Arelate, Kalendae Mart. 876 AUC
– Allora bamboccio, com’è la vita sotto le Aquile? – Chiese Corax che come sempre girava per i tavoli servendo il vino.
Se il vecchio Legionario era sempre uguale, non si poteva dire la stessa cosa dei quattro giovani seduti al tavolo: in tre anni i ragazzi erano diventati uomini e Lucio, anche se naturalmente era vestito come gli altri in tunica e toga, aveva indubbiamente acquisito un certo portamento che ne denunciava la pratica delle armi.
– Ottima, centurione. La paga è buona, il rancio abbondante e i turni di guardia pochi: di cosa dovrei lamentarmi? – Rise Lucio in risposta e poi, rivolto ai suoi amici: – In effetti Castrum Mogontiacum è un posto abbastanza piacevole: l’accampamento è immenso, fatto per ospitare due intere legioni oltre agli auxiliares, è grande quasi quanto una città! E fuori dall’accampamento è davvero cresciuta una città, in tre anni non sono ancora riuscito a contare tutte le popinae e tutti i lupanaria dei dintorni.
– Immagino! – Commentò Marco: – Con diecimila legionari che non sanno come spendere la loro paga, quel posto avrà attirato tutte le lupae della Germania e della Belgica…
– E non solo quelle. Ci sono dappertutto tabernae che vendono qualunque cosa possiate immaginare e laboratori di ogni genere di artigianato. È incredibile come la presenza dell’esercito possa far sorgere così una città in mezzo al nulla. Ma parlatemi di voi, invece, come vanno le cose qui a casa?
– Tutto tranquillo, – gli rispose Marco – come sempre. Io continuo a studiare al Palladium: geometria, retorica, astrologia, kemèia, ma soprattutto medicina con il vecchio Iulio Hermes. Quel medico ha un’esperienza incredibile, ed è davvero bravo a insegnare!
– Anch’io seguo le lezioni al Palladium, – intervenne Tito – ma sono più interessato alla kemèia che alla medicina: con un po’ di fortuna dall’anno prossimo riuscirò ad andare a studiare ad Alexandria, dove sembra che si stiano facendo delle scoperte stupefacenti. Non voglio annoiarti con i dettagli, ma pare che un filosofo di laggiù, Antonio Sofro, stia sviluppando una sua nuova teoria sulle sostanze prime basata sull’applicazione delle dottrine pitagoriche all’atomismo di Democrito.
– Sembra proprio che viviamo nell’epoca delle grandi esplorazioni e scoperte: – riprese Lucio – non so se le notizie sono già arrivate qui ad Arelate, ma a Mogontiacum abbiamo saputo del ritorno di una delle spedizioni partite tre anni fa per circumnavigare Oceano…
– Sono già tornati? Ma non doveva essere un viaggio di cinque anni?
– Credo che abbiano avuto dei problemi, forse un naufragio. Non sono sicuro perché le notizie sono arrivate al castrum mentre io ero impegnato con la mia cohors in una lunga perlustrazione oltre il limes: quando sono rientrato ne parlavano tutti, ma ognuno dava una versione diversa della storia…
– Che peccato, era un progetto così ambizioso…
– Sì, ma c’è sempre l’altra nave, – intervenne Marco – e forse quella riuscirà a terminare il suo viaggio. E poi, in realtà, non ha una grande importanza. Se una spedizione fallisce se ne può sempre organizzare un’altra, imparando dagli errori della precedente. Quello che conta veramente è cominciare: se non proviamo neanche, perché pensiamo che l’impresa sia difficile o impossibile, allora siamo sconfitti in partenza.
– E cosa mi dite di Annia Vera? – Chiese ancora Lucio, un po’ esitante: – Com’è che non è qui anche lei?
Gli amici si guardarono l’un l’altro con l’aria imbarazzata. Alla fine fu Marco a rispondere: – Eh, già, ovviamente non puoi averlo saputo. Alla fine Vera ha fatto quello che diceva sempre: l’anno scorso, quando il nuovo proconsole era in visita qui ad Arelate, ha cercato di ucciderlo accoltellandolo con un pugio.
– Dei immortali, non è possibile!
– Invece sì, è andata proprio così. Per fortuna l’ha ferito solo di striscio, ed è stata subito arrestata dalle guardie del proconsole. Ma mentre la traducevano a Narbo è riuscita a fuggire, e da allora non si è più saputo niente di lei. Qualcuno dice che potrebbe essersi aggregata a una delle bande di briganti che rapinano i viaggiatori sulla Via Domitia, ma ovviamente sono solo voci.
– Naturalmente – intervenne Tiberio – ti puoi immaginare la paura che abbiamo avuto quando l’hanno arrestata. Per fortuna Mario Prisco era già tornato a Roma e il nuovo proconsole non aveva sentito parlare di quella vecchia storia, ma tutti noi abbiamo avuto una fifa nera che qualcuno potesse collegare Andarta ai Figli della Gallia…
– Taci, – sibilò Tito – non usare mai più quel nome! Adesso siamo il Sacri Venerabilisque Hermae Collegium, un ordine rispettato e onorevole, non dimenticartelo mai.
– Quindi continuate a riunirvi alla taberna dell’erma? – Si stupì Lucio.
– Sì, – confermò Marco – ma solo per le riunioni più ristrette. Il collegium adesso conta più di cento membri, ed è informalmente diventato una specie di punto di ritrovo per gli studenti del Palladium. Abbiamo un magnus magister, il qui presente Tito, e cominciamo ad avere i nostri riti e le nostre tradizioni.
