Capitolo 18


Goutai

Riattraversati quegli stretti fatidici siamo di nuovo nelle acque di Oceano, dopo tre mesi passati ad esplorare questo mare interno di cui fino ad ora non sospettavamo nemmeno l’esistenza, ed è qui che alle Kalendae di Sextilis ho un’altra violenta discussione con Clearco.
Devo ammettere che dopo la scoperta delle terre dell’electrum l’atteggiamento del trierarca nei miei confronti era molto mutato: mentre prima non si preoccupava nemmeno di nascondere il fatto che considerava me e i miei assistenti come un inutile peso da portare in giro nel suo viaggio intorno all’orbis, dopo quegli avvenimenti i suoi modi sono cambiati e, sebbene i nostri rapporti non siano certo cordiali, sembra rispettare la nostra posizione come membri a tutti gli effetti della spedizione.
Ma questa sua nuova considerazione nei miei confronti non gli impedisce certo di infuriarsi e di inveire contro di me quando gli espongo il mio punto di vista sulla nostra situazione: siamo tornati quasi al punto di partenza, alla nostra sinistra possiamo vedere le coste della penisola di Cimbria e quindi siamo a poco più di mille miglia dal confine della Germania Inferior.
Per aggirare la penisola di Scatinavia (ora che sappiamo che è una penisola) dovremo risalire a nord almeno fino al clima a cui eravamo arrivati in quel golfo, quando abbiamo visto i giorni senza notte. E una volta arrivati di nuovo così a nord, non sappiamo quanta strada dovremo fare verso oriente prima che la costa ci riporti verso il caldo del sud. Siamo nel pieno dell’estate, ma non abbiamo speranze di percorrere tutta questa strada prima dell’arrivo dell’inverno il quale, quanto più andremo verso nord, tanto più sarà lungo e freddo.
Gli parlo anche del resoconto del viaggio di Pytheas di Massilia il quale, arrivato all’isola di Thoule, vide anche lui il fenomeno del giorno senza fine, e riferì che a un solo giorno di ulteriore navigazione verso nord si giungeva in un luogo così freddo che il mare stesso era coperto di ghiaccio.
Gli faccio notare che adesso che sappiamo che dobbiamo aggirare Scatinavia e non entrare nel mare interno, la cosa più sensata da fare sarebbe tornare a svernare a Portus Itius e poi ripartire con l’arrivo della primavera, utilizzando tutta la buona stagione per tentare la circumnavigazione delle regioni boreali. Tanto più, aggiungo anche, che tornando in contatto con la civiltà avremmo l’occasione di comunicare quanto abbiamo finora scoperto, non ultima la localizzazione del luogo d’origine dell’electrum.
Credo che sia proprio quest’ultima affermazione quella che lo fa montare in bestia: mi urla che evidentemente non lo conosco bene e che lui non è certo il tipo da interrompere il viaggio alla prima difficoltà; che non ha nessuna intenzione di rivelare a chicchessia il luogo dove si trova l’electrum, credo forse che lui voglia rinunciare così a un segreto che vale milioni? Mi rendo forse conto che la sola stiva di una nave come la Viatrix può portare un carico di electrum del valore di diverse centinaia di milioni di sesterzi? E che con una cifra simile Ottaviano comprò la fedeltà delle legioni a sostegno della sua pretesa alla successione di Giulio Cesare? Con cento milioni di sesterzi si può pagare un anno di stipendia a tutte le legioni di Roma, ufficiali compresi! E io vorrei che lui regalasse una simile informazione, gettasse letteralmente l’electrum ai porci, per poi proseguire in un viaggio della durata di anni mentre altri si arricchiscono utilizzando il risultato delle sue fatiche?
E poi, aggiunge, mostrando di nuovo l’ossessione che lo spinge in questa folle corsa contro il tempo per arrivare alla meta prima della nave del trierarca Dominico, non ha nessuna intenzione di perdere un intero anno svernando in Germania mentre la Inceptio prosegue nel suo viaggio.
Io provo ancora a farlo ragionare spiegandogli l’ovvio: se non c’è nessuna possibilità di attraversare in inverno le terre del nord, è inutile proseguire per morire nel tentativo.
Niente. Quale che sia il demone che lo spinge, la rivalità con Dominico, l’avidità per il possesso dell’electrum o la semplice cocciutaggine, Clearco non intende ragione. Mi rivolge le accuse più folli, di essere al soldo di Dominico per far fallire la sua spedizione, di voler sfruttare io solo i giacimenti di electrum, di essere un codardo che non ha il coraggio di affrontare un viaggio che già da prima di partire avrei dovuto sapere che sarebbe stato molto pericoloso.
Rinuncio a discutere e mi allontano, per paura che nella sua furia Clearco possa passare alle vie di fatto. Proseguiremo verso nord, e che Hermes ci aiuti quando arriverà l’inverno.


