16 – Aaron


Milano, mercoledì 8 gennaio 2025

Sono le nove in punto e Massimo entra nel portone del palazzo di fine ottocento o inizio novecento in via S. Giovanni sul Muro, quasi dirimpetto al teatro; l’alto atrio è semibuio, Massimo chiede conferma alla portineria e prende l’ascensore per il terzo piano.
Sul pianerottolo si apre un’unica porta di legno antico, abbastanza grande, con inchiodata una piccola targa di ottone che dichiara che qui c’è la sede della Import Export Lavi. Massimo nota di sfuggita le due telecamere a circuito chiuso che inquadrano la porta da angolazioni differenti e suona al campanello; quando il citofono prende vita si fa riconoscere: – Sono l’ingegner Ferrara della Hermes Mining; ho un appuntamento con il signor Lavi.
Con uno scatto la porta viene sbloccata dall’interno, Massimo la apre e la attraversa. Invece di entrare in un atrio, come si sarebbe aspettato, si trova all’interno di uno stretto corridoio lungo appena un paio di metri che termina con una porta a vetri dall’aria particolarmente robusta; dietro di questa si vede un’ampia lobby con un bancone sulla parete di fondo e due porte chiuse ai suoi lati.
La pesante porta di quercia si chiude pesantemente dietro di lui e solo allora si sente lo scatto della serratura della porta a vetri che si sblocca. Massimo spinge la porta davanti a sé – è molto pesante, il vetro è sicuramente antiproiettile – ed entra nella sala facendo due passi verso il bancone.
Poi si blocca, si guarda intorno e comprende: la parete con il bancone verso cui si stava dirigendo non esiste; o meglio, non si trova lì. Davanti alla porta da cui è entrato, la stanza è tagliata da uno specchio inclinato a quarantacinque gradi, alto fino al soffitto, che provoca un’illusione perfetta. Massimo si gira a sinistra e vede, questa volta reale, le due porte con in mezzo il bancone e, dietro quest’ultimo, un’impiegata dall’aria molto pratica che gli sorride: – Venga pure ingegnere, da questa parte prego. – E lo guida alla porta di destra, dietro la quale c’è quello che sembra a tutti gli effetti un security check da aeroporto: nastro trasportatore e porta con metal detector, e una guardia giurata che gli chiede gentilmente di mettere la sua valigetta e eventuali oggetti metallici sul nastro.
Massimo ubbidisce e non riesce a trattenere la curiosità: – Bello il trucco con lo specchio nell’ingresso. Vi capita spesso di avere visitatori troppo… irruenti?
L’agente lo guarda e sorride: – No, in realtà che io sappia non è mai stato necessario, ma la prudenza non è mai troppa. Se quando si è aperta la porta a vetri lei avesse tirato fuori dalla valigetta un Kalashnikov, avrebbe aperto il fuoco contro lo specchio, mentre dall’altra porta sarebbe uscito un collega con una buona mira.
– Immaginavo qualcosa del genere quando ho capito che era uno specchio. Beh, posso andare adesso?
La guardia esita un paio di secondi, Massimo si rende conto che sta ascoltando delle istruzioni dall’auricolare che ha all’orecchio: – Può aprire un attimo la valigetta, per favore? Mi dicono che ai raggi X non riescono a distinguere bene.
Massimo sorride, comprendendo bene il dubbio dell’operatore invisibile, e solleva il coperchio della sua ventiquattrore. L’agente della sicurezza dà appena un’occhiata al contenuto e fa cenno di chiuderla: – Tutto a posto, vada pure e scusi per il disturbo.
– Di niente.
Dopo un’altra porta – Massimo comincia a credere che questo ufficio sia fatto tutto di porte – arriva finalmente in una normale anticamera dove una segretaria lo fa accomodare: – Il signor Lavi la riceverà fra poco. Posso offrirle un caffè nel frattempo?
L’attesa è effettivamente breve, dopo pochi minuti Massimo può finalmente entrare nell’ufficio del titolare.


