Castrum Sahris, a.d. VII Kal. Mai. 874 AUC
Siamo ripartiti dall’Insula Ninguaria dopo aver fatto rifornimento e abbiamo preso la rotta di sudest.
Come previsto dopo quattro giorni abbiamo raggiunto il continente; da lì abbiamo proseguito per altri otto giorni seguendo la linea costiera in direzione sud.
Adesso stiamo cercando il posto adatto per attuare la prima fase di quella che, se avrà successo, verrà ricordata come la Manovra di Aktis.
– Bene, continuiamo ad avvicinarci, ma andiamo pianissimo… attenti a non finire su una secca.
La Inceptio aveva aggirato un lungo promontorio che delimitava un golfo ampio forse una decina di miglia e lungo quindici. Il promontorio, orientato in direzione sud, terminava con una specie di isoletta rocciosa, collegata ad esso solo da una stretta lingua di terra.
Proprio qui, nel punto più stretto dell’istmo, Dominico stava facendo accostare la nave alla ricerca di un punto in cui fosse possibile gettare l’ancora e sbarcare.
Gli addetti agli scandagli si sporgevano dal parapetto e si gridavano l’un l’altro i valori di profondità del fondale. I dati erano incoraggianti: a circa un miglio dalla costa avevano trovato il fondale a centocinquanta cubiti di profondità e, durante l’avvicinamento alla riva, non era mai sceso a meno di cento cubiti.
Ora, a meno di cento passi dalla spiaggia, il fondale era bruscamente arrivato a soli venticinque cubiti: bisognava procedere con estrema attenzione ed essere pronti a fermarsi prima di strisciare la chiglia sul fondo che, comunque, risultava essere sabbioso. Finalmente, a soli venti passi dalla riva, lo scandaglio segnalò una profondità di dodici cubiti e Dominico ordinò di gettare le ancore e calare le scialuppe.
Le due scialuppe a poppa della grande nave vennero slegate dai loro supporti e calate con gli argani; come organizzato in precedenza quattordici uomini dell’equipaggio, sette per barca, si calarono con le scale di corda, portando con sé fagotti di attrezzi. Saliti a bordo, sganciarono le barche dai cavi e remarono fino a riva. Sei di loro le riportarono indietro e la stessa operazione venne ripetuta altre quattro volte; alla fine, in meno di un’ora, quaranta uomini erano a terra e le due scialuppe stavano tornando ancora una volta alla nave.
Intanto a bordo della Inceptio buona parte dell’equipaggio era al lavoro: la stiva veniva parzialmente svuotata e il carico portato al castello di poppa dove anfore e barili venivano ammucchiati sulle reti che li avrebbero poi calati in mare per mezzo dell’argano.
Mentre la squadra a terra lavorava sotto il sole implacabile con zappe e vanghe, metà del carico della nave venne così calato in mare e trasportato o trainato a terra; gli uomini che effettuavano il trasbordo si andavano man mano ad aggiungere a quelli che stavano lavorando allo scavo che si stava ormai delineando come una fossa quadrata di circa cento cubiti di lato.
– Bene, Aktis, entro domani dovremmo aver terminato la prima fase del tuo progetto.
– Sì trierarca. D’altra parte, – aggiunse con modestia – non è che si tratti di un’idea così originale: le legioni l’hanno fatto più volte per centinaia d’anni. Dovendo attraversare un territorio disabitato, si mandano avanti squadre a costruire e presidiare degli horrea, così la legione ha davanti a sé una serie di punti di rifornimento.
– Quello che stiamo facendo è però una cosa leggermente diversa, – lo corresse Dominico – siamo noi che stiamo preparando le scorte che serviranno a noi stessi per attraversare il deserto. – Rivolgendosi ad Azrur: – Come hai detto che si chiama questo deserto? Tivririn?
– No trierarca. Tivririn è un termine generico per indicare un deserto con le colline di sabbia che si spostano col vento; gli imazighen chiamano questo deserto Sahr.
– Molto bene. Allora se questo è il Sahr, – decise Dominico – questo primo insediamento romano al di fuori dell’ecumene si chiamerà Castrum Sahris.
– Ma se lasciamo qui tutte queste provviste, non rischiamo di restare senza durante il viaggio di ritorno? – Intervenne il medico che era lì insieme a loro.
– No Gibil sta tranquillo, è tutto calcolato. – Gli rispose Aktis con sicurezza: – Per arrivare qui da Ninguaria ci sono voluti dodici giorni, e abbiamo consumato poco più di un terzo delle nostre scorte. Adesso ne abbiamo sbarcate circa altrettante, in realtà qualcosa di più e quindi ci rimangono nella stiva circa un quarto dei rifornimenti iniziali.
