Capitolo 14


Marcatura ad acqua – Classi sociali – Sigilli

Roma, a.d. III Non. Dec. 810 AUC

Erano passati più due mesi dal primo esperimento di produzione dello scinzi e Mamilia Lydia si trovava nuovamente alla villa di Pistoriae, a verificare i progressi del lavoro di Ramaswami. A causa dell’autunno già inoltrato era venuta da Roma con un carro coperto, accompagnata da soli quattro schiavi e con pochissimo bagaglio; contava di fermarsi alla villa non più di tre o quattro giorni e rientrare in città prima dell’inizio dei Saturnalia.
In questi due mesi alla villa molte cose erano cambiate. La più appariscente era l’aggiunta di un grande edificio a un solo piano, sporgente dall’ala di sinistra, realizzato prevalentemente in legno ma con il tetto coperto di tegole di terracotta; si trattava evidentemente del nuovo laboratorio per la produzione dello scinzi diretto dall’indiano. L’estremità della costruzione arrivava fino al ruscello che era stato chiuso da una piccola diga a formare una gora che, a sua volta, alimentava una ruota da mulino.
L’altro cambiamento importante, Lydia lo sapeva perché aveva dovuto pagarne i lavori, riguardava i vecchi maceri; le tre piscine rettangolari erano state svuotate dall’acqua e le loro pareti e il fondo erano stati rivestiti in opus caementicium, i condotti di riempimento revisionati ed erano stati installati dei filtri nei canali scolmatori per limitare le perdite di fibra.
Il terzo cambiamento era più sottile: da quando era diventato direttore della fabbrica di scinzi, Ramaswami non si comportava più come un ospite ma, almeno nei confronti di Tito Arruntio, come se fosse il padrone. La cosa infastidì non poco Lydia, che conosceva Tito sin da quando era bambina e lo considerava più un membro della famiglia che un dipendente; si ripromise di parlarne in privato con l’indiano.


– Vedi, kyria, come abbiamo organizzato bene il lavoro? – Un raggiante Ramaswami stava mostrando a Mamilia Lydia l’interno del nuovo edificio: – Qui abbiamo il mulino per macinare le fibre: gli stracci e la fibra grezza entrano dalla tramoggia e vengono prima triturati dalle lame e poi macinati dalla mola; la fibra polverizzata viene poi portata in sacchi ai maceri dove resta per almeno dieci giorni.
L’indiano guidò Lydia nella parte centrale del grande capannone: – Qui invece abbiamo la parte più importante della lavorazione; come vedi ci sono cinque schiavi che lavorano ai telai per raccogliere la pasta e riportarla sui panni. È il momento più delicato, perché se si prende uno strato troppo spesso, verrà un foglio grossolano, mentre se lo fanno troppo sottile il foglio si romperà asciugandosi.
– Sembra che se la cavino abbastanza bene. – Commentò Lydia: – Quanto producono ogni giorno?
– Circa cinquanta fogli a testa, duecentocinquanta tra tutti loro. Ma, – si affrettò ad aggiungere – solo tre giorni ogni cinque, perché poi bisogna pulire le vasche e preparare una nuova miscela.
– Fanno comunque quattromilacinquecento fogli al mese. – Osservò Lydia ammirata.
– Sì, anche se c’è un po’ di scarto, dovuti a errori o a impurità presenti nella fibra; comunque negli ultimi trenta giorni abbiamo prodotto circa quattromila fogli di buona qualità. E qui, – continuò l’indiano indicando l’ultima sezione dell’edificio – abbiamo l’asciugatura, la pressatura e il taglio.
– E quelli cosa sono? – Chiese Lydia indicando una pila di una quarantina di fogli buttati in un angolo.
Ramaswami seguì il suo sguardo e si rabbuiò: – Scarti! Lo schiavo che ha rovinato quella partita dovrà essere frustato, così forse imparerà a fare meglio il suo lavoro. I rulli di pressatura vanno puliti tutte le sere con una spazzola di setole di cinghiale per togliere gli eventuali residui di fibra rimasti attaccati. – L’indiano prese in mano uno dei fogli scartati e lo mostrò a Lydia: – Evidentemente ieri sera Felix non aveva voglia di pulire i rulli, o se ne è dimenticato; se uno dei ragazzi non si fosse accorto per caso del problema avremmo rovinato tutta la produzione di oggi!
– Non mi pare che sia rovinato, Ramaswami, a me sembra un foglio perfettamente normale.
– Sì, kyria, a prima vista sembra che sia a posto; prova però a guardarlo controluce.
Mamilia Lydia prese il foglio di scinzi e si avvicinò a una delle grandi finestre sulla parete sud. Sollevandolo in modo da interporlo tra sé e la luce, vide quello di cui parlava l’indiano: – Che strano. In condizioni normali non si vede niente, ma illuminandolo da dietro si vedono una serie di segni più chiari, puntini e ghirigori… Dimmi, Ramaswami, com’è successa una cosa del genere?
– Come ti ho detto, – spiegò pazientemente Ramaswami – Felix non ha pulito i rulli ieri sera e le incrostazioni su di essi si sono seccate. Quando stamattina hanno cominciato a pressare i fogli, nei punti dove c’era materiale incrostato i rulli hanno premuto più a fondo, schiacciando eccessivamente lo scinzi ancora umido. Quando ce ne siamo accorti si era già asciugato del tutto e allora non c’era più niente da fare: quei segni che vedi sono ormai permanenti e il foglio è da buttare via.
– Già, hai proprio ragione… – Ammise Lydia con aria pensierosa.


