Capitolo 11


L’inchiesta

Narbo, a.d. III Id. Iun. 872 AUC

Allo scoccare della seconda ora erano tutti radunati nell’atrium della villa di Tito Mario Prisco a Narbo, trasformato per l’occasione in tribunale.
Erano naturalmente presenti il proconsole e il suo segretario, il primo assiso sulla sua sella, il secondo su un più banale sgabello. Alla loro sinistra, in piedi, c’erano i Figli della Gallia al completo. Non incatenati, in quanto non ancora formalmente accusati, ma sorvegliati a vista da un drappello di milites armati. Infine su una panca alla destra del proconsole sedevano Egidio Iulio Enobarbo e Tito Canio Rufo in qualità di difensori degli inquisiti.
– Bene, ci siamo tutti e possiamo cominciare. Le accuse contro di voi sono molto gravi, – cominciò il proconsole rivolgendosi ai ragazzi alla sua sinistra – niente di meno che la costituzione di un’associazione illegale allo scopo di cospirare contro la Repubblica, il Senato e il popolo romano. Vorrei che fosse chiaro a tutti i presenti che questo non è, per ora, un processo ufficiale ma solo un’inchiesta preliminare allo scopo di chiarire i fatti e le responsabilità e di decidere se e come procedere a un’incriminazione formale. Il mio segretario, Citrio Pio, esporrà adesso le accuse che vi vengono contestate.
– Sì, proconsole, cercherò di riassumere brevemente. – Cominciò il liberto: – Questi giovani sono stati accusati di aver costituito un sodalizio segreto illegale, denominato “I Figli della Gallia”; detto sodalizio avrebbe avuto come scopo la cospirazione contro la Repubblica e, in ultima istanza, l’organizzazione di una rivolta armata contro il governo della Provincia. Presumibilmente per raggiungere questo scopo, hanno scritto e impresso un documento, le cui copie sono poi state illegalmente affisse nella colonia di Arelate nella notte precedente il quarto giorno delle Nonae di questo mese. Questo documento, di cui ho qui una copia, contiene gravi ingiurie e minacce nei confronti della tua persona e costituisce un’istigazione al popolo della Gallia a ribellarsi al potere di Roma.
– Ecco, come dicevo prima, si tratta di accuse molto gravi. – Riprese il proconsole: – Cosa potete dire a vostra discolpa?
– Se me lo permetti, Tito Mario Prisco, vorrei parlare io in rappresentanza di questi ragazzi. – Esordì Canio Rufo e, a un cenno di assenso del proconsole, proseguì: – Proprio in considerazione del fatto che si tratta di una questione molto grave, prima di parlare di difendere i nostri figli vogliamo essere messi a confronto con l’accusatore: chi è che sostiene, e con quali prove, l’esistenza di questo sodalizio illegale? Chi è che sostiene che il suo scopo sia sovversivo del potere del Senato e del popolo di Roma? Chi è che sostiene che sono stati loro ad imprimere e ad affiggere ad Arelate quel documento?
– Intendi quindi negare le accuse? – Chiese Mario Prisco.
– No, sto dicendo che, in assenza di un’imputazione supportata da prove, non c’è nulla che valga la pena di negare. Stiamo parlando di accuse infamanti rivolte a nove giovani che sono tutti cittadini romani e non credo che tu, proconsole, in qualità di rappresentante della giustizia, li condanneresti per sentito dire. E quindi, io vi chiedo: quali prove ci sono a sostenere questa denuncia?
– Le prove ci sono, flamen, – ribatté Citrio Pio – abbiamo testimoni che confermano le imputazioni che ho elencato prima.
– Allora chiediamo di essere messi a confronto con questi testimoni. – Ripeté il flamen: – Vediamo se possono sostenere le loro accuse a viso aperto!
– Mi sembra giusto, Tito Canio Rufo. – Ammise il proconsole e, rivolto al segretario: – Citrio Pio, introduci i testimoni dell’accusa.
– Certamente, proconsole. – E, con l’ombra di un sorriso negli occhi, si rivolse al gruppo dei prigionieri alla sua sinistra: – Vieni avanti, Cneo Domiziano. – E Diviziaco si staccò dal gruppetto dei Figli della Gallia, accompagnato dalle occhiatacce di incredulità e disprezzo degli altri compagni.
