La villa – I balnea – I maceri – La gente della montagna
Pistoriae, a.d. IIII Non. Sext. 809 AUC
La villa rustica dei Mamilii, nella campagna tra Florentia e Pistoriae, era abbastanza grande senza essere particolarmente lussuosa e si trovava quasi esattamente al centro della loro proprietà, costituita da oltre trecentocinquanta iugera di terra.
L’edificio vero e proprio era costituito da un corpo principale riservato ai padroni, prevalentemente costruito in pietra, che si sviluppava su due piani e comprendeva un ampio atrium centrale, un triclinium con le pareti affrescate, il balneum, il tablinium e diverse camere private. Ai lati di questa abitazione padronale si estendevano, piegando verso verso il retro, due ali in mattoni a singolo piano contenenti i locali di servizio: l’ala destra comprendeva le cucine, le dispense e gli alloggiamenti degli schiavi domestici, mentre l’ala sinistra era formata dall’alloggio di Tito Arruntio, l’amministratore della tenuta, e della sua famiglia, seguito da altri magazzini e dalla cantina dei vini.
Ancora più indietro, prolungando le ali e chiudendo così l’ampia corte centrale, si trovava il corpo degli edifici della fattoria, prevalentemente realizzati in legno o a graticcio intonacato: le stalle, il fienile con il granaio sopraelevato, le officine di carpentiere e fabbro per la riparazione degli attrezzi e dei carri agricoli e i laboratori per la lavorazione dei latticini, la filatura e la tessitura della lana, la lavorazione di cesti e canestri in vimini e la produzione del vino.
Lydia arrivò alla villa nella tarda mattinata, insieme ai tre schiavi che l’avevano accompagnata nel viaggio, e venne subito accolta dal vilicus Tito Arruntio.
Tito era un uomo sulla quarantina, con lineamenti che tradivano chiaramente i suoi antenati etruschi, e si occupava della gestione della villa e delle terre circostanti con la moglie e i quattro figli. Naturalmente non erano loro a lavorare la terra, ma in una tenuta di quelle dimensioni bisognava continuamente prendere decisioni, mantenere i contatti con i fornitori, dirigere i lavori di manutenzione e, soprattutto, controllare il lavoro degli schiavi addetti ai lavori agricoli; quindi agli Arruntii non mancava certo il lavoro né, come era giusto, un’adeguata retribuzione.
– Ben arrivata domina, spero che tu abbia fatto un buon viaggio. – La salutò Tito appena lei scese da cavallo.
– Abbastanza buono Tito, grazie. Spero, – aggiunse – che i carri con i bagagli e gli altri schiavi siano arrivati ieri come previsto.
– Certamente domina, sono arrivati ieri mattina a metà della seconda ora. Gli schiavi sono stati alloggiati nei loro quartieri, i tuoi bagagli sono stati portati in parte nella tua camera, dove credo che le tue cameriere se ne siano già occupate, e il resto nel tablinium dove mi sono personalmente assicurato che nessuno li toccasse fino al tuo arrivo.
– Bravo Tito, grazie. So che si può sempre contare su di te e sul tuo buon senso. Adesso però, prima di mangiare, vorrei passare la maggior parte di un’ora nel balneum per togliermi di dosso la polvere e la stanchezza del viaggio.
– Naturalmente domina! – rispose pronto Tito: – L’avevo previsto e ho già incaricato da ieri i fornacatores di accendere e mantenere i fuochi della fornace, e da stamattina all’alba di alzarne il livello, in modo da portare il calidarium alla giusta temperatura. Se mi permetti, mentre mio figlio si occupa del tuo cavallo, vado ad avvertire Sarah di raggiungerti al balneum.
Lydia entrò nella villa e puntò direttamente verso il balneum. Si fermò un attimo nell’apodyterium, lo spogliatoio, per togliersi di dosso gli abiti impolverati e lasciarli lì perché la schiava Sarah si occupasse di farli portare a lavare; quindi passò subito al calidarium, dove entrò nella vasca rivestita di marmo e colma d’acqua.