A circa mille miglia dagli stretti arriviamo a un grande golfo punteggiato di isole di tutte le dimensioni, da scogli larghi pochi passi a isole vere e proprie lunghe anche tre o quattro miglia. Qui, su un promontorio che si estende dall’estremità meridionale del golfo, sorgono un gran numero di piccoli villaggi che vivono dell’agricoltura praticata nell’entroterra, quasi completamente pianeggiante.
Circa a metà del promontorio, in una delle aree più densamente coltivate, sorge un grande villaggio che, considerando la media locale, potrebbe quasi essere chiamato una città.
D’accordo, città è senza dubbio un’esagerazione, ma si tratta comunque di uno degli insediamenti più grande che abbiamo visto da quando abbiamo lasciato le coste della Germania Inferior: a giudicare dalle dimensioni calcoliamo che debba avere quasi un migliaio di abitanti.
Ci avviciniamo con cautela, passando tra gli stretti bracci di mare che separano le numerose isole e sono frequentati da un grande numero di piccole imbarcazioni, molto simili a quelle che avevamo già notato vicino alle coste dei suiones, in prevalenza barche da pesca. Davanti al grande villaggio c’è persino una specie di porto, con delle rozze banchine di legno a cui sono attraccate molte barche, mentre altre sono tirate in secca sulla spiaggia vicina.
Prima di ormeggiare la Viatrix a uno dei moli accostiamo e il centurione Segimondo si sporge dal parapetto per parlare con i locali. Non incontra troppe difficoltà a farsi capire in quanto, come mi spiegherà in seguito, sono del popolo dei goutai e parlano una lingua germanica non troppo diversa da quella dei suiones dall’altra parte della penisola. Dopo una breve discussione con un gruppo di uomini armati sulla banchina, Segimondo ci informa che siamo autorizzati a scendere a terra disarmati, perché questa è la legge locale: gli stranieri che arrivano per commerciare sono i benvenuti, ma non possono portare armi all’interno della città per nessun motivo.
Clearco non è per nulla soddisfatto di questa limitazione ma fa buon viso a cattivo gioco: sbarcherà con una dozzina di milites come guardia del corpo, disarmati ma scelti tra quelli più alti e robusti. Non che questo possa particolarmente impressionare i goutai: il più alto tra i nostri milites è a malapena nella media tra questi giganteschi marinai e contadini dai capelli biondi e dalle barbe rossicce. La Viatrix viene ormeggiata a una delle banchine del porto e Clearco scende a terra, accompagnato dalla sua guardia, da me e dal magister fabrum.
Scopriamo rapidamente che questo centro più che un villaggio è quasi interamente un mercato. Con un’estensione di quasi mezzo miglio, oltre al porto comprende magazzini per il grano, officine dove si conciano e lavorano il cuoio e le pelli, un ampio spazio in cui viene essiccato il pesce, e botteghe di ogni genere. A giudicare dalle dimensioni e dal traffico che abbiamo visto, questo dev’essere un emporion, il centro principale in cui si svolge il commercio degli abitanti di queste coste.
Il paese dei goutai è infatti molto grande come estensione, ma è costituito prevalentemente di montagne innevate, immense foreste di pini e scogliere sterili. I tratti in cui è possibile praticare l’agricoltura sono relativamente piccoli e molto distanti l’uno dall’altro, così che la popolazione è molto limitata rispetto all’ampiezza complessiva del territorio e risulta sparpagliata in tanti piccoli villaggi, separati tra loro dal mare da una parte e dalle montagne impervie dall’altra: questo è un paese senza strade.
Ed è per questo probabilmente che è nato e si è sviluppato questo villaggio-mercato in cui ci troviamo adesso: i villaggi disseminati lungo la costa non possono essere completamente autosufficienti. Qualcuno avrà una buona pesca, ma è carente di terra arabile; altri avranno terreni adatti all’agricoltura ma non possiedono metalli, e così via.
Un luogo in cui gli abitanti dei vari insediamenti possano scambiare i prodotti che hanno in eccesso con quelli di cui hanno necessità è indispensabile per la sopravvivenza di questa gente, e la legge che impone ai frequentatori del mercato di essere disarmati serve senz’altro a garantire la pacifica convivenza tra visitatori provenienti dai punti più disparati della costa, magari da tribù diverse e in lite tra loro.
Il pesce essiccato dei goutai merita una spiegazione a sé stante: in queste terre esposte ai venti freddi del nord il pesce appena pescato può essere trattato in una maniera che risulterebbe impossibile sulle nostre coste più calde. Pare che in questi mari abbondi, soprattutto all’inizio dell’inverno, un tipo di pesce dalle carni bianche abbastanza grande, che i goutai catturano nelle reti in quantità enormi con le loro flotte di barche. Questo pesce, una volta decapitato e pulito delle interiora, viene messo ad essiccare per diversi mesi appeso a grandi rastrelliere di pali di legno aperte al vento. All’arrivo della primavera il pesce è completamente secco, duro quasi come il legno su cui è stato esposto, e ci dicono che se viene mantenuto all’asciutto può essere conservato addirittura per molti anni.
Alla fine Clearco ha riempito di nuovo la stiva della Viatrix pagando soprattutto in ferro e bronzo, che da queste parti sono piuttosto rari, ma anche con un bel po’ d’argento: ha comprato abbastanza orzo, formaggio e pesce essiccato da nutrire l’equipaggio per un mese. Ha acquistato anche dieci bellissime pelli di una specie di orso che ci dicono viva nell’estremo nord di queste terre; il pelo è candido, più bianco del vello delle pecore, e incredibilmente folto e morbido. Sono però le dimensioni delle pellicce a essere impressionanti: questi orsi boreali devono essere veramente enormi se una loro pelle può arrivare a essere lunga dieci piedi!


