La marina


La storia della marina romana comincia verso la metà del terzo secolo aC con la prima Guerra Punica: quando i cartaginesi, dopo la sconfitta di Agrigento, spostarono il conflitto sul mare nella speranza di poter rovesciare le sorti della guerra, i romani investirono un capitale enorme nella costruzione di una flotta, formata prevalentemente da quinquiremi, e riuscirono a sconfiggerli guadagnando il controllo sul mediterraneo occidentale.
Nonostante questo inizio brillante contro i cartaginesi dominatori del Mediterraneo, i romani non furono mai un popolo di grandi navigatori. Per Roma la guerra era una cosa che si faceva con i legionari, fanteria pesantemente armata che combatteva corpo a corpo; quando Cartagine spostò l’azione sul mare i romani trovarono il modo di trasformare la battaglia navale in uno scontro tra eserciti: le quinquiremi vennero dotate del corvus, un ponte mobile imperniato alla prua della nave che, dopo l’aggancio alla nave avversaria, permetteva a un’unità di fanti legionari di abbordarla e di combattere nella maniera a loro abituale.
Nei due secoli successivi Roma ampliò il suo controllo sulle coste del Mediterraneo, espandendosi sia verso oriente che verso occidente, ma non sviluppò mai il concetto di marina militare in senso moderno: le navi servivano soprattutto per il trasporto delle truppe da un luogo all’altro e spesso si utilizzavano a questo scopo navi da trasporto, magari scortate da qualche trireme o quinquireme.
Fu solo verso la metà del primo secolo aC che i romani tornarono seriamente a occuparsi di guerra navale con diverse spedizioni nel Mediterraneo, in particolare quella di Pompeo del 72 aC, per contrastare la pirateria che stava rendendo inagibili le rotte commerciali, e le spedizioni di Cesare prima contro i galli sulle coste del Canale della Manica e poi in Britannia.
In seguito, con Augusto e i suoi successori, vennero stabilite delle flotte militari permanenti, tra cui le due flotte marittime con sede nella penisola italiana, a Miseno vicino a Napoli per il controllo del Tirreno e a Ravenna per l’Adriatico, e le flotte fluviali sul Reno e sul Danubio che avevano soprattutto lo scopo di trasportare rapidamente le truppe e pattugliare il confine nord orientale.
A differenza di altri paesi dell’epoca, Roma non utilizzò mai come remiges sulle navi militari gli schiavi: l’equipaggio era sempre formato da uomini liberi e, quasi sempre, da cittadini romani; nelle rare occasioni di emergenza in cui fu necessario allestire rapidamente grandi flotte e non c’erano abbastanza remiges disponibili, in particolare durante le guerre civili, si ricorse all’espediente di reclutare schiavi, in genere su base volontaria, comprandoli dai loro proprietari e liberandoli prima di arruolarli.
Nonostante l’accresciuta importanza della flotta, i remiges non acquisirono mai uno status paragonabile a quello dei milites: al di là del fatto che ricevevano uno stipendium inferiore a quello dei legionari del 25% o anche del 50% a seconda del periodo storico, erano comunque sempre guardati dall’alto in basso dai milites che si consideravano, con buoni motivi, la vera difesa di Roma.
È per questo che la situazione presentata nel racconto, di un equipaggio navale formato da veterani delle legioni, era sostanzialmente inverosimile nell’età augustea; ma come al solito quella di cui parlo non è la Roma di Augusto, e quindi ho scelto di considerare accettabile questa anomalia.

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