Luna, mercoledì 8 gennaio 2025

Shauna ha appena finito di mostrare a Jane i comandi dell’impianto di sedimentazione, Myra e Gianni sono con lei perché sono loro che hanno progettato quei comandi e Reinaldo è lì perché gli piace seguire i lavori della sua base.
I monitor mostrano l’interno delle otto grandi vasche cilindriche, leggermente inclinate per sfruttare la gravità e mantenere il flusso dell’acqua, collegate tra loro da portali che prendono l’acqua nel punto più basso di una vasca per riversarlo in quello più alto della successiva. Nell’ultima vasca l’acqua si accumula in un grande bacino, e da qui viene di nuovo sversata nella prima, come un lungo fiume che si richiude su se stesso ma continua a scorrere all’infinito.
Lo spettacolo è ipnotico, con il flusso d’acqua mantenuto turbolento da ostacoli accuratamente calcolati sul fondo della vasca, ostacoli che ne ostruiscono parzialmente il passaggio permettendo alla frazione più pesante delle polveri trascinate dall’acqua fangosa di sedimentare sul fondo. E la frazione più pesante è quella che contiene più oro!
Sopra la prima vasca, apparentemente dal nulla, si riversa nella corrente un flusso continuo di polvere di pietra, proveniente dalla frammentazione in particelle microscopiche del minerale aurifero che poche ore prima di trovava ancora nel sottosuolo di Mercurio. La maggior parte della sabbia arriverà al bacino dell’ultima vasca, portando con sé una quantità irrisoria d’oro che verrà così sprecato, ma nelle trappole a turbolenza delle altre vasche si concentrerà più del novanta per cento dell’oro insieme a una quantità relativamente piccola di roccia inutile.
– Reinaldo, hai già pensato a come gestirai il flusso di denaro quando cominceremo ad ampliare le operazioni? – Myra sta ammirando lo spettacolo della infinita cascata di polvere, ma la sua mente è già diretta verso altri pensieri: – Voglio dire che già adesso la cosa mi sembra stupidamente complicata: tu ci paghi sui nostri conti correnti terrestri, dal conto della Artemis o della Selene o della Hermes e noi dobbiamo pagare le tasse a paesi in cui siamo solo nominalmente residenti; questa cosa è una grande seccatura.
– Non vedo bene quale sarebbe l’alternativa, – risponde Reinaldo grattandosi la testa – vuoi che smetta di pagarvi lo stipendio? Oppure potrei pagarvi in nero, ma dubito che riuscireste a giustificare i periodici versamenti sui vostri conti.
– È vero ma… Senti, non sono sicura di avere le idee molto chiare, ma cosa ti impedisce di aprire una banca sulla Luna su cui io, Massimo e gli altri avremmo i nostri conti correnti? A questo punto non dovremmo giustificare niente a nessuno, a meno che tu non decida di imporre anche sulla Luna una tassa sul reddito.
Reinaldo si gira verso gli altri in cerca di aiuto, ed è infatti Gianni a risponderle: – Myra, quello che dici non ha senso. Se anche facessimo quello che dici, e non è certamente una cosa semplice, la nostra banca non sarebbe riconosciuta da nessuno, non potresti appoggiare su quel conto una carta di credito o emettere assegni: nessuno li accetterebbe. Tanto varrebbe cercare di fare la spesa con i soldi del Monopoli.
– Non è esattamente così. – Ribatté Myra: – Quello che ho in mente è un sistema per regolare le transazioni tra di noi, una specie di contabilità interna. Se dovremo spendere soldi sulla Terra, e ovviamente lo faremo, dato che qui al momento non produciamo praticamente nulla a parte l’oro, potremmo sempre usare contanti o carte di credito appoggiate ai conti delle nostre, cioè tue, imprese terrestri.
– Mi sembra un sistema eccessivamente complicato. – Si lamenta Reinaldo.
