Capitolo 20


Oceano, a.d. IIII Kal. Oct. 874 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
Sono passati diciotto giorni da quando abbiamo celebrato il sacrificio ad Æsculapius e sembra che il dio abbia davvero accolto la nostra supplica: da allora non ci sono stati più nuovi casi di febbre e tutti i milites che erano malati sono sopravvissuti. Secondo i calcoli di Claudio Tolomeo dall’isola del serpente abbiamo già percorso oltre millecinquecento miglia, sempre seguendo la costa verso sud-sudest.
Le foreste impenetrabili sono ormai un lontano ricordo: il territorio che stiamo attraversando è gradualmente passato da foresta a prateria e poi a deserto. Per più di ottocento miglia abbiamo costeggiato una pianura spoglia: sabbia, rocce e qualche rara macchia di verde, perlopiù erba e bassi cespugli, in corrispondenza dei pochi corsi d’acqua.
Siamo riusciti a rinnovare le nostre scorte d’acqua attingendo a questi fiumi, la maggior parte dei quali non erano altro che torrenti fangosi, ma cominciamo ad avere dei problemi con il cibo: nonostante la pesca in queste acque sia buona, l’equipaggio è stanco di mangiare quasi solo pesce!
Per fortuna da qualche giorno l’aspetto della costa sta tornando a cambiare in meglio: la vegetazione aumenta e si vedono dei boschi nell’interno, forse delle foreste.
Penso che alla prossima sosta avremo buone possibilità di trovare un territorio adatto a una caccia abbondante.


– Riducete le vele. Tempesta in arrivo!
Il cielo si era improvvisamente fatto nero all’orizzonte occidentale e i marinai si arrampicarono rapidamente sugli alberi e sui pennoni per imbrigliare le vele, sfidando coraggiosamente il vento di nordovest che stava rapidamente crescendo di intensità.
– Sobadako, – urlò Dominico indicando alla sua sinistra – cerchiamo di entrare in quella baia.
La nave si trovava a un centinaio di braccia dalla costa davanti a una baia a forma di mezzaluna larga poco più di un miglio, la cui imboccatura era parzialmente stretta tra due piccoli promontori alle estremità; sembrava abbastanza riparata dal vento da offrire un rifugio sicuro alla trireme.
La Inceptio, che ora contava solo sui remi per misurarsi contro il vento e le onde di Oceano, cambiò direzione per entrare nell’insenatura; la manovra sarebbe forse andata a buon fine se la tempesta non si fosse abbattuta su di loro con tutta la sua violenza proprio in quel momento.
Un’improvvisa raffica di vento fece sbandare la trireme verso destra e, prima che il gubernator avesse tempo di fare qualsiasi tentativo di evitarlo, la spinse contro una linea di scogli parzialmente sommersi che si stendeva lungo l’imboccatura della baia.
L’impatto fu forte, ma per fortuna la nave colpì gli scogli solo di striscio; ciò nonostante l’urto spezzò una decina di remi e ferì gravemente diversi remiges per il contraccolpo. La Inceptio sbandò bruscamente verso sinistra e si ritrovò a strisciare sul fondale dell’estremità meridionale della baia.
Sobadako riuscì a riprendere il controllo della situazione, con notevoli sforzi la nave venne riportata di qualche decina di braccia verso il centro dell’insenatura e lì ancorata. Il mare agitato, la pioggia scrosciante e le urla dei milites feriti avevano portato l’equipaggio sull’orlo del panico.
Gradualmente si cominciò a tornare dal caos a una parvenza di ordine: vennero distesi i velabra per impedire alla pioggia di allagare il ponte e la stiva, i feriti vennero trasportati al valetudinarium sotto il castello di poppa, dove potevano essere assistiti da Gibil e dai chirurghi, mentre Caledonio si mise al lavoro per valutare i danni riportati dalla nave.
– Poteva andar peggio, trierarca, ma non siamo in una bella situazione. – Fu il laconico resoconto che il magister fabrum fece a Dominico dopo un paio d’ore: – I danni ai remi e alle sovrastrutture sono cosa di poco conto, ma l’urto con la scogliera ha danneggiato seriamente lo scafo circa tre piedi sotto la linea di galleggiamento.
– Quanto seriamente? – Chiese Dominico visibilmente preoccupato.
– Abbastanza. Ci sono almeno due tavole che si sono spostate, temo che si sia rotta la maggior parte dei giunti che le collegano alle altre, e abbiamo imbarcato un bel po’ d’acqua. Ho fatto una riparazione d’emergenza con teli impeciati, assi di legno e chiodi, e l’acqua ha praticamente smesso di entrare; ho messo al lavoro quattro uomini alla pompa di sentina per buttar fuori l’acqua in eccesso, ma…
– Ma?
– Ma non so per quanto tempo potrà resistere quella riparazione! Nella migliore delle ipotesi l’acqua che filtra nelle fessure farà marcire il legno in due o tre mesi; nella peggiore, se i giunti si sono davvero spezzati, potrebbe cedere alla prima ondata un po’ forte. In ogni caso, – aggiunse – non abbiamo la minima possibilità di terminare il viaggio in queste condizioni.
– E quindi cosa consigli di fare?
– Dobbiamo assolutamente portare in secca la nave, verificare i danni che ha subito ed effettuare una riparazione completa. È l’unica possibilità che abbiamo per evitare che alla prossima tempesta lo scafo si sfasci, senza neanche bisogno di andare di nuovo contro gli scogli.
– Quindi dobbiamo portare a riva la Inceptio e trascinarla sulla spiaggia? – Chiese Dominico dubbioso.
– No, trierarca, questa nave è troppo grande e pesante per essere spiaggiata come una normale trireme. Tanto per cominciare anche tutti gli uomini dell’equipaggio insieme non riuscirebbero a trascinarla sulla sabbia, e poi non abbiamo una chiglia piatta su cui lo scafo possa appoggiare una volta a riva, se ci provassimo si ribalterebbe e forse si spezzerebbe sotto il suo stesso peso.
– Capisco. E quindi come facciamo a metterla in secca? Da queste parti non abbiamo a disposizione porti attrezzati con cantieri navali.
– Bisogna cercare un luogo adatto e improvvisare un bacino di carenaggio. Poi si vedrà che fare dopo aver valutato i danni.
– E quanto tempo credi che ci vorrà a terminare i lavori di riparazione?
– Ah, difficile dirlo con certezza. Almeno due o tre mesi, forse anche quattro…
– Non se ne parla nemmeno! – Reagì brusco Dominico: – se ci fermassimo per tre o quattro mesi arriveremmo alla fine di questa strana estate australe e poi saremmo costretti a fermarci a svernare qui perdendo chissà quanto tempo. Ti do un mese di tempo al massimo per rimettere in sesto la nave!