– E quindi, come speri di ritornare a Ninguaria? Un quarto è molto meno di “poco più di un terzo”…
– È vero, ma dimentichi alcuni particolari. In primo luogo, torneremo più leggeri, avendo solo un quarto delle provviste rispetto all’andata. E poi avremo anche meno bocche da sfamare, visto che sessanta uomini della seconda e della terza centuria resteranno qua come guarnigione a proteggere i nostri horrea. Infine, non so se l’hai notato, mentre venivamo a sud abbiamo avuto quasi sempre il vento contrario; al ritorno l’avremo a favore e quindi invece di dodici giorni ce ne metteremo probabilmente solo nove o dieci.
– Quindi lasciamo qui una squadra, torniamo a Ninguaria, rifacciamo il carico e torniamo a prenderli?
– Esattamente. E se i calcoli sono corretti, tra venti giorni o poco più ripartiremo da qui con le scorte al completo. – Intervenne Dominico: – Avrai forse notato, Gibil, che nella stiva abbiamo più barili di posca che di acqua: quella che stiamo scaricando qui è quasi solo posca, che si conserva senza andare a male molto più a lungo dell’acqua. Quando torneremo, invece, avremo con noi soprattutto acqua.
– Trierarca, posso disturbarti un momento? avrei bisogno di chiederti una cosa.
– Certo, Tolomeo, dimmi.
– Vorrei l’autorizzazione a scendere a terra con i miei assistenti e alcuni strumenti, – chiese l’astrologo – e a fermarmi lì per la notte.
– Certamente. Puoi usare una delle scialuppe appena torna alla nave. Ma laggiù è tutta sabbia e roccia, cosa ci andate a fare?
– Per misurare le stelle.
– Misurare le stelle? – Ripeté il medico con aria stupita: – Come si possono misurare le stelle?
– Hai ragione Gibil, mi sono espresso male. Quello che voglio fare è misurare la posizione delle stelle.
– Non è che questa tua affermazione mi sembri un gran che più sensata della precedente. – Rispose il medico, sarcastico: – Le stelle si muovono, sorgono e tramontano, questo lo sanno tutti. Che senso ha misurarne la posizione, se non stanno mai ferme?
– Beh, le cose non sono così semplici come le stai descrivendo tu. Tanto per cominciare non tutte le stelle sorgono e tramontano, ce ne sono alcune che sono così vicine al mozzo della loro sfera che girano intorno al cielo senza mai tramontare; le più importanti sono Polos e Cynosura, che girano incessantemente intorno all’asse del cielo, una da una parte e una dall’altra. E poi ci sono quelle che noi astrologi chiamiamo planetae, le stelle vagabonde, che si muovono tra le altre stelle dello zodiaco seguendo sentieri a volte tortuosi.
– E quindi voi astrologi passate il tempo a seguire le stelle e a determinarne il percorso? – Chiese Gibil un po’ scettico: – E posso chiederti a cosa serve tutto questo lavoro?
– A molte cose, amico mio. Il movimento degli astri riflette e causa ciò che accade nel mondo sublunare, il nostro mondo. Per fare un esempio, conoscere e prevedere il loro moto, sapere dove si trovava, si trova o si troverà ciascuno di loro in un determinato momento, è la base della scienza della divinazione sviluppata in molti secoli dai magi caldei. Lo studio del moto degli astri è una delle mie occupazioni principali alla biblioteca di Alexandria dove lavoro normalmente.
– Quindi l’astrologo studia il movimento di queste stelle planetae come segni di quello che succede nel mondo, – adesso Gibil sembrava più interessato – un po’ come un medico che studia i segni di una malattia per determinarne le cause e individuare una cura?
– Proprio così, è un’analogia calzante. Infatti in entrambi i casi parliamo di segni, e sia nel caso dei danni prodotti da una malattia che in quello del movimento degli astri possiamo cercare di inferirne le cause partendo da essi, ma è un’operazione difficile e richiede molto studio. In un certo senso, è come se cercassimo di vedere qualcosa in una stanza buia, guardando attraverso uno specchio deformato. Le cause degli eventi del mondo sono oscure, e noi le possiamo conoscere solo mediante lo specchio dei segni che loro ci lasciano intravedere.
– E quindi voi volete andare a terra per studiare le stelle per prevedere il futuro della spedizione? – Lo interruppe Dominico: – Ma non potreste farlo ugualmente bene restando a bordo della nave?
– No, trierarca, voglio studiare la posizione delle stelle per sapere dove siamo esattamente, e non posso farlo dalla nave perché, anche se siamo all’ancora, il ponte oscilla troppo per fare delle misurazioni precise.
