la legge marziale e il presidente Trump ha autorizzato l’intervento dell’esercito per riportare la situazione alla normalità…

Legge la lettera che lo accompagnava nella busta che, invece di spiegare il mistero, lo complica ulteriormente:

Warka, 13 febbraio 1854.

Scrivo queste righe più per rimediare a uno scrupolo di coscienza che nella convinzione che i fatti che vado a raccontare possano essere in futuro effettivamente utili a qualcuno.
Mi trovo in questo momento nella mia tenda, nell’accampamento che abbiamo eretto vicino alle rovine di Warka, l’antica città nella valle dell’Eufrate che è probabilmente da identificare con la biblica Erech, a cui la tradizione riconosce l’onore di essere il luogo di nascita del patriarca Abramo.
Le rovine di Warka coprono attualmente un’area pressapoco circolare, circondata dai resti di una cinta di mura di mattoni crudi lunga circa cinque miglia e mezzo con un’altezza che, nel punto di maggiore elevazione nel lato nordorientale, raggiunge un massimo tra i quaranta e i cinquanta piedi al di sopra del livello del terreno; la grande quantità di detriti accumulati ai piedi delle mura, prova che la loro altezza originale doveva essere considerevolmente maggiore, mentre lo spessore doveva essere stato forse di una ventina di piedi.
L’intera regione della Bassa Caldea abbonda di enormi città sepolcro, ma di queste la più importante è sicuramente Warka, in cui l’enorme accumulo di resti umani prova la sua particolare sacralità e il fatto che sia rimasta tale per molti secoli. Dalla quando Urukh l’ha fondata, fino a quando è stata finalmente abbandonata dai Parthi, un periodo durato probabilmente 2500 anni, sembra che Warka sia stata continuativamente un luogo sacro di sepoltura.
Non ho avuto modo in nessun punto di questa immensa necropoli di accertare a quale profondità si estendessero le sepolture all’interno dei tumuli; in diversi punti abbiamo scavato fino a trenta piedi di profondità, oltre la quale l’estrema friabilità del terreno mi impedì di continuare lo scavo per garantire l’incolumità degli operai che lo effettuavano; ma ho ogni motivo di credere che la stessa massa continua di sepolture continui fino alla base del punto più alto della piattaforma centrale, a una profondità di sessanta piedi. In queste circostanze è estremamente difficile ottenere informazioni attendibili su metodi più antichi di sepoltura a Warka. È solo ai margini dei tumuli, dove la sovracostruzione successiva è minima, che troviamo le tombe più indubbiamente primitive e i loro corredi.
In un paese povero di cave di pietra, il materiale più naturale per l’uso architettonico e domestico è l’argilla, che è abbondante nella piana dell’Eufrate. Non solo gli edifici della Caldea erano costruiti di mattoni di argilla cruda, ma lo stesso materiale era utilizzato anche per la realizzazione di utensili e persino delle urne funerarie.
Un modello sicuramente molto antico e originale di sepoltura consiste di una base ovale dal bordo rialzato, con un coperchio che assomiglia a un coprivivande ovale. Le dimensioni variano da quattro a sette pedi, per una larghezza di circa due piedi e un’altezza dai tre ai quattro. Sollevando con cautela questo coperchio, lo scheletro risulta in genere sdraiato sul fianco sinistro, con le gambe sollevate e piegate all’altezza del ginocchio per adattarsi alle dimensioni del sarcofago. A volte il teschio posa sulle ossa della mano sinistra, mentre la mano destra stringe un cilindro di agata o di pietra meteorica, insieme a piccoli ornamenti personali.