Restò forse una mezz’ora a riposarsi, immersa nell’acqua calda, sentendo i muscoli sciogliersi dalla stanchezza del viaggio e quindi, fatta una rapida immersione nella vasca d’acqua fredda del frigidarium, si spostò nel tepidarium. Qui Lydia si sdraiò su una panca, riscaldata dal calore della parete attraverso cui passavano i condotti dell’aria rovente proveniente dalla fornace dell’hypocaustum, e si sottopose a un lungo ed esperto massaggio da parte di Sarah, che contemporaneamente le ungeva il corpo con un unguento a base di olio d’oliva e di essenze profumate.
Dopo il massaggio andò a sdraiarsi su una panca nel laconicum, e rimase lì a sudare per circa un quarto d’ora, rinfrescandosi di tanto in tanto con l’acqua tiepida presa da una brocca di terracotta. Dopo un altro tuffo nella vasca del frigidarium, Lydia tornò infine a sdraiarsi nel tepidarium dove Sarah, con lo strigilis e polvere di pomice, le raschiò delicatamente la pelle portando via il sudore e l’unguento che aveva applicato prima.
Finalmente, dopo quasi un’ora passata nel balneum, Lydia si rivestì con nuovi abiti appena portati da Sarah e uscì, pulita e rinfrancata, nell’atrium della sua villa. Dopo aver consumato un rapido pasto chiamò Quinto Novio, lo schiavo di origine ateniese che le faceva da segretario e da contabile, e si fece accompagnare da lui in un giro di ispezione della tenuta.
Come si è detto, le terre dei Mamilii erano abbastanza vaste; non tanto da poterle definire un latifondo, ma certo molto più ampie di quelle della maggior parte delle fattorie: venivano coltivate da trentadue schiavi e avrebbero potuto dar da vivere a un paio di centinaia di persone. Si arrivava alla proprietà, e alla villa, da una strada secondaria che dalla via Cassia, poco dopo la mansio ad Solaria a nove miglia da Florentia in direzione di Pistoriae, saliva per circa cinque miglia sulle prime pendici dei colli, seguendo da presso il letto di un ampio fiume, chiamato dai locali Bisentium. Il fiume costituiva il confine occidentale del fondo che era attraversato per tutta la sua larghezza da un torrentello alimentato da una sorgente e che, prima di buttarsi nel Bisentium, scorreva a poche decine di passi dalla villa e la riforniva d’acqua pura per quasi tutto l’anno.
Lydia, Novio e Quinto Arruntio, il maggiore dei figli di Tito, presero tre cavalli e girarono a ovest intorno alla villa, passando davanti agli ergastula degli schiavi addetti ai lavori agricoli e di fianco ai recinti in cui venivano tenute le pecore.
Salendo sul lieve pendio della collina, attraversarono il grande vigneto che copriva circa quattro iugera; con la stagione così inoltrata, le piante erano completamente coperte di fogliame, al punto da nascondere quasi completamente i tronchi degli alberelli da frutta che sostenevano i tralci, coperti a loro volta di grappoli d’uva acerba, con gli acini ancora piccoli e verdi. Passarono lentamente lungo i filari osservando le piante e controllando che fossero sane e ben curate, con i cavalli che ne approfittavano per brucare felici l’erba medica che cresceva abbondante tra un filare e l’altro.
Lasciandosi alle spalle il vigneto continuarono a risalire la collina, avanzando lentamente attraverso campi tenuti a pascolo fino a raggiungere la linea degli alberi.
Il bosco era troppo fitto perché fosse agevole entrare a cavallo per cui lo costeggiarono, mentre dagli alveari fissati ai rami bassi dei primi alberi entravano e uscivano in continuazione sciami di api. – L’anno passato abbiamo raccolto duecentoquaranta librae di miele, domina, e quest’anno si preannuncia persino migliore. – La informò Quinto. Il bosco, oltre al miele e alle ghiande per i maiali, forniva la legna necessaria per il riscaldamento della casa, per le cucine e per gli hypocausta che riscaldavano l’acqua e l’aria del balneum.
Tornarono verso valle seguendo il corso del torrente, ammirando gli ulivi che bordavano i campi in cui era appena stato mietuto il frumento. Scendendo verso la villa, a un certo punto videro una piccola macchia di alberi dalle foglie di un verde più chiaro: i gelsi importati tanti anni prima dalla Seria erano ormai dei robusti alberi alti una dozzina di piedi, e intorno a questi ne stavano crescendo diversi altri. Lydia si fermò ad osservare gli alberi, ricordando i discorsi fatti otto anni prima con Hiram e la sua recente lettera sullo stesso argomento.