– In che modo le stelle possono dirti dove siamo? – Gibil adesso era veramente confuso: – Questo posto non aveva neanche un nome prima che glielo dessimo noi.
– Vedi, – cominciò a spiegare Tolomeo – le stelle di cui parlavo prima, Polos e Cynosura, girano incessantemente intorno all’asse del cielo. Loro non si spostano da lì, ma se noi ci muoviamo verso sud, parasanga dopo parasanga, ci sembra che scendano lentamente verso l’orizzonte. Questo è dovuto al fatto che il mondo è una sfera e spostandoci in luoghi diversi vediamo parti diverse della sfera celeste. Quando eravamo a Tamusiga ho effettuato rilevazioni molto precise e ho scoperto con una certa sorpresa che quella città è solo una ventina di miglia a sud di Alexandria…
– Non è possibile! – Lo interruppe il medico: – Da Alexandria a Tamusiga ci sono più di duemila miglia di costa, come puoi sostenere che siano solo venti?
– Non ho detto che si trova a venti miglia di distanza, ma che è a sole venti miglia più a sud. – Cercò di spiegare Tolomeo: – Mettiamola così: se tu partissi da Tamusiga e ti spostassi sempre verso est, prima o poi arriveresti in un punto che si trova esattamente a venti miglia a sud di Alexandria.
– Ora ho capito quello che vuoi dire. Tu quindi vorresti ripetere le misurazioni anche qui per sapere quanto siamo più a sud di Alexandria?
– Proprio così, e questo ci aiuterà nel lavoro che io e i miei assistenti stiamo facendo: un periplus dell’intero orbis. Dai dati che otterremo misurando la posizione delle stelle, potremo calcolare le distanze tra una tappa e l’altra del nostro viaggio con una precisione mai vista prima.
Prima del tramonto tutto il carico era stato sbarcato.
Sul rilievo del promontorio lavoravano adesso circa centosessanta legionari che ormai avevano realizzato un castellum in piena regola: naturalmente non avevano pali per erigere un vallum come si deve, ma avevano già completato un agger di dieci piedi d’altezza, circondato da un fossum altrettanto profondo.
Il terreno all’interno dell’agger era stato organizzato come al solito mediante passaggi rettilinei: la Via Praetoria, la Via Quintana e la Via Principalis dividevano il castrum in settori, a loro volta suddivisi in strigae da passaggi di minore ampiezza. Mancava la Porta Decumana a interrompere l’agger sul lato sud, in quanto l’area della retentura sarebbe stata interamente dedicata agli horrea e quindi non avrebbe avuto senso lasciare una via d’accesso da quella parte; sarebbe stato solo un punto debole in più da dover vigilare.
All’interno alcuni degli uomini stavano montando una ventina di tende, altri si davano da fare per preparare la cena, altri ancora stavano trasportando gli ultimi barili da conservare fino al ritorno della nave e allestendo gli horrea veri e propri. Questi ultimi erano costituiti semplicemente da una fossa coperta da un grande tendone, realizzato con il tessuto trasportato nella stiva per riparare o sostituire le vele in caso di bisogno, sostenuto e ancorato da un’impalcatura realizzata legando tra loro i remi dei milites che si sarebbero fermati lì a fare da guarnigione.
Tolomeo e i suoi assistenti avevano trovato un posto dove installarsi con gli strumenti per fare le loro misurazioni. Al di fuori dell’agger, per evitare di essere disturbati dalla luce dei fuochi da campo, ma a meno di cento passi di distanza, per esplicito ordine di Dominico, in quanto non si sapeva se questo luogo selvaggio e inesplorato potesse riservare delle brutte sorprese.
Terminata la cena Tito Fusco, centurione della seconda centuria e temporaneamente nominato praefectus castrorum, fissò i turni di guardia e congedò la truppa. I dodici milites assegnati al primo turno cominciarono la loro ronda al di fuori dell’agger, mentre quelli del terzo e quarto turno si ritirarono nelle tende per dormire.
Ciascun turno di guardia durava per una vigilia, cioè un quarto del tempo che intercorre tra il tramonto e l’alba. I milites assegnati al secondo turno decisero che non valeva la pena di cercare di dormire per essere svegliati quasi subito, e quindi rimasero intorno ai fuochi insieme ai colleghi delle altre centuriae che erano scesi a terra per aiutare ad allestire il castrum ma non erano stati assegnati ai turni di guardia.
Il giorno successivo, all’alba, i milites in soprannumero si sarebbero imbarcati di nuovo, insieme a Tolomeo e ai suoi assistenti.
Poi sarebbero ripartiti verso nord, lasciando alla piccola guarnigione del nuovo castellum di Sahr una delle due scialuppe e il physiologo Arvind che voleva studiare i pesci e le testudines dei dintorni.