Ed è stato proprio durante lo scavo al margine di uno dei tumuli di Warka, che gli sterratori per fretta o imperizia hanno sfondato una di queste sepolture con gli attrezzi da scavo. Con loro, sul fondo della trincea di scavo, c’era Budda, un vecchio arabo dai capelli grigi con alle spalle una lunga carriera di “scavatore di tombe”; questo ancora energico vecchio beduino era il capo naturale della squadra degli operai e aveva conquistato la mia fiducia, abbastanza da metterlo a capo delle operazioni di scavo. Ed è stato Budda, cercando di salvare il salvabile nel disastro del sarcofago distrutto, a portare alla luce l’anello di metallo grigio.
Questa lunga premessa è servita a spiegare in quale contesto è stato trovato l’anello, in una tomba che, secondo le mie stime, risale ad almeno 2500 anni prima della nascita di Cristo. L’anello, che probabilmente è da identificare in un’armilla, ha la forma di una C schiacciata, con il diametro maggiore di circa quattro pollici e il minore poco inferiore ai tre; apparentemente è realizzato con un unico pezzo metallico, dello spessore di circa tre ottavi di pollice, liscio, senza decorazioni e con le estremità arrotondate. La sua superficie è grigia e opaca, metallica, senza tracce di corrosione. All’aspetto potrebbe sembrare di zinco, ma quando ho provato a intaccarlo è risultato più duro del ferro del mio utensile.
La forma di per sé non è anomala, se non forse per la mancanza di qualsiasi decorazione; se fosse stato d’oro o d’argento sarebbe stata una scoperta sicuramente entusiasmante, ma in nessun modo misteriosa. Il problema nasce dal fatto che, a tutta prima, il materiale con cui è realizzato sembra essere una lega di ferro a noi sconosciuta, in grado di rimanere sepolta per più di quattromila anni senza arrugginire e, soprattutto, in un oggetto realizzato almeno duemila anni prima della scoperta del ferro!
L’ipotesi più ragionevole sembrerebbe quindi che questo anello non appartenga alla sepoltura da cui l’abbiamo estratto; d’altra parte la tomba non mostrava alcun segno di saccheggi precedenti, anzi conteneva due piccoli monili d’oro, e sembra improbabile che qualcuno si sia preso il disturbo di scavare una tomba antica, ignorare l’oro che conteneva e aggiungere al corredo funebre questo improbabile anello grigio.
L’altra possibilità è che l’oggetto sia stato portato nello scavo dagli sterratori. Anche questo sembra però estremamente improbabile, dato che tutti loro negano di averlo mai visto prima e che Budda giura di averlo trovato lui stesso tra le ossa contenute nella sepoltura. Naturalmente la parola di un arabo non ha nessun valore, ma questo significa che delle due l’una: o l’anello era effettivamente parte del corredo della tomba, o è Budda che per ragioni sue vuole farmi credere di averlo trovato lì. E, per quanto mi sia scervellato negli ultimi giorni, non riesco a immaginare che motivo potrebbe avere questo vecchio tombarolo arabo per farmi uno scherzo del genere e, soprattutto, dove avrebbe potuto procurarsi quell’oggetto, fatto di un materiale a me sconosciuto. D’altra parte quell’oggetto non può essere vecchio quattromila anni! All’epoca in cui sono state realizzate quelle tombe, i Sumeri erano forse a malapena in grado di lavorare il bronzo, e questo bracciale è realizzato in una lega sconosciuta alla metallurgia moderna, probabilmente un qualche tipo di acciaio.
È per questi motivi che ho evitato di includere il bracciale nelle collezioni di reperti che ho inviato in patria, per evitare di mettere a repentaglio la mia reputazione inserendo un oggetto palesemente moderno in una collezione di reperti vecchi di almeno quaranta secoli. E, d’altra parte, si tratta di un oggetto interessante, forse unico nel suo genere, quindi non potevo ignorarlo e lasciarlo qui insieme ai detriti dello scavo.
Ho deciso quindi di conservarlo e di scrivere queste poche pagine per documentare il luogo e le circostanze della sua scoperta, sperando che in futuro qualcun altro possa far luce su questa questione che a me appare totalmente misteriosa.