La mattina successiva ripartirono, la tempesta era terminata, il mare abbastanza tranquillo e e il cielo limpido e chiaro. Si avviarono lentamente, senza issare le vele, mantenendosi il più possibile vicino alla terra in modo da poter osservare meglio la costa.
Un paio di miglia a sud della baia in cui si erano riparati il giorno prima si apriva un’altra insenatura, molto più grande dell’altra, che però a un attento esame non rivelò nessun punto adatto all’approdo; proseguirono quindi oltre.
Percorsero molte miglia lungo una costa rocciosa e impervia, con scogliere affioranti che li costringevano a mantenersi a centinaia di piedi dalla riva. La situazione era scoraggiante, Caledonio diventava sempre più irritabile mentre scrutava la linea degli scogli, mentre Dominico era terribilmente preoccupato per l’integrità della sua nave. Gli unici a mantenere la calma erano Aktis che riteneva illogico preoccuparsi per qualcosa che era al di fuori della loro possibilità di intervento e Sobadako che concentrava tutta la sua attenzione nel governo della nave.
Proseguirono così per una trentina di miglia finché, sulla costa frastagliata di un piccolo promontorio circondato da scogli, Caledonio non vide qualcosa che destò il suo interesse: una minuscola insenatura, larga circa un centinaio di piedi, che sembrava estendersi in lunghezza abbastanza per contenere la Inceptio.
Sobadako fece fermare la nave che venne ancorata a trecento piedi dalla costa, fuori pericolo dalla scogliera. Venne calata una scialuppa con la quale Dominico, Caledonio, Aktis e sei milites si diressero a riva.
L’insenatura che Caledonio aveva avvistato sembrava effettivamente ideale: piuttosto che una baia sembrava un canale. Era lungo circa duecento piedi e largo cinquanta con un fondale basso e roccioso, abbastanza uniforme e senza irregolarità o rocce sporgenti e in leggera salita verso l’entroterra, mentre i fianchi erano delimitati da due scarpate rocciose alte poco più di dieci piedi.
– Che ne dici, Caledonio, credi che potrebbe andar bene? – Chiese Aktis al magister fabrum.
– Penso di sì, centurione, ci sarà un sacco di lavoro da fare ma non credo che troveremo un luogo migliore di questo: sembra quasi fatto apposta.

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

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