Canio Rufo riuscì molto bene a fingersi meravigliato: – Vuoi dire che il tuo testimone è uno degli accusati?
– In un certo senso sì. – Confermò il segretario: – Quando abbiamo avuto i primi rapporti sulle attività dei cosiddetti Figli della Gallia, il proconsole mi ha incaricato di raccogliere maggiori informazioni e Domiziano è stato il mio informatore presso di loro.
– Bene, quindi è la sua testimonianza che sostiene le accuse che sono rivolte a questi giovani. – E rivolgendosi a Domiziano: – Partiamo dall’accusa principale: tu sostieni che i Figli della Gallia sono un sodalizio segreto. Su cosa basi questa affermazione?
– Devi sapere, flamen, che le riunioni avvenivano di notte, in un luogo accuratamente scelto per non essere facilmente rintracciabile; lo chiamano la Taberna dell’Erma e sembra che sia una vecchia bottega di un sutor o qualcosa del genere, nella zona più buia del porto di Arelate
– Sì, conosco il posto, – lo interruppe allegramente Canio Rufo – in effetti quella taberna, come tutta l’insula di cui fa parte, era di mia proprietà. Se tu avessi vissuto più tempo ad Arelate sapresti che il vicolo dei sutores di giorno è pieno di gente che frequenta le botteghe degli artigiani del cuoio, e non è esattamente nei bassifondi come sembri credere. D’altra parte te lo concedo: di notte è buio. Come peraltro dappertutto.
– … e per entrare bisogna bussare e farsi riconoscere…
– Certo, neanch’io aprirei la porta di casa a uno sconosciuto, di notte, in un vicolo buio…
– Se mi permetti di finire una frase, flamen, stavo dicendo che i componenti del gruppo si fanno riconoscere con una complicata parola d’ordine e che tra loro non usano i loro veri nomi, ma adottano come pseudonimo dei nomi di antichi condottieri Galli!
– Ah. – Canio Rufo si mostrò adeguatamente perplesso: – E quindi sono mascherati in modo da non essere riconosciuti?
– No, ma…
– Ah, capisco. Quindi usano questi pseudonimi per non rivelare i loro veri nomi?
– Esatto. E questa non corrisponde forse alla definizione di sodalizio segreto? – Domiziano sembrava sollevato dal fatto di essere finalmente arrivato al nocciolo della questione.
– Eh, certo. In effetti sembra logico: usano degli pseudonimi per non farsi riconoscere dai loro compagni che li conoscono da quando erano bambini. Logico, certo. – Canio Rufo si rivolse direttamente al proconsole, cercando di non sogghignare troppo apertamente: – Proconsole Tito Mario Prisco, ritieni che la definizione di “sodalizio segreto” possa essere stiracchiata fino al punto di comprendere un gruppo di giovani amici, che si conoscono tra di loro da quando sono nati, e che per gioco usano dei soprannomi quando si incontrano la sera in una vecchia taberna di mia proprietà, peraltro a pochi passi dalla mia domus, di cui mio figlio ha avuto da me le chiavi?
– Messa in questi termini direi proprio di no, flamen, – rispose gravemente il proconsole – ma le accuse più serie sono ben altre: associazione illegale, attività sediziosa, l’imprimitura e la diffusione di quel libello sovversivo. Sono queste le cose che dovresti spiegare!
– D’accordo, allora dimentichiamoci della questione del sodalizio segreto. Sul fatto che si sia trattato di una associazione illegale tornerò più avanti, parliamo prima delle cosiddette attività sovversive. – Si rivolse di nuovo al povero Domiziano: – Per quanto tempo hai fatto parte dei Figli della Gallia?
– Circa per due mesi, forse qualche giorno in più.
– E in questo tempo, a quante riunioni segrete alla Taberna dell’Erma hai partecipato?
– Sei in totale, se ricordo bene.
– E in queste riunioni hai mai sentito parlare di organizzare una rivolta armata?
– No, ma…
– Azioni illegali? Attentati?
