Galli e Romani
Arelate, a.d. XII Kal. Iul. 872 AUC
Il viaggio di rientro da Narbo era stato tranquillo e senza problemi e ora, tornato ad Arelate da qualche giorno, Tito Canio Rufo era in visita alla domus degli Iulii Enobarbi.
Mentre attraversava l’atrium diretto verso il tablinium per incontrare Egidio, incrociò Lucio e si fermò a salutarlo: – Allora, mi dicono che con il nuovo anno partirai con le legioni.
– Così sembra, flamen, pare che non mi sia possibile evitarlo. – Gli rispose il ragazzo con aria seccata: – Sicuramente tu sai quello che io penso di Roma e delle sue legioni, nonostante quello che hai raccontato al proconsole, quindi non cercherò di fingere che l’idea mi faccia piacere.
– Capisco, Cingeto. – La voce di Canio Rufo era piena di sarcasmo: – Cingeto, è così che ti facevi chiamare, vero? E Marco mi dice che Vercingetorix è il tuo eroe… Tu pensi di meritarti il titolo di Cingeto, Guerriero, senza aver mai portato le armi in vita tua? Ti aspetti forse che qualcuno ti possa chiamare Vercingeto, Grande Guerriero, per la tua prodezza nel maneggiare la retorica? E, naturalmente, quando i Figli della Gallia avranno cacciato i romani, ne diventerai il re, il Grande Re Guerriero, Vercingetorix, che non sa neanche maneggiare un gladio o uno scutum.
Mentre il flamen parlava, il viso Lucio era diventato di un rosso sempre più acceso, per la rabbia e per la vergogna: – Mi stai forse accusando di essere un codardo, Tito Canio Rufo? Non è certo per paura di portare le armi che odio l’idea di entrare nelle legioni! Quello che non posso sopportare è l’idea di marciare io, gallo figlio di galli, sotto le Aquile di Roma che hanno fatto del nostro paese una provincia sottomessa.
– Oh, Lucio, ma davvero non ti rendi conto di quanto sono assurde le cose che stai dicendo? Sei un gallo figlio di galli, tu dici, ma la realtà è che sei un romano figlio di romani… No, aspetta, non interrompermi! Il problema con te, e sì anche con tuo padre, è che non avete colto il punto più importante. Tu credi che Roma sia un sistema di potere e sopraffazione: essere un romano significa per te sfruttare ingiustamente delle popolazioni sottomesse. Tuo padre invece è convinto che Roma sia una città, centinaia di miglia più a sud, al di là dalle Alpi: per lui essere romano significa andare ad vivere a Roma, possibilmente come senatore.
– E cosa c’è di sbagliato in questo, Tito Canio Rufo? – Chiese ironicamente Egidio che, sentendo le voci concitate nell’atrium, era uscito dal tablinium e li aveva raggiunti senza essere notato.
– C’è che vi ingannate! Vi ingannate entrambi anche se in modo opposto: quella a cui pensi tu, Egidio, era la Roma del tempo degli Scipioni, ma quel tempo è ormai finito da almeno trecento anni. E la tua opinione, Lucio, poteva essere valida al tempo di Iulio Cesare ma, se per caso non te ne fossi accorto, anche lui è morto da un bel pezzo. Oggi Roma non è più solo una città: senza le sue province quella città sarebbe ridotta alla fame in meno di sei mesi. Ma Roma non è neanche un arrogante conquistatore: in meno di duecento anni di occupazione romana, la Gallia è cambiata di un bel po’, e quasi sempre in meglio. Credi che ai tempi di Vercingetorix ci fossero thermae o teatri qui ad Arelate o in qualsiasi altro villaggio della Gallia? O che esistesse qualcosa di meraviglioso come i mulini costruiti da tuo padre?
– Flamen, la gente si lavava senza bisogno delle thermae romane e macinava il grano anche senza i mulini ad acqua.
– Certo, ma quanta gente doveva lavorare per macinare quel grano? E quanta gente poteva vivere ad Arelate con l’acqua dei pozzi prima che venisse costruito l’acquedotto? Prima che arrivassero i romani, qui c’erano forse mille o duemila persone, che vivevano in capanne di legno e fango. Adesso siamo quasi in cinquantamila! E le legioni, che tu disprezzi tanto, sono loro che impediscono ai germani di compiere razzie nelle nostre città un anno sì e l’altro pure.