William K. Loftus F.G.S.

Andrew è molto incuriosito sia da quello che la lettera dice, e implica, sia dalla natura dell’oggetto stesso. Naturalmente la datazione che Loftus dà della sepoltura in cui ha trovato l’anello è sbagliata: oggi sappiamo che quel tipo di sarcofago è molto più recente, probabilmente del primo o secondo secolo dopo Cristo. D’altra parte l’oggetto è veramente strano: per quel poco che ne sa lui, potrebbe essere acciaio inox, ma è troppo leggero; e poi gli sembra di ricordare che l’inox non fosse ancora conosciuto ai tempi di Loftus, e l’idea che fosse noto quasi duemila anni fa è semplicemente ridicola.
La prima cosa a cui pensa è la beffa dell’Uomo di Piltdown: non sarebbe né la prima né l’ultima volta che uno scienziato si lascia ingannare da un manufatto contraffatto ad arte. Ma questo dubbio era già venuto a Loftus, che ne aveva già escluso la possibilità; e in effetti riesce poco credibile immaginare un beduino del diciannovesimo secolo che utilizza per una beffa inutile un oggetto del genere, realizzato in un materiale che allora era sicuramente sconosciuto.
Dopo aver riletto una seconda volta la lettera, infila il bracciale in un sacchetto di plastica porta campioni e telefona al suo amico Reinaldo Suarez, il direttore del laboratorio di analisi chimico fisiche del Museo.
La giornata di Reinaldo non è cominciata bene, a partire dalla mezz’ora persa alla stazione di Surbiton, il suburbio in cui abita, a causa di un tale che ha fatto scattare l’allarme del cerca metalli al check point della sicurezza.
È poi risultato che si trattava di un elettricista e che si era dimenticato di avere un cacciavite nella tasca della giacca, ma l’intervento degli agenti della sicurezza e il panico provocato dall’incidente gli avevano fatto perdere il treno. Era arrivato in ufficio in ritardo, nonostante fosse già in arretrato con il lavoro, la telefonata di Andrew è quindi una seccatura, ma cerca in ogni modo di non darlo a vedere per non offendere l’amico.
– Ciao Reinaldo, mi domandavo se potevi dedicarmi un po’ di tempo. Ho per le mani uno strano reperto che non so se sia autentico; probabilmente si tratta di uno scherzo, ma non riesco a capire chi e quando l’abbia congegnato, e soprattutto come.
– Mmm… Capiti abbastanza in un brutto momento. Sono in ritardo con delle analisi dendrocronologiche che avevo promesso per la settimana scorsa, quindi non posso prometterti niente. Comunque, di che cosa si tratta? Ti sei rimesso a fare l’archeologo sul campo?
– Assolutamente no. – Risponde Andrew ridendo: – È un oggetto che è saltato fuori dai magazzini del museo, dove prendeva polvere da centosettanta anni. È un manufatto metallico, che sembra provenire da un’antica tomba mesopotamica, ma non riesco a capire di che materiale sia fatto e se è veramente possibile che sia antico.
– In che senso? Se viene da una tomba antica dovrà essere almeno altrettanto antico anche lui.
– Certo, a meno che non sia stato messo lì in seguito, o che si tratti di una burla organizzata da qualcuno. Non vorrei rovinarmi la carriera correndo dietro a un secondo Uomo di Piltdown…
– Capisco. E quindi ti sei rivolto a me…
– … sperando che tu possa darmi una valutazione preliminare senza passare attraverso i canali ufficiali. Se dovessimo decidere che è uno scherzo, posso sempre farlo tornare nell’archivio da cui è uscito.
– E perché non lo fai comunque?
– Perché se per caso fosse autentico, potrebbe essere una scoperta notevole! È rimasto lì per quasi due secoli perché il vecchio Loftus aveva paura di rendersi ridicolo, se si tratta veramente di un manufatto antico non voglio ripetere lo stesso errore!
– Capisco. Però sono veramente in ritardo con il mio lavoro…
– Senti, facciamo una cosa: dato che mezzogiorno è passato da un pezzo, invece di mangiare i soliti tramezzini in mensa vieni con me al Blue Door, ti invito a pranzo e ti faccio vedere l’oggetto.
Reinaldo considerò l’offerta per pochi secondi, un invito a pranzo non si rifiuta alla leggera: quando hai uno stipendio di sole £60.000 annuali, non puoi permetterti spesso di mangiar fuori più che un kebab o un hamburger.
– D’accordo, grazie per l’invito. Ci vediamo fra dieci minuti all’ingresso principale?
– OK, ci sarò.