– Per niente, pensaci un momento: ad esempio io ho già una carta di credito della Selene, intestata a me in quanto CEO; finora l’ho usata sempre solo per le spese relative alla mia attività ufficiale, ma supponi che da domani io la utilizzi per le mie spese personali o, meglio ancora, me ne faccia emettere un’altra da usare per me. Quando a fine mese arriverà l’estratto conto, la Selene lo pagherà con i suoi fondi depositati nelle banche terrestri e tu addebiterai l’importo sul mio conto nella banca lunare. Viceversa, invece di versarmi sulla terra lo stipendio lo accrediterai sempre su questo conto.
Reinaldo ci pensa su un poco, mentre osserva gli schermi: Jane ha cominciato, sia pure con un certo impaccio, la procedura di svuotamento. Nella prima vasca il flusso di polvere dall’alto si è interrotto e, dopo pochi secondi, smette anche di arrivare l’acqua di ricircolo dall’ottava vasca. Il fiume infinito si asciuga lentamente, mentre tutta l’acqua rimasta defluisce verso l’ultima vasca. Alla fine si decide a parlare: – Potrebbe funzionare, – ammette – ma mi sembra troppo semplice.
– Sembra semplice perché lo è! Dopotutto, i soldi sono solo numeri, a cui qualcuno è disposto ad attribuire un valore. Se noi decidiamo che i numeri registrati sui nostri conti lunari sono “lunodollari” e c’è qualcuno, ad esempio la tua Artemis Investment che riconosce a un lunodollaro il valore di un dollaro ed è disposto a scambiarli alla pari, allora quei numeri diventano soldi veri.
– Naturalmente perché una cosa del genere funzioni è necessario un rapporto di fiducia, – interviene Gianni – io posso accettare di essere pagato in lunodollari solo se ho fiducia che rimangano convertibili e che mantengano il loro valore, altrimenti valgono davvero quanto i soldi del Monopoli.
– Certo, ma questo vale anche per tutte le valute terrestri. – Fa notare ancora Myra: – Un dollaro statunitense ha valore solo finché la Federal Reserve e il governo degli Stati Uniti sono disposti a riconoscerglielo. Se domani venissero emessi tante banconote da decuplicare o centuplicare il circolante totale, il valore del dollaro precipiterebbe all’istante; quindi quando accetti un pagamento in dollari lo fai perché hai implicitamente fiducia nel fatto che il governo non lo farà svalutare da un giorno all’altro.
Shauna finora è rimasta a osservare Jane, controllando che non facesse errori, ma ha ascoltato la discussione in corso: – Il ragionamento mi sembra corretto, ma lunodollaro è una parola che mi fa rabbrividire. Chiamiamolo semplicemente lunare.
– Va bene, lunare mi piace. – Conferma Myra: – Quindi la proposta è questa: costituiamo la Banca Lunare, della quale ovviamente tu Reinaldo sarai presidente, che apre conti correnti in lunari e ne garantisce la convertibilità in dollari USA, a un tasso stabilito dalla banca ma comunque non inferiore alla parità. Le tue imprese terrestri accettano di intestare carte di credito aziendali ai correntisti della Banca Lunare, convertendo le spese effettuate ogni mese in lunari e addebitandole nei rispettivi conti.
– Già che ci siamo – scherza Shauna – potremmo anche stampare banconote.
– Perché no? – Rilancia Myra: – Quando i residenti lunari saranno centinaia o addirittura migliaia, avere a disposizione denaro cartaceo potrebbe essere comodo.
– Voi siete completamente matti! – Sbotta Reinaldo: – Al momento abbiamo una popolazione totale di tredici persone, e vi mettete a progettare una banca? Adesso mi direte che dovremmo arruolare un’altra mezza dozzina di persone solo per tenere dietro alla contabilità…
– No, non ce ne sarà bisogno. – Commenta Gianni: – Se per qualche tempo non hai bisogno di me e di Marco, in un mese o poco più dovremmo poterti mettere in piedi la cosa, interamente informatizzata con accesso via web e tutto il resto.
– Mmm… Va bene, se proprio ci tieni provate a farlo. Ma a me continua a sembrare un progetto un po’ prematuro.