– Non abbiamo certo bisogno dei romani per difendere le nostre terre!
– Ti sbagli. Abbiamo bisogno dei romani, perché i romani siamo noi! Roma non è più una città, e Roma non è neanche un potere astratto che cerca di dominare il mondo. Oggi Roma è un’idea, è un modo di vivere, di parlare, di pensare. È inutile che continui a sostenere di essere un gallo: se parli come un romano, ti vesti come un romano, mangi come un romano, vai alle thermae come un romano, mi sai dire perché non dovrei pensare che probabilmente sei un romano?
– Perché io non sono un romano. La mia lealtà va alla Gallia, non a Roma.
– E questo che c’entra? Anche la mia lealtà va alla Gallia! – E notando lo sbalordimento negli sguardi di Lucio e di Egidio, cercò di chiarire meglio: – Vedi Lucio, le cose raramente sono bianche o nere, esistono anche le sfumature: se io dovessi scegliere tra Roma e la Gallia, sceglierei la Gallia; ma se dovessi scegliere tra Arelate, che è la mia città, e la Gallia, sceglierei Arelate. E se mi trovassi nella necessità di scegliere tra salvare la mia città o la mia famiglia, salverei quest’ultima. Essere romano non mi impedisce di essere un gallo, come essere un arelatense non mi impedisce di essere un Canio Rufo.
– Quindi tu sostieni che Roma non è più una città ma è diventata un concetto astratto? – Intervenne Egidio: – E che cos’è che definisce, secondo te, questa “romanità”
– La nostra cultura. Come dicevo prima a Lucio, non hai bisogno di abitare a Roma per essere romano: romano è chi parla latino, chi si veste, chi mangia, chi vive come un romano, chi si riconosce nella cultura, nell’arte, nelle tradizioni di Roma. Pensaci bene, Lucio, – continuò tornando a rivolgersi al giovane – tu neghi di essere un romano, ma quando hai voluto parlare da gallo al popolo della Gallia, hai usato più o meno consapevolmente la lingua e le parole del più romano degli scrittori latini. Questo non significa forse un’implicita ammissione di essere un romano tra romani?
– Tu sei davvero bravo a usare le parole, flamen, ma non sono convinto del tuo punto di vista. Posso solo ripetere quello che ti ho già detto prima: la mia lealtà va alla Gallia, non a Roma.
– Dì piuttosto che la tua lealtà va alla Gallia che è parte di Roma, e sarai più vicino alla verità. Senti, – continuò con tono più conciliante – quando con l’anno nuovo andrai a servire sotto le Aquile potrai vedere la cosa in due modi diversi: potrai considerarti un miles coscritto di Roma che difende il confine romano dai germani, oppure potrai considerarti un figlio della Gallia che protegge dalle scorrerie dei germani il proprio paese, la propria città e il proprio popolo, con l’aiuto delle legioni di Roma. Ma qualunque sia il tuo punto di vista, ricordati comunque che ritornerai con un’esperienza militare acquisita nel migliore esercito del mondo; in futuro ti potrà servire per proteggere la Gallia e Roma dalle minacce esterne o, se dovesse mai arrivare quel momento, per proteggere la Gallia da Roma.
– Flamen, queste sono parole sovversive! – Esplose Egidio.
– No, Iulio Enobarbo, queste sono solo parole di buon senso. Io non auspico una rivalità o, gli dei non vogliano, una guerra tra la Gallia e Roma; spero di non vedere mai quel giorno, perché se succedesse noi ne usciremmo comunque sconfitti, sia se la perdessimo, sia se la vincessimo: ridotti in schiavitù nel primo caso, lasciati a noi stessi senza i vantaggi del mondo romano nel secondo. – Canio Rufo si fermò un attimo per riprendere fiato: – Il fatto che io speri di non vedere mai una guerra contro Roma, non vuol però dire che la guerra non ci possa essere lo stesso prima o poi e, se dovesse malauguratamente arrivare, allora i nostri figli o nipoti o pronipoti dovranno essere pronti a combatterla e a vincerla.
– Ci penserò, flamen, – e Lucio aveva l’aria di parlare seriamente – questa tua idea su Roma e sulla Gallia è sicuramente interessante, direi addirittura rivoluzionaria. Tu credi veramente che l’esperienza nelle legioni potrebbe essere utile in questo senso?