– No, ma si parlava, – indicò il gruppo alla sinistra – tutti loro parlavano, dell’ingiustizia delle tasse che Roma impone al popolo della Gallia e del fatto che non si può andare avanti così.
– Quindi non hai mai veramente sentito qualcuno proporre un’azione violenta contro Roma o i suoi rappresentanti?
– No, ma era implicito nei discorsi sul cambiare lo stato delle cose…
Proconsole, devo davvero spiegare a questo giovanotto la differenza tra le parole “sedizione” e “politica” o possiamo andare avanti e dare per scontato che l’accusa di sedizione non sia mai stata formulata?
– Penso che possiamo andare avanti, flamen. – Rivolgendosi a Domiziano: – Cneo Domiziano, lamentarsi delle tasse non è un delitto, finché uno le paga. Cercare di modificare lo status quo non è un delitto, è lo scopo fondamentale della politica, finché viene perseguito con mezzi leciti. Se questi giovani non parlavano di usare le armi, o altri mezzi illeciti, per cambiare il mondo non sono dei criminali, al massimo sono degli illusi.
– Grazie, proconsole. Adesso arriviamo al quarto punto dell’accusa: il famigerato libello. Cneo Domiziano, – chiese rivolgendosi alla spia – sai dirmi come è nata l’idea di scrivere e distribuire quella specie di proclama?
– Non ricordo bene, credo che sia stata un’idea di Cingeto, cioè – si corresse subito – di Lucio Iulio Enobarbo.
– Sei sicuro? Perché a me è stato detto che l’idea di “far sapere alla Gallia della vostra protesta senza esporvi in prima persona” fosse venuta a te.
– Ehm… Può darsi che io abbia effettivamente detto una frase del genere, ma il testo l’ha scritto Lucio!
– Quindi i tuoi compiti come infiltrato nei Figli della Gallia non erano limitati allo spiare le loro attività, ma comprendevano anche l’istigarli a compiere azioni illegali allo scopo di poterli accusare? – Improvvisamente il tono di Canio Rufo non era più così amichevole.
– Non mi sembra che abbiano avuto un gran bisogno di essere istigati! – Gli urlò Domiziano in risposta.
– D’accordo. Allora guardiamo questo famoso proclama: possibile che lo stiamo veramente considerando come prova di un’attività sediziosa? Ma davvero sono l’unico tra i presenti a che si renda conto che è semplicemente una burla?
– Se è una burla, non mi ha fatto ridere per niente, Tito Canio Rufo. – Intervenne bruscamente il proconsole.
– Allora vogliamo veramente credere che una banda di irriducibili galli stia pianificando un attacco alle istituzioni repubblicane e lo faccia copiando un testo di Cicerone? Questo testo non è che una parodia della prima Oratio in Catilinam di Cicerone; e non è neanche una buona parodia, sono solo alcuni brani copiati parola per parola cambiando solo i nomi! – Gli occhi di sette Figli della Gallia si girarono a guardare Lucio, che ebbe il buon gusto di arrossire. – Vogliamo veramente credere che un rivoluzionario che vuole abbattere la Repubblica lo farebbe copiando un testo del massimo sostenitore della Repubblica stessa?
Flamen, qui non è in discussione lo stile del testo, ma il suo contenuto! – Il proconsole cominciava a mostrarsi davvero irritato: – In quel proclama, che sia stato scritto dagli accusati, da Cicerone o da chi vuoi tu, si rivolgono delle accuse infamanti alla mia persona e alla mia carica e quindi, indirettamente, queste accuse vengono rivolte anche al Senato di Roma che io rappresento.
Egidio Iulio Enobarbo era rimasto zitto fino ad adesso lasciando la parola al flamen, ma adesso esplose: – Accuse infamanti dici? Ma sono le stesse cose che sono sulla bocca di tutti i cittadini, in tutta la Provincia! Se non vuoi essere accusato di ingordigia, forse potresti evitare di arricchirti indebitamente ai danni del popolo.