– No, non lo è. – Ribatte Shauna: – Se nei prossimi mesi vogliamo assumere alcune decine di persone come abbiamo progettato, non sarebbe una cattiva idea avere una banca già funzionante, su cui versare gli stipendi e da cui possano effettuare operazioni via web, magari anche bonifici verso conti correnti sulla Terra. Dici che sarebbe possibile, Gianni?
– Non vedo perché no, basta che una richiesta di bonifico effettuata sulla nostra banca generi automaticamente una richiesta analoga su un nostro conto terrestre. Naturalmente il destinatario vedrebbe il bonifico come proveniente dalla Artemis, ma non credo che questo sia un problema serio.
Sugli schermi il fiume si è completamente prosciugato. A un comando dato da Jane, una serie di portali mobili raccoglie e trasferisce altrove il fango accumulato sul fondo delle vasche. Poco più di tre quintali di sabbia ancora impregnata d’acqua, che però rappresentano la fonte in fieri delle riserve della Banca Lunare di prossima costituzione.
– Va bene, – conclude Reinaldo rassegnato – fate come vi pare, parlatene con Wu che forse ne sa più di voi sull’argomento, preparate un progetto e poi sottoponetemelo. Dopotutto, sono pur sempre io il presidente della Banca Lunare, no?


Milano, mercoledì 8 gennaio 2025

L’ufficio è grande, senza esserlo eccessivamente, e arredato in modo ricercato ma sobrio: librerie di noce intagliato alle pareti, un grande tappeto persiano in mezzo al pavimento e una bella scrivania di legno pregiato dietro la quale è seduto il vecchio Aaron Lavi, un piccolo ometto, molto anziano e quasi completamente calvo; Massimo lo riconosce immediatamente, sembra che non sia cambiato minimamente nei sette anni passati dall’unica volta che si sono incontrati.
Quando Massimo si avvicina, l’altro si alza e allunga la mano attraverso la scrivania stringendo quella che lui sta porgendo: – Ingegner Ferrara, ben arrivato. Mi ricordo bene di lei, anche se ci siamo visti solo nella triste occasione del funerale del suo povero fratello; – indica una poltrona di fronte a lui – prego, si accomodi.
– Grazie. – Risponde Massimo sedendosi. Poi si guarda intorno: questo è l’ufficio del grande vecchio per cui suo fratello ha lavorato negli ultimi cinque anni della sua vita; da quello che Luigi gli ha raccontato – poco, per ovvi motivi di riservatezza – in questo anonimo ufficio relativamente modesto nel centro di Milano vengono discusse quasi quotidianamente transazioni relative alla vendita di partite d’oro, metalli preziosi e gemme del valore di milioni di euro.
– Col suo permesso, signor Lavi, vorrei spiegarle il motivo per cui ho chiesto di incontrarla. – A un cenno di assenso dell’altro continua: – Come le ho detto quando ci siamo sentiti al telefono, io rappresento la Hermes Mining, una società mineraria costituita abbastanza di recente con sede a Nampula, in Mozambico. Abbiamo da poco cominciato a sfruttare, sia pure con mezzi relativamente scarsi, un giacimento d’oro abbastanza ricco e stiamo cercando canali per vendere il metallo estratto. Naturalmente, ricordando come Luigi ha sempre parlato di lei come di persona onesta e integerrima, ho pensato come prima cosa di rivolgermi a voi.
– La ringrazio per la stima, ma devo dire che sono sorpreso delle sue informazioni: non sapevo che fossero cominciate operazioni di estrazione d’oro in larga scala in Mozambico; posso chiederle di quali numeri stiamo parlando?