– Ramaswami, vorrei parlarti di una questione abbastanza delicata.
Era l’inizio della nona ora e si trovavano nel triclinium della villa per cenare: – Dimmi, kyria, di cosa si tratta?
– Si tratta di Tito Arruntio, – cominciò Lydia mentre due schiave servivano la gustatio: uova di quaglia sode insaporite con il garum, olive fresche e focacce di farina d’orzo condite con olio e sale – e del modo come tratti lui e la sua famiglia. Ho notato che ti rivolgi a loro con il tono del padrone che dà ordini ai servi, e…
– Ma non è quello che sono? – L’indiano sembrava stupito dell’osservazione di Lydia.
– No, non lo sono. E se anche lo fossero, – aggiunse in tono glaciale – non saresti tu il loro padrone.
– Scusami, kyria, non volevo…
– Non preoccuparti, Ramaswami, non sono offesa. – Lydia si portò alle labbra la coppa di vino che la schiava aveva appena riempito – Ma Tito Arruntio è il vilicus di questa tenuta da prima che io nascessi e, legalmente, hanno uno status maggiore del tuo e del mio.
– Ma loro svolgono un lavoro servile.
– Tu sei un peregrinus, uno straniero, e non hai diritti civili a Roma, mentre io sono solo una libertina, la figlia di un liberto: sono nata libera e cittadina romana, ma mio padre è stato schiavo, e questo mi pone al penultimo livello della scala sociale tra i cittadini. – Cominciò a spiegare Lydia: – Tito Arruntio e la sua famiglia invece sono cittadini romani sin dai tempi della Guerra Sociale, quasi centocinquanta anni fa, e godono dei pieni diritti civili.
– Non capisco, loro prendono ordini da te, e anche da me.
– Il fatto che io sia una libertina ricca, mentre lui è un civis romanus povero, fa sì che lui e i suoi lavorano per me, in cambio di uno stipendio; e visto che tu sei il mio socio nell’impresa dello scinzi, considerano i tuoi ordini come se fossero i miei. Ma questo non fa di loro degli schiavi, e il modo come li tratti potrebbe essere giustamente considerato un affronto alla loro dignitas.
– Credo di cominciare a capire, kyria, – rispose Ramaswami pensoso, mentre veniva servito di una abbondante porzione di triglia arrostita. Lydia aveva un debole per il pesce, e quando era alla villa lo faceva arrivare fresco da Pisae – ma è tutto così complicato! Nel mio paese è molto più semplice: la divisione tra le classi è più netta e rigida: non troveresti mai uno kshatriya lavorare per un vaisya, morirebbe di fame piuttosto che prendere ordini da lui.
– Non ho idea di cosa sia un vaisya – rispose Lydia con un sorriso – ma credo di aver afferrato il concetto. Sì, qui da noi le distinzioni sono molto più sfumate: a Roma ci sono dei ricchi liberti che possono decidere le azioni di equites o anche di senatori; ma questi ultimi non potrebbero mai permettersi di ricevere da loro degli ordini diretti, in quanto sarebbe contrario alla loro dignitas.
– Quindi, correggimi se sbaglio, Tito Arruntio e i suoi figli sono nominalmente nostri superiori, ma siccome lavorano per te faranno quello chiediamo loro fintanto che non li trattiamo come inferiori, giusto?
– Abbastanza corretto, sì. Inoltre, – aggiunse Lydia, mentre la schiava le riempiva nuovamente la coppa – Tito mi ha praticamente visto nascere e sua moglie mi ha fatto da bambinaia, quindi ho nei loro confronti un debito di affetto e gratitudine; non è facilmente quantificabile, ma capisci che vederli trattare come dei semplici schiavi mi disturba.
– D’accordo, kyria, hai fatto bene a spiegarmi queste cose. Ti prometto che in futuro starò più attento a come mi comporto con loro.
Mentre veniva portata in tavola una seconda portata, un arrosto di carne di maiale marinato in una salsa in cui predominava l’aroma pungente del garum, Lydia si rivolse a una delle schiave: – È molto buono questo vino. È quello che produciamo noi?
– Sì, domina, – rispose la ragazza – Tito ci ha detto di servirti quello della vendemmia di tre anni fa, che pare sia stata un’annata eccezionalmente buona.