– Egidio Iulio Enobarbo, sei impazzito? – Gli rispose urlando il proconsole: – Io sarei quindi un mostro di ingordigia e di corruzione? Io mi arricchirei alle spalle dei cittadini di questa Provincia? Io, che non ho mai abusato della mia carica, che non ho mai tratto un profitto personale dal mio compito di leale servitore della Repubblica, dovrei essere trattato da te e da tuo figlio come un nuovo Licinio Verre5? Come osi affermare cose simili?
– Non hai mai abusato? E i duecentomila sesterzi che mi hai chiesto pochi giorni fa per risparmiare a mio figlio queste accuse da farsa?
– Allora sei davvero impazzito! – Mario Prisco era rosso in volto dalla rabbia: – Di quali duecentomila sesterzi vai parlando?
– Quelli che il tuo segretario mi ha chiesto a tuo nome non più di dieci giorni fa! Credo che tu abbia fatto la stessa richiesta anche a Canio Rufo.
– Veramente a me ne ha chiesti solo centomila, probabilmente perché tu sei più ricco di me…
– Questa è una spudorata menzogna! – Questa volta era stato Citrio Pio a intervenire: – Io non ho mai chiesto nulla del genere e non vi ho nemmeno mai incontrati prima d’oggi.
– Però è vero che eri ad Arelate dieci giorni fa. – Il proconsole sembrava avere dei dubbi: – Sei rimasto là due giorni per incontrarti con il tuo informatore.
– E per venirci a ricattare con la minaccia di un processo per sedizione. – Aggiunse Egidio.
– Certo che ero ad Arelate, e può anche darsi che uno di questi due mi abbia visto di sfuggita al foro, o in qualche altro luogo pubblico. – Confermò il segretario: – Ma certamente non ho mai parlato con loro e non ho chiesto denaro per corromperti, proconsole. Non mi sarei nemmeno sognato di metterli in guardia riguardo all’inchiesta che si stava preparando; ti sembra possibile che mentre raccogliamo informazioni su una congiura, io ne vada a parlare con i parenti di due dei sospettati? Questi stanno inventando tutto per salvare i loro figli.
– Effettivamente questa faccenda non mi sembra per niente chiara. – Il proconsole non sembrava molto convinto di nessuna delle due versioni dei fatti: – Dopotutto conosco Citrio da quando era un ragazzo, e mi ha sempre servito fedelmente: avete qualche prova a sostegno questa incredibile accusa che gli rivolgete?
– No proconsole, – gli rispose Canio Rufo – non abbiamo nessuna prova: questo disgraziato è stato ben attento a incontrarci in privato, in assenza di testimoni.
– Però, se come tu affermi sei sempre stato un leale servitore della Repubblica, – aggiunse Egidio – non dovrebbe esserti difficile dimostrare la sua colpa: non c’è praticamente un cittadino in tutta la Provincia che in questi anni non si sia trovato a dover comprare i tuoi, o forse dovrei dire i suoi, favori.
– Indagheremo, – rispose il proconsole, guardando in faccia Citrio Pio – e chiunque sia il responsabile di questa situazione verrà punito con estrema severità.
– Non sarebbe meglio, – propose Canio Rufo – lasciare questa indagine nelle mani del praetor peregrinus Quinto Metello quando arriverà da Roma? In questo modo nessuno in seguito potrà mettere in dubbio la tua imparzialità sulla questione.
– E tu come sai dell’arrivo del praetor? – Abbaiò Mario Prisco: – La sua missione nella Narbonensis doveva essere segreta! Dove ne hai sentito parlare?
Il flamen si limitò a indicare il segretario, che era improvvisamente impallidito: – Me l’ha detto lui quando è venuto ad Arelate: mi ha detto che l’arrivo del praetor a Narbo è atteso per le Idus, e ha insistito molto per convincermi del rischio connesso all’inchiesta se non avessimo fatto qualcosa prima del suo arrivo…
Il proconsole si girò a guardare Citrio Pio e gli lesse in faccia la disperazione: – Tu! Hai davvero fatto queste cose? Hai estorto denaro infangando il mio nome per il tuo profitto personale? – Attese inutilmente una risposta dal segretario che, per una volta, non aveva parole per uscire dal disastro in cui si era cacciato.