– Certamente. Attualmente stiamo estraendo e raffinando circa cento chilogrammi d’oro alla settimana e prevediamo di raddoppiare o forse triplicare la produzione nei prossimi due anni. – Massimo fa una pausa all’espressione stupita del vecchio e riprende: – Credo però di essermi spiegato male: la sede della nostra società è in Mozambico, ma il giacimento non si trova lì; purtroppo l’ubicazione delle nostre operazioni minerarie è assolutamente riservata…
– Direi che si tratta di una produzione di tutto rispetto, alla quotazione attuale mi sembra che stiamo parlando di poco meno di mezzo miliardo di dollari all’anno! – L’espressione di Aaron Lavi è trasparente, quella di qualcuno che ha appena risolto un enigma particolarmente interessante: – Questa cosa mi ha fatto tornare alla memoria una voce che circolava circa un anno fa: si diceva che qualcuno era finalmente riuscito a trovare un metodo commercialmente sfruttabile per estrarre l’oro disciolto nelle acque degli oceani. Naturalmente si tratta di un sogno vecchio di quasi duecento anni e, finora, è sempre risultato irrealizzabile a causa della bassissima concentrazione; l’anno scorso però si è cominciato a parlare di possibili nuovi approcci al problema, utilizzando le tecnologie più di moda al momento: qualcuno parlava di filtri molecolari a base di grafene, altri di batteri OGM in grado di concentrare l’oro e condensarlo in granuli. – Fissa Massimo negli occhi sorridendo: – È forse possibile che la vostra miniera sia distribuita in tutti gli oceani del globo?
L’espressione di Massimo è impassibile: – Mi dispiace, signor Lavi, ma temo di non poter rispondere alla sua domanda né affermativamente né negativamente.
– Naturalmente, capisco. Ma mi dica, ingegner Ferrara, – di nuovo quello sguardo ironico – non sapevo che lei si interessasse di tecniche minerarie; da quello che mi diceva suo fratello mi sembrava che lei si occupasse di informatica, o sbaglio?
– È vero, fino a due anni fa lavoravo per la Biogen di Londra come analista e programmatore. Ma poi sono stato contattato da un mio amico che è uno dei finanziatori della Hermes Mining e mi ha fatto un’offerta che non ho potuto rifiutare.
– Mi sembra un ottimo passo avanti per la sua carriera, se posso permettermi di dirlo. Comunque, tornando agli affari, mi diceva che pensate di poter produrre circa cento chili d’oro alla settimana?
– Esattamente, ma abbiamo ancora dei problemi tecnici: in particolare, non siamo ancora attrezzati per raffinare completamente il metallo; attualmente riusciamo ad arrivare a un grado di purezza del novantanove punto cinque per cento o poco più. Per esempio questo campione – apre la sua valigetta che contiene un singolo lingotto metallico rettangolare, leggermente rastremato, più o meno delle dimensioni di un mazzo di carte da gioco – viene da una colata che è stata saggiata dal nostro laboratorio a novantanove punto sessantatré per cento; il rimanente è quasi tutto rame e argento, con tracce di altri metalli.
Passa il lingotto del peso di due chilogrammi al vecchio che lo soppesa nella mano: – Anche questa è in effetti un’anomalia: in genere i miei clienti trattano oro fino, a quattro nove o più, oppure leghe da gioielleria a dieci, quattordici o diciotto carati. Comunque, su volumi così grandi, può darsi che si possa trovare un acquirente interessato.
– Bene. Come le dicevo, noi possiamo garantire un contenuto di fino maggiore del novantanove punto cinque e siamo disposti a vendere considerando questo titolo come base per il prezzo. Nel senso che possiamo trattare il prezzo e le condizioni sulla base di questa purezza e garantirla come minimo.
– Posso provare a informarmi… Vedere se c’è qualche grosso cliente interessato a un affare di queste dimensioni. Naturalmente non le posso promettere niente, ma cercherò di farle avere notizie al più presto.
– Ottimo. Questo campione glielo posso lasciare, mi basta una ricevuta, se volete farlo analizzare, voi o il vostro cliente. Come le ho detto per certi versi le nostre attrezzature sono un po’ rudimentali, se per qualsiasi motivo la nostra titolatura dovesse essere errata, preferisco che lo si scopra prima di procedere nelle trattative, dopo sarebbe sicuramente più… imbarazzante.