– Lo è davvero. – Lydia tornò a rivolgersi all’indiano: – C’è un’altra cosa di cui volevo parlarti, sulla quale ho riflettuto a lungo. Hai presente quei fogli di scinzi difettosi che mi hai mostrato questa mattina?
– Naturalmente. Quaranta fogli rovinati per colpa di uno schiavo troppo pigro…
– Ecco, stavo pensando che forse la sua pigrizia potrebbe averci dato qualcosa di utile. Credi che quello che è successo per errore si potrebbe ripetere apposta?
– Per rovinare altri fogli, kyria? – Ramaswami sembrava perplesso.
– No, non per rovinarli. – Rise Mamilia Lydia: – Mi domandavo cosa succederebbe se facessimo dei rulli di pressatura con inciso sopra un disegno in rilievo e li usassimo sui fogli ancora umidi.
– Probabilmente otterremmo dei fogli di scinzi con il disegno impresso alla stessa maniera dei segni che hai visto oggi, visibile in trasparenza ma non nel modo normale; si potrebbe chiamare marcatura ad acqua, dato che è l’umidità del foglio e non un inchiostro a rendere permanenti i segni. Quello che non capisco è a cosa potrebbe servire una cosa del genere.
La conversazione venne interrotta nuovamente dall’arrivo di un piatto che attirò tutta l’attenzione di Lydia. Si trattava dei famosi pasticcini di farina di castagne al miele, che l’avevano colpita in modo così gradevole in una sua visita precedente.
Dopo il secondo dolcetto, Lydia riprese il filo del discorso: – Mi stavi chiedendo a cosa potrebbero servire dei fogli di scinzi con disegni che si vedono solo in trasparenza. È presto detto: a fare documenti quasi impossibili da falsificare.
– Mmm… È un’idea interessante, ma che vantaggio avrebbe sui sigilli che si usano normalmente a questo scopo?
– È semplice, i sigilli si possono falsificare facilmente, e viene fatto in continuazione.
– Stai scherzando, kyria?
– No, per niente. Una persona che conoscevo, – spiegò mantenendosi sul vago, non aveva intenzione di parlare a Ramaswami di Caio Arrio – una volta mi ha spiegato come si fa ad alterare un documento sigillato: prima di rompere il sigillo, lo ricopri delicatamente di polvere di gypsum impastata con l’acqua; aspetti che l’impasto si secchi, ci vuole solo qualche ora, e poi stacchi con cautela questo calco dal sigillo originale. A questo punto puoi rompere il sigillo, leggere il documento ed eventualmente anche modificarlo; poi lo richiudi e lo sigilli di nuovo utilizzando il calco per imprimere la cera fusa, probabilmente il gypsum si romperà nel toglierlo dalla cera, ma ormai hai sigillato di nuovo il tuo documento e nessuno può accorgersi che è stato manomesso.
– Sembra che questo tuo conoscente fosse un esperto di faccende poco pulite…
– Mi disse che lui non l’aveva mai fatto, ma che conosceva un tale ad Alexandria che aveva utilizzato questo metodo per alterare dei testamenti e nessuno se ne era mai accorto.
– E come vorresti usare questa nuova tecnica di marcatura dello scinzi?
– Beh, supponi di essere un legato comandante e di dover mandare degli ordini a un tuo sottoposto. Tu scrivi gli ordini su un foglio di pergamena o su una tavoletta, la chiudi con il tuo sigillo e l’affidi a un portaordini, giusto?
– Certamente.
– Ora, se il tuo corriere viene intercettato dal nemico, e il nemico sa come usare il gypsum, può aprire il messaggio, alterarlo e sigillarlo di nuovo e farlo recapitare, e chiunque penserà che sia il messaggio originale, solo perché è chiuso con il sigillo del legato.
– Ah, adesso capisco. Tu stai pensando di fare dei fogli speciali di scinzi, con una marcatura ad acqua che ne garantisca l’autenticità.
– Esattamente. E solo chi conosce la tecnica per produrre lo scinzi, e quella per la marcatura ad acqua, potrebbe falsificarli! – Concluse Lydia: – Quindi dovremmo fare delle prove con cilindri incisi in vario modo, ma tenere il procedimento assolutamente segreto: se la cosa dovesse funzionare, questa faccenda potrebbe addirittura diventare un segreto di stato.

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