Capitolo 14


Finis Africae, a.d. VII Id. Iul. 874 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
Dopo l’incidente che è costato la vita al miles Spurio, abbiamo deciso di tenerci il più possibile alla larga da queste intricate foreste che, a quanto sembra, coprono praticamente tutta la costa di queste terre.
Dopo cinque giorni ci siamo fermati di nuovo per fare provvista di acqua dolce risalendo di alcune miglia l’estuario di un fiume grande e abbastanza rapido, ma abbiamo evitato di sbarcare per andare a caccia. A differenza dell’Asif, questo fiume è costeggiato da foreste che sconfinano nell’acqua, rendendone le rive paludose, probabilmente malsane e certamente pericolose.
Inoltre il fiume è infestato dai coccodrilli: la prima squadra scesa al fiume per rinnovare la scorta d’acqua ha rischiato il disastro quando un’enorme bestia ha cercato di attaccare una delle scialuppe; era talmente grande che sembrava quasi che potesse inghiottirla intera. Per fortuna i coccodrilli sono animali pavidi: un paio di colpi di remo sul muso sono stati sufficienti per farlo desistere; dopo questo incidente ho dato ordine che tutte le scialuppe abbiano di guardia almeno due milites armati.
Tornati in Oceano abbiamo catturato un altro porco di mare e per un po’ la sua carne ci potrà bastare.
Dopo altri due giorni di navigazione, la costa ha curvato decisamente verso est e poi leggermente a nord. L’equipaggio è stato entusiasta della cosa, perché sembra proprio che siamo finalmente arrivati all’estremo sud della terra e che siamo quindi quasi a metà strada per arrivare alle coste dell’Egitto.
L’unico a non condividere questa euforia generale sembra essere Claudio Tolomeo.