Abbiamo ripreso a navigare verso nord, lungo questa costa apparentemente infinita: isolette, insenature rocciose, piccole aree pianeggianti, altre isole, altre insenature; al dio che ha creato questa terra dovevano piacere tantissimo le coste frastagliate! E sempre, appena dietro la linea della costa, le montagne: altissime, coperte di pini e dalle cime innevate.
Sei giorni dopo aver lasciato il mercato, la costa ha cominciato gradualmente a piegare verso nordest, il che è sicuramente un bene, ma il panorama rimane sempre uguale. I miei rilievi mi dicono che per arrivare allo stesso clima del luogo più a nord in cui siamo stati nel mare interno dovremo percorrere almeno altre sette o ottocento miglia, ma in realtà non sappiamo affatto quanto dovremo proseguire oltre quel punto prima di poter aggirare questa penisola, potrebbe anche essere il doppio. O il triplo.
E intanto il tempo passa: ci avviciniamo alle Idus di Sextilis e contemporaneamente andiamo verso nord. Nonostante il fatto che a sud sia piena estate, qui le notti si stanno facendo sempre più fredde. Non c’è bisogno di un astrologo per capire che fra poco tempo si faranno gelide, e che l’inverno sta arrivando.
Clearco mi ha ordinato di non discutere di queste cose in presenza dei membri dell’equipaggio, di non diffondere quelle che lui chiama le mie opinioni da disfattista. È però evidente che delle voci in merito stanno già circolando, anche un semplice miles è in grado di rendersi conto che di notte fa freddo. Anzi, forse proprio i milites sono gli uomini che, per addestramento e per l’abitudine a dormire all’aria aperta o sotto una semplice tenda, possono rendersi meglio conto di queste cose.
Nell’insieme il morale a bordo si sta deteriorando rapidamente. I centurioni sono già dovuti intervenire in più occasioni con provvedimenti disciplinari e già due volte è stata applicata la punizione più pesante e umiliante: il reo viene legato al banco di voga di uno dei thalamios, giù nella stiva della nave, con la testa passata attraverso il foro dello scalmo; il poveretto viene così a trovarsi nell’impossibilità di muoversi e con la testa ad appena un paio di piedi dalla superficie dell’acqua la quale, essendo costantemente agitata dal movimento dei remi davanti a lui, gli schizza continuamente in faccia. Se questa punizione viene applicata mentre si naviga su un mare mosso non è affatto impossibile che il condannato muoia affogato prima di essere liberato.
Rimango convinto che la decisione di Clearco di proseguire in questa stagione il viaggio verso nord sia una follia, ma mi guarderò bene dal parlarne oltre, tanto so bene che non servirebbe certo a fargli mutare opinione. Speriamo che abbia ragione lui, e che nei prossimi dieci giorni possiamo davvero raggiungere l’estremità settentrionale di questa penisola, e possiamo tornare a dirigerci a sud, verso le coste della Seria.

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

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