– Ne sono sicuro. E, un’altra cosa: ricordati che quando sarai praefectus di una cohors di auxiliares, avrai ai tuoi ordini degli uomini che, a differenza di te, non sono cittadini romani. Quindi per loro sarai tu il romano, il rappresentante di Roma; cerca di abituarti sin da subito all’idea.
Più tardi, comodamente seduti nel tablinium di Egidio, la conversazione si fece molto più rilassata.
– Allora, flamen, credo che tu voglia di nuovo parlarmi di quel tuo progetto. – Lo incoraggiò Egidio.
– Esattamente, Iulio Enobarbo. Tu sai come la penso riguardo alla necessità di un sistema organizzato per garantire l’istruzione, soprattutto quella superiore, ai nostri ragazzi.
– So che tu lo credi, perché ne abbiamo già parlato, ma personalmente non ne vedo la necessità: il sistema dei tutori e insegnanti assunti privatamente da ciascuna famiglia ha sempre funzionato benissimo, non capisco come potrebbe essere migliorato da un’istituzione come quella che tu hai in mente.
– In diversi modi, io credo. In primo luogo c’è un fattore puramente economico: assumere un tutore costa, e assumere anche solo per un periodo relativamente breve diversi insegnanti per le varie discipline costa ancora di più. So che questo non è un argomento che impedisca me o te dal cercare il meglio per i nostri figli, grazie agli dei ce lo possiamo entrambi permettere, ma questo è vero solo per una minima parte dei nostri concittadini. Se per esempio un insegnante di medicina dovesse insegnare a dieci o venti ragazzi contemporaneamente, il suo compenso sarebbe diviso tra tutti questi e diventerebbe affrontabile anche per famiglie che non potrebbero mai permettersi di assumerlo direttamente.
– Quindi stai parlando di un progetto filantropico? Per permettere un maggior livello di istruzione anche ai figli dei meno abbienti?
– Non proprio, Egidio, guarda la cosa da questo punto di vista: dopo l’incidente occorso a mio figlio mi sono informato, e ho scoperto che oggi in tutta Arelate abbiamo tre, forse quattro, medici veramente bravi. Tre o quattro medici per curare una popolazione di cinquantamila! Se invece di quattro ne avessimo quaranta, o cento, l’intera popolazione ne avrebbe vantaggio, compresi noi, i nostri clientes e i nostri schiavi. E pensa a quante magnifiche opere pubbliche si potrebbero fare, strade, teatri, templi, thermae, se avessimo abbastanza tecnici e architetti.
– Forse, – Egidio era sempre dubbioso – ma ci vogliono anche sesterzi per realizzare le opere, non bastano gli architetti da soli.
– È vero, ma le opere a loro volta portano denaro: pensa a quanto rendono i tuoi mulini! Quante altre innovazioni che producono ricchezza potrebbero inventare cento nuovi architetti che hanno bisogno di lavoro?
– Può darsi, ma investire sul futuro è sempre rischioso…
– Ma spesso è anche l’investimento più redditizio. C’è un altro argomento importante da considerare: se i nostri docenti avessero molti allievi paganti per volta, potrebbero a loro volta ottenere dei compensi ben più alti del consueto. Questo significa che potremmo invogliare a venire ad Arelate i professori migliori: sai bene che oggi l’ambizione di ogni bravo insegnante è di andare a Roma, perché è laggiù che sono più richiesti, e meglio pagati.
– Questo è vero, e su questo punto ti devo dare completamente ragione: se potessimo organizzare l’insegnamento come dici tu, potremmo forse pagare i docenti il doppio di quello che possono sperare di prendere a Roma, e questo vorrebbe dire poter scegliere il meglio.
– Infine, e questo è il mio ultimo argomento, oggi Roma non attira solo i docenti migliori, ma anche i migliori allievi! Ogni anno, i giovani più intelligenti e studiosi vengono mandati a studiare a Roma e, spesso, non ritornano più indietro perché laggiù si trovano troppo bene. Questo significa che noi, non solo ad Arelate e in Gallia ma anche in tutte le altre province, perdiamo costantemente i nostri figli migliori. A lungo andare questo ci impoverisce, sia economicamente che moralmente; se potessimo fermare, o anche solo rallentare, questa continua emorragia di giovani talenti, ce ne gioveremmo di sicuro.