Massimo si sta alzando dalla poltrona per andarsene, quando lo sguardo gli cade su un oggetto appoggiato su uno scaffale alla sua destra e si avvicina per guardarlo meglio. Si tratta di un piccolo busto in bronzo, alto una trentina di centimetri; l’incisione sulla base dice “Theodore Herzl 1860 – 1904”. Da dietro le sue spalle, Aaron Lavi commenta: – Herzl, uno dei padri del movimento sionista e dello Stato di Israele.
– Lei è sionista signor Lavi? – Chiede Massimo incuriosito.
– Un tempo lo ero, sicuramente, adesso… Difficile dirlo. Non sono io che ho cambiato idea, forse non è neanche il fatto che il mondo è cambiato, è difficile da spiegare. Vede, Ferrara, alla mia età uno si rende conto che anche le parole cambiano significato col passare del tempo. Fra pochi giorni compirò ottanta anni, sono nato il giorno in cui l’Armata Rossa ha aperto i cancelli di Auschwitz; ho vissuto in Romania per diciotto anni, in un paese in cui la tradizione antisemita è molto forte e i pogrom erano all’ordine del giorno; me ne sono andato poco prima del colpo di stato di Ceaușescu e ho vissuto qualche anno in Germania e in Svizzera prima di trasferirmi qui a Milano.
Lavi si avvicina a Massimo: – Dopo le notizie della Shoah e quello che avevo visto di persona in Romania, ma anche in Germania e qui in Italia, non potevo non convincermi che Herzl aveva ragione quando diceva che che l’antisemitismo dell’Europa non può essere né sconfitto né curato, ma solo evitato, e che l’unico modo per farlo era la creazione di uno stato ebraico. – Fa una pausa, poi riprende: – Quindi sì, ero e sono convinto dell’idea sionista di Herzl, ma poi vennero la Guerra dei Sei Giorni e poi la Guerra del Kippur e l’occupazione dei territori palestinesi e io, come tanti altri ebrei in giro per il mondo, ho dovuto accettare il fatto che il sionismo era diventato, o stava diventando, qualcosa d’altro rispetto all’ideale da cui era partito. Quindi veramente non so come rispondere alla sua domanda, perché non so più cosa sia veramente il sionismo: è la parola che ha cambiato significato, non l’idea che ci stava dietro.
– È per questo allora che non si è trasferito in Israele? – Si azzarda a chiedere Massimo.
– Soprattutto per questo. Negli anni sessanta avrei potuto compiere la aliyah, ma nella seconda metà degli anni settanta la situazione in Eretz Israel era talmente degenerata che non me la sono più sentita: sfruttando la paura della minaccia araba, i partiti ultra nazionalisti e gli integralisti religiosi hanno snaturato il paese l’hanno portato sempre più a diventare uno stato confessionale, ed è un processo che continua tutt’oggi.
– Lei non è un ebreo osservante, signor Lavi?
– Come ha detto Primo Levi: “C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo”. – Lavi fa un sorriso amaro: – Immagino che mi potrei definire ateo, ma per favore non lo dica ai miei clienti israeliani…


Massimo è di nuovo in strada, nel centro di Milano: – Che strano tipo, – pensa – però credo davvero di potermi fidare di lui.
Scende nella vicina stazione della metropolitana e si dirige verso i bagni. Dopo essersi chiuso in un cubicolo estrae il suo comunicatore: – Scotty, beam me up! – Quanto l’ha preso in giro Reinaldo per la sua scelta della parola d’ordine…
Immediatamente, sulla parete del cesso si apre un portale; Massimo allunga la mano per sbloccare la serratura della porta e attraversa il portale che si richiude alle sue spalle.
– Trovo che i cessi delle stazioni siano infinitamente più pratici e offrano maggiore privacy delle cabine telefoniche. – Dice a Reinaldo che lo accoglie sulla Luna: – Inoltre, oggigiorno a Milano sarebbe molto difficile trovarne una.

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