– È vero. – Confermò Tito: – Lucio, dovresti davvero essere qui a Maius, quando teniamo la grande processione. Alle Kalendae, durante i festeggiamenti in onore di sua madre Maia, celebriamo la nascita di Mercurio portando l’erma in processione per tutta la città, incoronata di fiori. Il corteo è formato da tutti gli studenti del Palladium, ciascuno con gli abiti e gli ornamenti che indicano la sua anzianità e il tipo di studi che segue.
– Naturalmente, – lo interruppe Marco – ci dobbiamo fermare di tanto in tanto: l’erma è pesante e tutte quelle preghiere e invocazioni mettono sete. Casualmente, – sorrise – capita sempre che ci si fermi davanti a una popina il cui proprietario si sente in dovere di offrire da bere a tutti.
– Già, proprio così, – aggiunse Tiberio – un puro caso. O forse un segno degli dei, chi può saperlo in questi casi? Comunque a fine giornata ritorniamo alla taberna, e l’erma viene chiusa dentro, nascosta a tutti ad eccezione dei membri anziani del collegium. Poi, alle Idus, per i Mercuralia, la porta viene riaperta e l’erma viene di nuovo portata in processione, ma solo fino al tempio dell’Alma Mater e questa volta accompagnata solo dagli studenti anziani.
– Ma perché proprio al tempio dell’Alma Mater? – Chiese Lucio incuriosito da come nei pochi anni della sua assenza si fosse già sviluppato un rituale così complesso.
– Per celebrare le nozze di Mercurio e Proserpina. – Rispose Marco ridendo: – Noi riteniamo che quella poverina si debba annoiare un bel po’ là da sola con altre due dee. E dopotutto Mercurio aveva chiesto di sposarla, prima che lei venisse rapita da Pluto.
– Mi pare un’interpretazione azzardata, non credi?
– In effetti i sacerdoti dell’Alma Mater non sono molto contenti della cosa, sembra quasi che lo considerino una specie di sacrilegio; ma noi riteniamo che almeno una volta all’anno anche le dee abbiano il diritto di divertirsi.
– Siete veramente dei bei matti. – Rise Lucio: – Sono stupito che vi possiate permettere di fare certe cose, neanche fossimo ai Saturnalia.
– Beh, sì, – confermò Marco – in effetti il Palladium sta diventando importante per la città; di conseguenza a noi studenti vengono permesse cose che sarebbero state impensabili solo pochi anni fa. Piuttosto, Lucio, ormai sono più di tre anni che giochi a fare il miles; quando pensi di tornare definitivamente tra noi?
– Non lo so, – Lucio sembrava imbarazzato dalla domanda, o forse dai pensieri che questa gli richiamava – sicuramente non prima della fine del prossimo anno, così da completare i cinque anni prescritti…
– Non sembri molto entusiasta all’idea di tornare, – si stupì Marco – sei sicuro di essere lo stesso Lucio che conoscevo io, quello che era disposto a qualsiasi cosa pur di non arruolarsi nelle legioni?
– Sì, sono sempre io. Ma in questi tre anni ho visto molte cose, molte più di quelle che avevo visto in tutto il resto della mia vita. – Lucio si fece pensieroso: – Non mi vergogno ad ammettere, Marco, che tuo padre aveva ragione: vivendo qui, in una pacifica città al centro della Provincia, non abbiamo idea di come sia fatto veramente il mondo. Certo, possiamo leggere cronache che ci raccontano di com’erano Roma o Atene due, tre o quattrocento anni fa, resoconti di quanto sia grande e magnifica Alexandria o dell’immensità di Oceano o di una qualsiasi guerra del passato… Ma quello che i libri non ci raccontano è come vive la gente, quella vera. Mi sto convincendo che la più volgare delle commedie di Aristofane ci dica di più sulla vita degli ateniesi di tutte le tragedie di Euripide messe insieme: le tragedie parlano solo di re, dei ed eroi, gli storici parlano solo di politica e di guerre, ma condottieri, tiranni ed eroi sono solo un’infima minoranza nella grande massa della popolazione.
– E così oltre che miles, sei diventato filosofo. – Commentò Tito: – Quale sarà la prossima metamorfosi del nostro Lucio?
– No Tito, non credo di essere diventato un filosofo, a volte mi sembra piuttosto di essermi trasformato in un asino: in Germania ho visto tante cose, e più vedo meno mi sembra di capire. Ho visto la guerra, o almeno qualche combattimento, milites e guerrieri che uccidono e vengono uccisi, e ho visto come vive la gente in un paese in cui la guerra va e viene come le stagioni. Quattro anni fa ho detto, e ora me ne vergogno, che le legioni di Roma sono qui ad opprimerci con la scusa di un nemico inesistente; bene, adesso quel nemico l’ho visto da vicino, con i miei occhi, e vi assicuro che non è poi così lontano: qui ad Arelate siamo a meno di due settimane di marcia dai confini con la Germania Magna, dove ci sono popoli che non ci penserebbero due volte prima di invadere la Gallia e saccheggiare le nostre città.
– E così ti sei ricreduto sull’effettiva necessità di un esercito di confine.
– Sì, decisamente. E siccome ricordo le parole di tuo padre, quando mi disse che abbiamo bisogno dei romani, perché i romani siamo noi, non sono più così ansioso di abbandonare le legioni, almeno finché queste sono lì a difenderci dall’invasione dei germani.
Corax, che era stato ad ascoltare l’ultima parte della discussione, si intromise: – Vedi pivello che avevo ragione? Alla fine hai davvero scelto di imparare a essere un miles. Come già ti avevo detto allora, è più difficile e faticoso, ma è l’unica strada che val la pena di seguire. – E tornò a servire il solito vino ai soliti clienti.