Nel parlare dell’esercito legionario romano, dei gradi di ufficiali e graduati e delle unità che componevano le legioni, ho cercato di mantenere un certo livello di coerenza anche se questo non è stato sempre facile.
Anche se è semplice per noi oggi, a venti secoli di distanza, parlare di “legioni romane” come se fossero state tutte uguali, bisogna ricordare che i romani hanno fatto guerre per qualcosa come mille anni consecutivi. In Occidente, perché in Oriente sono andati avanti ancora per altri ottocento anni.
È ovvio se ci si pensa, ma di solito non ci si pensa affatto, che l’organizzazione dell’esercito, le armi, le strategie e le tattiche di combattimento utilizzate ai tempi degli ultimi imperatori d’Occidente, verso la fine del quinto secolo dopo Cristo, non possono essere state che vagamente simili a quelle in uso all’inizio della Repubblica, all’alba del quinto secolo avanti Cristo.
All’inizio della Repubblica, e fino alle guerre puniche, l’esercito romano contava probabilmente tra i dieci e i ventimila soldati. Già la parola “soldati” è fuorviante, in quanto non si trattava affatto di soldati nel senso odierno del termine, semplicemente erano inquadrati nelle legioni tutti i cittadini abili al combattimento: gli uomini facevano la loro vita, coltivavano i campi, allevavano le pecore e, quando sorgeva la necessità, venivano mobilitati per la guerra. Non sempre tutti insieme, non necessariamente tutti gli anni.
Da un certo punto di vista si può pensare alle legioni di quei tempi come un esercito di dilettanti; d’altra parte si può pensare alla Roma dell’epoca come una nazione di soldati: non a caso la composizione delle legioni in centuriae rispecchiava direttamente la divisione del corpo elettorale in, di nuovo, centuriae. A quell’epoca i termini miles e civis erano sostanzialmente intercambiabili.
Le guerre puniche, soprattutto le prime due, cambiarono tutto: due guerre lunghissime, ciascuna durata circa vent’anni, nell’arco di meno di un secolo. Con una guerra che dura per anni, magari lontano da Roma, non era più possibile concepire l’esercito come formato da tutti i cittadini romani: qualcuno doveva pure rimanere a casa a coltivare i campi! E così, poco per volta, le legioni cominciarono a diventare più simili a un esercito di soldati che a una milizia di cittadini: fu un mutamento graduale, ma continuo, che diventò definitivo con la fine della Terza Guerra Punica e l’istituzione della Provincia d’Africa nei territori conquistati a Cartagine da parte di Scipione Emiliano.
La nuova provincia richiedeva la presenza di legioni costantemente distaccate al di là del mare e questo, inevitabilmente, portò al formarsi di un esercito di soldati professionisti; anche questo nuovo ruolo dell’esercito si sviluppò gradualmente: a partire da Scipione all’inizio del secondo secolo, fino alla riforma dell’esercito in senso “professionale” attribuita a Caio Mario alla fine del secolo stesso.
Poi venne la guerra sociale, la rivolta dei socii, i popoli italici alleati a Roma ma in qualche modo ad essa soggetti. La guerra terminò con la concessione della cittadinanza romana alla maggior parte dei socii e Roma si ritrovò improvvisamente molto più grande di prima ma l’esercito dovette essere riorganizzato ancora una volta: fino alla guerra sociale gli alleati fornivano alle legioni dei combattenti specializzati (cavalleria, arcieri, frombolieri ecc…); adesso che non c’era più questa fonte di specialisti, i romani li sostituirono con gli auxiliares, truppe fornite prevalentemente dai popoli delle province conquistate.
Sotto Cesare e soprattutto Augusto l’esercito fu nuovamente riformato, in modo più “burocratico”, per compensare il fatto che non erano più i consoli a guidarlo, visto che l’imperator aveva acquisito il ruolo di comando dell’esercito: l’imperium, da cui deriva appunto il termine “imperator”. Le legioni, che erano ormai una trentina, vennero sempre più spesso affidate al comando di ufficiali delegati dall’imperator, i legati.
E poi, nel corso dei secoli successivi, l’esercito fu riorganizzato più volte, al mutare delle esigenze militari e politiche, ma questo non ci interessa direttamente, perché rispetto alla nostra Storia si tratta di un futuro che non è mai avvenuto.
Questa lunghissima premessa serve a spiegare perché, nel descrivere le legioni, mi sia trovato più volte in imbarazzo: quale modello dovevo seguire?
Non quello delle legioni di Caio Mario e Giulio Cesare, che all’epoca dei fatti che narro erano ormai storia antica.
Non poteva neanche essere quello delle legioni di Augusto e dell’età giulio-claudia (fino a circa i tre quarti del primo secolo dopo Cristo), visto che nella mia Storia le riforme di Augusto non sono mai avvenute.
Alla fine ho optato per un’organizzazione militare simile, ma non esattamente uguale, a quella dell’età giulio-claudia, anche perché (lo so che è una giustificazione debole) è quella su cui abbiamo il maggior numero di informazioni ragionevolmente certe.
Per cui, quando parlo di legioni, cohortes e centuriae o di centurioni, primi pili e praefecti, in genere sto descrivendo l’esercito come poteva essere nel primo secolo dopo Cristo, ma qua e là ho scelto di inserire alcune piccole differenze rispetto alla realtà storica della sua organizzazione.
D’altra parte questa è narrativa, non è un trattato di storia militare, quindi non ho intenzione di scusarmi per questo.
Un’ultima nota sulla numerazione delle legioni romane: nel prologo si parla di una Legio VI Cyrenaica e di una Legio VI Ferrata, e poi anche di una Legio XII Fulminata e una Legio XII Deiotariana: non si tratta di una svista, in più momenti della storia romana esistettero davvero contemporaneamente diverse legioni con lo stesso numero, cosa che ovviamente genera una certa confusione.
A partire all’incirca dal periodo delle guerre civili, le legioni venivano numerate nell’ordine in cui venivano costituite, ma ciascun console o imperatore ricominciava di norma a contare dal numero uno. Le vecchie legioni non venivano congedate in modo sistematico: una legione poteva essere congedata con infamia in caso di ammutinamento o di codardia in battaglia, poteva essere completamente distrutta, come accadde alle tre legioni perse da Varo nel disastro della selva di Teutoburgo, oppure potevano essere congedate per soprannumero, come fece Augusto alla fine della guerra civile, riducendo il numero delle legioni da circa cinquanta a ventotto.
Le legioni veterane mantenevano la loro Aquila e il loro numero, e quindi poteva capitare, e succedeva spesso, che esistessero due, tre o anche quattro legioni con lo stesso numero contemporaneamente.
Nei racconti ho cercato di mantenere una certa plausibilità storica nel posizionamento delle singole legioni nelle diverse province: le legioni citate nel prologo erano storicamente localizzate nelle province di cui parlo ma, con l’avanzare della Storia dopo la morte prematura di Augusto, questa corrispondenza esatta non è più possibile. Ho cercato comunque di localizzare le singole legioni all’incirca nelle stesse aree in cui ci risulta che abbiano realmente operato.
L’esercito
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