Il Blue Door Bistro in Montague Street, a pochi passi dal Museo, è un ristorante molto raffinato e orrendamente caro. Si entra dalla piccola porta dipinta di blu che dà il nome al locale e ci si ritrova immersi in un’atmosfera fuori dal tempo: le pareti decorate con viste di Londra della metà dell’800 danno ad Andrew una curiosa sensazione di déjà vu, l’impressione che a uno di questi tavoli potrebbe incontrare William Loftus in persona.
Reinaldo ammira stupito la decorazione del locale e l’evidente attenzione ai dettagli, come il fatto che l’inevitabile cerca metalli è perfettamente occultato nella struttura di legno della porta di ingresso e che i due camerieri in livrea ai lati della stessa non sembrano affatto due poliziotti privati. Andrew sembra ben conosciuto al personale, dato che viene salutato per nome e che nessuno dei due viene perquisito.
Vengono fatti accomodare al tavolo prenotato da Andrew e ordinano il pranzo, mentre Reinaldo cerca di nascondere l’imbarazzo alla vista dei prezzi sul menu. Mentre aspettano di essere serviti, Andrew riassume il contenuto della lettera di Loftus, spiegando le circostanze in cui l’anello è stato presumibilmente trovato.
Mentre arrivano i piatti con il parfait di foie gras e fegato di pollo in salsa di mango, Andrew passa a Reinaldo la busta di plastica contenente l’anello.
– Quindi dici che questo Loftus afferma di averlo trovato nel 1850 in una tomba vecchia di quattromila anni?
– Esatto, anche se probabilmente la sua datazione è sbagliata e la tomba aveva solo duemila anni.
– Sembra abbastanza incredibile. A occhio nudo non vedo tracce di corrosione, e non mi risulta che a quei tempi conoscessero nessuna lega in grado di resistere sottoterra per secoli senza arrugginire.
– È per questo che mi sembra più probabile che sia uno scherzo. D’altra parte Loftus, che è stato testimone oculare del ritrovamento, sosteneva che l’ipotesi della beffa fosse troppo improbabile per essere vera. E poi, c’è l’altro problema: mi sembra troppo leggero per essere una lega di ferro, meno che mai di rame o d’oro.
– Questo non sarebbe un problema, se l’oggetto fosse cavo, o se fosse una fusione metallica intorno a un bracciale di materiale più leggero, legno o osso ad esempio.
– Vero, ma sono tecniche che non risultano utilizzate nell’antichità. Questo ci riporta al problema di base: quanto è vecchio questo manufatto? Più di centosettanta anni? Più di duemila? E di che materiale è fatto?
Reinaldo rimugina sulle informazioni che ha ricevuto, mentre affronta la sua trota al forno con purè di patate e salsa di cipolle rosse. È incuriosito dalla faccenda, anche perché, da chimico, ha un sospetto sul materiale in questione così assurdo da non avere il coraggio di esprimerlo ad alta voce.
Alla fine, mentre già si stanno alzando per tornare al museo, Reinaldo si decide e mette la busta in tasca: – Va bene, farò qualche analisi giù in laboratorio e ti farò sapere.

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