Il trierarca I. Tiberio Dominico era perplesso: – Non capisco cosa ci sia che ancora non ti convince, Claudio. Sono cinque giorni che navighiamo in direzione est, e la costa continua in questa direzione a perdita d’occhio.
Si trovavano a terra di prima mattina, su una spiaggia larga alcune centinaia di passi dove i milites stavano già cominciando ad allestire l’accampamento.
Tolomeo, che aveva passato buona parte della notte a osservare il cielo, aveva l’aria molto stanca: – No, trierarca, non sono affatto convinto. Voi potete anche essere sicuri che siamo arrivati all’estremo sud, tanto che avete chiamato questo accampamento Finis Africae, ma le mie osservazioni non concordano con la vostra convinzione.
Gibil si intromise nella discussione: – E come fa la posizione delle stelle a dirti che non siamo davvero arrivati alla fine delle terre?
– Non è semplice da spiegare, ma ci proverò. – Cominciò Claudio Tolomeo con un sospiro di rassegnazione: – Anche se non ho ancora avuto modo di fare misurazioni precise, nelle ultime notti ho visto Polos e Cynosura sorgere e tramontare dietro l’orizzonte in direzione nord. Come ti ho già detto in un’altra occasione, quelle stelle ruotano entrambe molto vicine al mozzo della sfera celeste, e il solo fatto di vederle ancora significa che siamo ancora nella metà boreale dell’orbis; in caso contrario, se avessimo già superato la linea aequinoctialis, sarebbero scomparse entrambe sotto l’orizzonte.
– Che cos’è questa linea aequinoctialis di cui parli?
– È quella linea invisibile che divide in due l’orbis, formata dal cerchio che si trova esattamente a metà strada tra il mozzo del nord e quello del sud. Si chiama così perché lì tutti i giorni e tutte le notti hanno la stessa durata, non ci sono stagioni.
Gibil era molto scettico: – E tu dici che questa linea esiste, e che non l’abbiamo ancora raggiunta?
– Che esista ne sono certo! I filosofi lo sanno almeno dai tempi di Eratosthenes, quasi quattrocento anni fa. E sono anche sicuro che non l’abbiamo ancora superata, perché se fossimo più a sud della linea aequinoctialis le stelle del nord non sarebbero più visibili.
– Ti crediamo sulla parola, Tolomeo, – intervenne Aktis – perché sei tu l’astrologo, ma non capisco come fai a essere così sicuro che non siamo arrivati alla fine della terra. Per quello che ne sappiamo da qui in poi potrebbe esserci solo Oceano, dopotutto siamo i primi ad arrivare qui.
– Ti sbagli, Aktis, non siamo i primi. – E, notando lo stupore negli occhi dei compagni, aggiunse: – Non siamo i primi a tentare la circumnavigazione delle terre a sud dell’Africa, e se anche ci riusciremo non saremo i primi a portare a termine l’impresa.
– Ma che dici? – Lo interruppe Dominico seccato: – Nessun romano si è mai spinto tanto a sud. E neanche nessun greco, se è per questo.
– Hai ragione, trierarca, ma i fenici l’hanno fatto, almeno secondo Herodotos. Nelle Historiae racconta di come un re egiziano abbia inviato una spedizione di fenici a navigare intorno alle coste dell’Africa, partendo dal Sinus Arabicus e ritornando al terzo anno attraverso le Columnae Herculis.
– Non lo sapevo, ma certamente Herodotos non riporterà informazioni abbastanza precise su quel viaggio da poterne determinare con certezza la lunghezza. – Insistette Dominico.
– È vero, ma riferisce di un particolare curioso e molto importante; dice infatti che questi fenici, una volta tornati in Egitto, raccontarono una cosa che egli stesso considerava impossibile: mentre viaggiavano in direzione ovest, all’estremo sud dell’Africa, avevano il sole alla loro destra.
Il medico era ancora perplesso: – E questo, ammesso che sia vero, ti dice qualcosa di utile?
– Sì, Gibil, mi dice parecchio. Per prima cosa, – cominciò a enumerare Tolomeo – Herodotos riporta l’affermazione anche se dubita della sua validità: questo paradossalmente rende la notizia più credibile, in quanto non avrebbe inventato una storia che lui stesso considerava insensata. In secondo luogo, i fenici erano ottimi navigatori ma pessimi astrologi: dubito che si siano resi conto del significato di quella scoperta, e quindi reputo alquanto improbabile che si tratti di una loro invenzione.
– E quale sarebbe la scoperta?
– Il fatto che, navigando verso ovest, il sole sia alla tua destra: questo significa che si trova a nord rispetto a te. È una cosa che nessun romano, greco, egiziano, o fenicio ha mai visto prima, in quanto è necessario spingersi più a sud della linea aequinoctialis perché succeda.
– E quindi – concluse Aktis – tu ritieni che la descrizione data da Herodotos del viaggio di questi fenici dimostri che sono andati più a sud della linea aequinoctialis, perché è un dettaglio che loro non avrebbero potuto inventare dato che non avevano le conoscenze necessarie, mentre non l’ha sicuramente inventato Herodotos in quanto lui per primo non ci credeva. Mi sembra che sia un ragionamento assolutamente logico.
– Esattamente. E di conseguenza – aggiunse Tolomeo – noi non abbiamo ancora raggiunto l’estremo sud dell’Africa, perché non abbiamo ancora superato la linea aequinoctialis. Mi dispiace, trierarca, ma temo proprio che il nostro viaggio verso sud non sia ancora giunto al termine.
– Se hai ragione, Claudio Tolomeo, – gli rispose gravemente Dominico – gli uomini non saranno per niente contenti di questa cosa. Naturalmente non possiamo fare altro che andare avanti ma se fossi in te io eviterei di parlarne troppo, rischieresti di farti una reputazione di menagramo.


Il tratto di costa su cui erano approdati era perfetto per un accampamento: una striscia di spiaggia sabbiosa larga un centinaio di passi e lunga diverse miglia, che si ampliava fino a quasi mezzo miglio incontrando la foce del fiume; L’Inceptio era stata ancorata al centro dell’estuario, al riparo dai venti e dalle maree, ed era perfettamente visibile dalla posizione in cui stava rapidamente sorgendo il castrum.
Nonostante fossero all’inizio di Iulius il clima era mite: si stava sicuramente meglio che a Roma, sembrava quasi di essere in una di quelle belle località balneari campane, come Baiae o Puteoli. In mare la pesca era buona e la foresta che cominciava appena oltre il limite della spiaggia sembrava ospitare una quantità di potenziali prede.
Dominico decise che avrebbero sostato là per qualche giorno, un periodo sufficiente a far riposare i remiges e a risollevare il morale dell’equipaggio dopo l’incidente alle Insulae Anulares.