Milites, arrestate Citrio Pio e mettetelo in cella, sotto sorveglianza continua. – Il proconsole si rivolse di nuovo a Egidio: – Ti devo delle scuse per quanto ho detto prima, Iulio Enobarbo: della venuta del praetor peregrinus eravamo a conoscenza solo io e il mio segretario, il fatto stesso che ve ne abbia parlato lo condanna. Le accuse contro di lui verranno formalizzate dopo un’inchiesta su quanto ha fatto alle mie spalle in questi anni.


Ci fu una breve interruzione, durante la quale il segretario fu portato via, scortato da quattro milites, e poi il proconsole riprese la parola: – Sembra che io abbia protetto e mantenuto un serpente traditore per chissà quanto tempo. – Si rivolse direttamente al gruppo dei ragazzi: – Tutto sommato vi dovrei ringraziare per avermi aperto gli occhi con quel vostro ridicolo proclama: di conseguenza rinuncio a perseguirvi, anche se sarebbe mio diritto, per le ingiurie rivolte alla mia persona che sono in esso contenute.
– Quindi possiamo ritenere che tutte le accuse siano cadute? – Chiese Egidio.
– Non così in fretta, Iulio Enobarbo. – Il proconsole era di nuovo nella sua veste di rigido magistrato: – È rimasto un punto che il tuo collega Canio Rufo ha lasciato in sospeso, e non è cosa da poco. Tu sai bene che a partire dalla promulgazione della Lex Licinia de sodaliciis, poi confermata ed estesa da diverse altre leggi e senatoconsulti, è tassativamente proibita la costituzione di sodalicia o collegia che non siano stati preventivamente autorizzati dal Senato o da un suo rappresentante. Temo quindi che questi giovani dovranno rispondere di questa accusa, anche se è sicuramente la meno grave tra quelle che erano state inizialmente formulate.
– Permettimi di intervenire, proconsole, – ribatté pronto Canio Rufo – c’è un motivo se prima avevo trascurato questo punto. Il fatto è che questa accusa semplicemente non ha ragione di essere, in quanto la legge a cui ti riferisci esclude esplicitamente i collegia religiosi.
– Hai forse intenzione di sostenere che questi Figli della Gallia sono un’associazione con scopi religiosi? – Chiese Mario Prisco con aria stupita.
– Effettivamente sì, proconsole. Devi sapere che la cosiddetta Taberna dell’Erma era di mia proprietà fino a poco tempo fa ma, a seguito dei fatti che hanno condotto a questa inchiesta, è stata portata alla mia attenzione l’esistenza di questa erma, che si trova proprio sullo stipite della sua porta. Si tratta di un’immagine sacra dedicata a Mercurius Lugus, una divinità locale protettrice degli artigiani, e quindi anche dei sutores da cui prende il nome la via; nella mia doppia veste di proprietario dell’edificio e di flamen mercurialis ho donato la taberna stessa al tempio di Mercurio proprio due giorni fa: ho qui il documento firmato e controfirmato da testimoni. – E dicendo questo esibì un paio di pugillaria sigillati.
– E questo in che modo potrebbe modificare la posizione dei Figli della Gallia, flamen?
– Beh, quelli che tu chiami “Figli della Gallia” sono adesso a tutti gli effetti un collegium sacro a Mercurius Lugus, il loro nome completo è Sacri Venerabilisque Hermae Collegium6. Te lo posso ufficialmente confermare in quanto flamen mercurialis, e questo fatto pone il collegium al di fuori dell’applicabilità della Lex Licinia.
In tanti anni nessuno aveva mai visto il proconsole ridere. E di tutte le sorprese della giornata, forse quella più difficile da credere era proprio il fatto che stesse ridendo mentre chiudeva la seduta: – Fuori di qui, tutti! Non ci sono più accuse contro di voi, siete liberi di tornarvene a casa ma, per tutti gli dei, fate che io non senta mai più parlare dei Figli della Gallia.


5 Propraetor della provincia di Sicilia, accusato da Cicerone per i furti e gli episodi di corruzione commessi durante il suo mandato, fuggì in esilio volontario in Hispania per evitare la condanna.

6 Collegio della Sacra e Venerabile Erma

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