Aggirarono gli horti addossati al lato est della villa, riparati dal vento di ponente dalla parete stessa; qui venivano coltivate, soprattutto a uso delle cucine, molti tipi di piante aromatiche, soprattutto aglio e cipolla, ma anche timo, rosmarino e salvia, oltre a svariati generi di verdure e ortaggi e alcune piante medicinali.
Superata la villa, continuarono a seguire il torrente verso valle per un centinaio di passi fino a un boschetto di salici, i rami dei quali venivano utilizzati per legare le viti e fornivano alle officine i vimini per la costruzione di cesti e stuoie. Dietro i salici Lydia fu sorpresa di vedere una serie di tre stagni, chiaramente artificiali, perfettamente rettangolari e lunghi almeno una quindicina di passi ciascuno e larghi la metà.
– Cosa sono quelli, Quinto? – Chiese incuriosita. – Non ricordo di averli mai visti, ma effettivamente sono anni che non vengo da questa parte della proprietà.
– Sono i maceri, domina. – Rispose il ragazzo: – Li abbiamo costruiti cinque o sei anni fa, quando tuo padre e mio padre cercarono di avviare la coltura della canapa nel pascolo nord.
– Non sapevo che producessimo canapa, qui alla villa.
– Non più, domina. Ci abbiamo provato per tre anni, ma il terreno non è adatto e alla fine il risultato non compensava gli sforzi. Adesso, – indicò con la mano i maceri – sono quasi abbandonati a se stessi: naturalmente continuiamo a fare la manutenzione necessaria alle chiuse, ai condotti che li alimentano e ai canali scolmatori per evitare che si ostruiscano, in modo da evitare che vada tutto in rovina.
– È un peccato che una struttura così ben fatta non serva a niente… – Meditò Lydia ad alta voce.
– Ogni tanto mio padre parla di trasformarli in piscine per allevare le carpe, ma bisognerebbe fare un bel po’ di lavori per riadattarli… E poi nessuno di noi si intende di piscicoltura, così finora non se ne è fatto niente.
Dopo i maceri e il sistema di canali scolmatori che riportava l’acqua in eccesso al torrente, raggiunsero il confine della proprietà e la strada, quasi sull’argine del Bisentium. Da qui tornarono direttamente alla villa seguendo la strada inghiaiata che Lydia aveva già percorso la mattina al suo arrivo.
A cena, Lydia apprezzò molto dei dolci che non aveva mai assaggiato prima: delle specie di focacce scure cosparse di miele che avevano un sapore contemporaneamente aromatico e leggermente amaro, tanto che si informò da Tito Arruntio su come erano fatte.
– Sono focacce di farina di castagne, domina; – rispose Tito, – ogni anno compriamo due o tre modii di farina dai montanari che scendono a valle. Vengono ad acquistare provviste per passare l’inverno, soprattutto sale, pesce e carne secchi e granaglie, e pagano portando carichi di carbone di legna, pellicce e, appunto, farina di castagne, che sono più o meno le uniche cose che riescono a produrre lassù.
– Beh, sono molto buone. Ma perché qualcuno dovrebbe decidere di abitare su quelle montagne inospitali? – Si domandò Lydia. – Dopotutto, come hai appena detto, non offrono quasi niente per vivere, sicuramente non per vivere comodamente.
– È gente strana, domina; – rispose Tito vagamente turbato – sono su queste montagne da sempre, da prima che arrivassimo noi Romani, forse da prima che arrivassero i Galli o gli Etruschi. Non conoscono altro modo di vita e non sono interessati a cambiarlo; probabilmente saranno ancora qui a produrre carbone e raccogliere castagne quando non solo gli Etruschi, ma anche i Galli e i Romani se ne saranno andati…
– Che discorsi strani che fai stasera, Tito! Senti, – aggiunse soffocando uno sbadiglio – sono molto stanca. Che ne dici di rimandare a domattina i discorsi di affari, così posso ritirarmi a dormire presto?