– Belle bestie! – Commentò Aktis vedendo i risultati della spedizione di caccia.
Era il quarto giorno da quando erano arrivati a Finis Africae e una dozzina di milites, guidati dall’optio della prima centuria Quinto Modio, si era inoltrata per un tratto nella densa foresta dietro il castrum ed era appena rientrata con le carcasse di due grandi animali. Grossi come giovani vitelli, pesavano forse sette o ottocento librae ciascuno, erano coperti da una pelliccia di colore castano scuro segnata da una dozzina di righe bianche verticali che sembravano tracciate col gesso. Ma la caratteristica più notevole era costituita dalle corna, lunghe e ritorte, rivolte verso l’alto, ricordavano quelle dell’uro, o quelle del dio egiziano Hapis in forma di toro.
– Sì, centurione, ce n’erano una dozzina in una radura a circa mezzo miglio da qui; – gli rispose Quinto – abbiamo tirato a queste perché erano le più grosse, e non eravamo sicuri di poterne riportare più di due al castrum.
– Beh, già con queste avremo carne da mangiare per diversi giorni. Ottimo lavoro, Quinto, – si congratulò Aktis – deciderà il trierarca se organizzare un’altra spedizione per fare scorte di carne da conservare.
– C’è un’altra cosa, centurione, – esitò Quinto – mentre eravamo nella foresta pensiamo di aver visto qualcuno…
– Qualcuno?
– Non ne siamo sicuri. La foresta è molto fitta, – si scusò l’optio – e chiunque fosse si teneva nascosto nel folto. Però sia io che un paio di milites abbiamo avuto l’impressione di vedere qualcuno che si muoveva tra gli alberi, più persone probabilmente. Decimo giura di aver visto per un istante un etiope alto e con una lunga hasta in mano.
– Pensi che vi stessero sorvegliando di nascosto?
Centurione, onestamente ritengo che ci stiano sorvegliando di nascosto! Vedi come la foresta arriva a meno di cento passi dal fossum del castrum senza diradarsi minimamente, – rispose indicando alle sue spalle – potrebbe esserci chiunque ad osservarci là in mezzo, e se è capace di muoversi senza far rumore potremmo non accorgercene mai.
– Un simile atteggiamento di segretezza può essere causato o dalla paura o dall’ostilità. Potrebbero essere pochi e aver paura di noi, oppure può darsi che siano molti e che ci stiano studiando per aspettare il momento migliore per attaccarci. – Ragionò Aktis: – Ne parlerò subito con il trierarca, ma per il momento voglio che non esca nessuno dal castrum se non in gruppi di almeno dieci persone e completamente armati. E passa parola di raddoppiare i turni di guardia.


Le informazioni portate da Quinto Modio preoccuparono assai Dominico: – Questa faccenda non mi piace affatto, – disse ad Aktis – ma approvo i tuoi ordini. Doppi turni di guardia e che nessuno si allontani dall’accampamento senza scorta.
– Grazie trierarca. Per quell’idea di organizzare una battuta di caccia…
– Non se ne parla nemmeno! Il rischio di un’imboscata è eccessivo. Proibisci esplicitamente agli uomini di entrare nella foresta: chi esce dal castrum deve sempre rimanere in vista delle sentinelle. Inoltre se prendessimo altre prede dovremmo macellarle e affumicarne la carne, e questo richiederebbe diversi giorni. Non voglio restare qui troppo tempo con questi sconosciuti che ci tengono d’occhio, organizza le cose in modo che siamo pronti a ripartire all’alba di dopodomani.


Quella stessa sera un’altra preoccupazione si aggiunse a quelle che già disturbavano Dominico: Gibil gli riferì che tre milites erano immobilizzati a letto con un attacco di febbre.

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