– E con questo ti stai riallacciando al discorso che facevi prima con Lucio: la Gallia prima di Roma?
– No, Egidio, non è un problema di scegliere tra il bene della Gallia e quello di Roma; quello che io voglio è scegliere per il bene della Gallia e per quello di Roma. Insieme! La città di Roma non ha veramente bisogno di tutti questi giovani filosofi, se non per una pura questione di prestigio, mentre una Gallia impoverita non sarebbe un vantaggio né per se stessa, né per Roma. Una Gallia più ricca, sia di denaro che di capacità e di ingegno, sarebbe più utile per entrambe.
– D’accordo, diciamo che comincio a trovare interessante il tuo punto di vista. Però dimmi, perché lo vieni a proporre proprio a me?
– Beh, per almeno due buoni motivi: – Canio Rufo si era fatto improvvisamente più esitante – il primo è che un progetto di questo genere dovrebbe, secondo me, nascere sotto gli auspici di Minerva, dea della saggezza e della conoscenza. Proporrei di chiamarlo “Palladium” e, almeno all’inizio, chiedere ospitalità al tempio dell’Alma Mater. Essendo tu patronus di diversi collegia legati al tempio e avendo tu finanziato la sua costruzione, pensavo…
– … pensavi che se lo propongo io non potranno rifiutare il progetto. – Concluse Egidio: – E probabilmente hai ragione. E l’altro motivo?
– Ecco, per avviare il Palladium sarà necessario un notevole investimento…
– Dì pure un investimento enorme. – Lo interruppe di nuovo Egidio.
– Enorme, d’accordo. – Ammise a disagio Canio Rufo: – E visto che tu sei senza alcun dubbio l’uomo più ricco di Arelate e di tutta la Gallia Narbonense, pensavo di chiedere a te per primo…
– … di finanziare il progetto? – Rise Egidio: – sarò anche ricco ma ci sono dei limiti a quello che posso permettermi di buttare in progetti a fondo perduto!
– E chi ha parlato di fondo perduto? – Lo rimbeccò Canio Rufo: – Quello che ti voglio proporre è un investimento! Un investimento che, se le cose vanno come spero, sarà anche molto redditizio.
– Spiegati meglio.
– Quello che ho in mente è la costituzione di una società, sulla falsariga dei collegia mercatorum, che abbia come scopo la gestione del Palladium. – Cominciò a illustrare Canio Rufo: – I soci dovranno contribuire con un finanziamento, sicuramente ingente, per coprire le spese iniziali e gli introiti verranno dalle rette pagate dagli studenti e da alcune attività collaterali di cui ti parlerò più avanti. Secondo i miei calcoli, il Palladium potrebbe arrivare nel giro di tre anni a rendere un utile annuo pari a un quinto o forse un quarto del capitale iniziale; utile che verrebbe spartito tra i soci in ragione della quota da loro investita.
– Uhm… una rendita annua di un quinto del capitale non è da disprezzare… Immagino che tu abbia già fatto una specie di bilancio preventivo, vero?
– Naturalmente, Egidio, – rispose Canio Rufo allungandogli un fascio di documenti – è tutto qui; valutazione dei costi iniziali e di gestione, una stima del numero di studenti per anno e i relativi introiti e le valutazioni sulle altre attività che si potrebbero associare al progetto tra cui l’impianto di una imprimitoria per produrre in proprio i nostri libri e una struttura per l’accoglienza degli studenti non residenti: se il progetto avrà successo, calcolo che avremo più allievi dalle altre città della Gallia e dell’Hispania che da Arelate stessa.
– Sembra un lavoro ben fatto, – commentò Egidio sfogliando distrattamente il progetto – naturalmente ci vorranno diversi anni prima che le entrate superino le spese ma se le tue valutazioni sono giuste… Uhm… Dovrò fare un bel po’ di calcoli, me lo puoi lasciare per qualche giorno per studiarlo a fondo?
– Naturalmente. E se dovessi avere dei dubbi su qualche aspetto del mio studio, fammi chiamare che ne parliamo.
– Bene, – concluse Egidio – se non trovo errori nei tuoi conti, il progetto sembra interessante. Naturalmente non ti posso promettere nulla finché non avrò letto accuratamente tutto, ma penso che potrai contarmi tra i finanziatori del progetto.
– E come patronus, spero. – Disse il flamen sorridendo.