Capitolo 26


Sinus Stultorum, a.d. XVII Kal. Dec. 874 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
Dopo le riparazioni allo scafo abbiamo ripreso la navigazione. Per due giorni abbiamo seguito la costa in direzione sudest finché la mattina del terzo giorno, dopo aver aggirato un promontorio circondato da una scogliera dall’aspetto ben poco rassicurante, abbiamo scoperto che la linea costiera puntava adesso direttamente verso oriente.
Da allora sono già quattro giorni che la prua della nave è costantemente rivolta ad est e questo, in modo abbastanza paradossale, sta rischiando di creare problemi con l’equipaggio. Dopo la delusione seguita ai festeggiamenti nel luogo che avevamo chiamato Finis Africae, i milites non vogliono nuove illusioni e temono che questo tratto in direzione favorevole sia una specie di nuova beffa da parte degli dèi.
A parte questo la navigazione è stata tranquilla: dopo quasi due mesi durante i quali i venti prevalenti ci erano contrari, da quando abbiamo superato il promontorio siamo favoriti da una brezza costante da poppa che ci permette di sfruttare a pieno le vele e far riposare i remiges.
Il territorio lungo cui stiamo navigando è verdeggiante, con la costa interrotta dagli estuari di numerosi piccoli fiumi o torrenti. Non abbiamo quindi particolari preoccupazioni per quanto riguarda gli approvvigionamenti; tra l’altro, sembra che in queste terre non abiti nessuno.

Trierarca, i milites mi hanno chiesto di parlarti come loro rappresentante per esporre una lamentela. – Il tono di Aktis era contemporaneamente formale e imbarazzato.
– Parla pure liberamente, pilus prior. – Gli rispose Dominico altrettanto formale.
– Gli uomini lamentano che questa missione è una follia, che non abbiamo nessuna speranza di arrivare in Egitto seguendo questa costa e che se andiamo avanti ad oltranza moriremo tutti, lontani dalle nostre case, e senza aver ottenuto niente dal nostro sacrificio: Roma non saprà mai cosa ci è capitato e tutte le nostre scoperte e osservazioni andranno perdute con noi.
– E quindi cosa chiedono?
– In parole povere, vorrebbero tornare indietro subito.
– Capisco. E tu personalmente condividi questa loro opinione?
– In questo momento ti sto parlando come rappresentante della cohors, trierarca, quindi qualsiasi mia personale convinzione è irrilevante. – L’atteggiamento di Aktis era persino più formale di prima: – In queste circostanze non posso avere un’opinione personale senza con questo tradire la fiducia dei miei uomini.
– D’accordo. Informa i milites che appena possibile faremo una sosta per rifornirci d’acqua, e in quella occasione discuteremo di questa faccenda. Fino ad allora però, – aggiunse con fermezza – non voglio più sentire una sola parola sull’argomento!


Il castrum era stato allestito su una spiaggia sabbiosa, a poca distanza dall’estuario di un fiume non particolarmente ampio ma dalla corrente rapida. Dietro la spiaggia, larga qualche centinaio di passi, si estendeva a perdita d’occhio una prateria coperta di cespugli e bassi alberi, che prometteva una buona caccia.
Era appena iniziata la quarta ora e l’equipaggio della Inceptio era radunato al completo al centro della Via Principalis. Dominico si trovava sulla pedana del tribunal, eretta appositamente per l’occasione, e si preparava a rivolgersi ai suoi milites nell’intento di risolvere la situazione di malcontento che si era venuta a creare negli ultimi giorni.
Milites, romani, compagni, prestatemi orecchio. Noi tutti dal primo all’ultimo, lo sapete bene, siamo qui perché ci siamo offerti come volontari per questo viaggio intorno all’orbis.
– Ci siamo offerti volontariamente per una missione che sapevamo essere difficile, lunga, pericolosa. Sapevamo che saremmo rimasti lontani dalle nostre case e dalle nostre famiglie per anni e che forse, anzi probabilmente, non saremmo mai tornati.
– Sapevamo che stavamo andando a esplorare oltre i limiti del mondo conosciuto, attraverso l’immensità di Oceano, verso l’infinito e oltre, ed eravamo entusiasti di farlo.
– Ora siamo qui, a migliaia di miglia dalle nostre case sotto nuovi cieli popolati da stelle estranee, e qualcuno di voi ritiene che siamo andati troppo oltre, che dovremmo tornare indietro e smettere di sfidare il fato e Fortuna.
– Qualcuno di voi pensa che dovremmo tornare indietro, alle nostre case, alle nostre famiglie, dai nostri concittadini e ammettere che non abbiamo avuto il coraggio di andare avanti; che abbiamo avuto paura di guardare cosa c’era dopo la prossima isola, il prossimo promontorio, la prossima spiaggia.
– Noi, che eravamo partiti per un viaggio che doveva durare forse cinque anni, dovremmo tornare indietro dopo poco più di un anno perché abbiamo paura di andare avanti, di sfidare Fortuna? Dovremmo davvero ammettere che non abbiamo avuto la virtus, il coraggio, per fare ciò che avevamo giurato di fare? Siamo forse noi dei bruti che si limitano a sopravvivere o siamo cives romani, impegnati in questa missione allo scopo di conseguire nuove conoscenze?
– Volete veramente tornare adesso, quando forse siamo già oltre la metà della parte più difficile del nostro viaggio? Volete davvero essere ricordati dalla storia come l’equipaggio che per viltà si è fermato ed è tornato indietro poco prima di aver fatto ciò che nessun romano aveva mai fatto prima?
– Voi dite che è follia procedere in questa missione, che non abbiamo nessuna certezza di arrivare in Egitto, che dovremmo tornare a casa; ma io vi rispondo che se torniamo indietro saremo trattati come codardi, come coloro che non hanno saputo tener fede ai loro impegni.
– E, lo sapete meglio di me, di certezze non ce n’erano neanche all’inizio del viaggio, se non quella di esserci imbarcati in un’impresa folle.
– E allora, se dobbiamo essere folli, se questo viaggio ha da essere una follia, che sia così: vestiamoci di questa follia, facciamo sì che essa sia il nostro paludamentum. E che i nostri remi siano le ali per questo splendido e folle volo sotto questi cieli e queste stelle che nessun romano ha mai visto prima di noi!


Il discorso di Dominico ebbe l’effetto voluto: entusiasmò quelli nell’equipaggio che erano favorevoli a proseguire, rincuorò gli indecisi e fece vergognare i più pavidi. Nei giorni successivi qualcuno ancora continuò a lamentarsi della decisione, ma la grande maggioranza dei milites era ormai chiaramente schierata a favore del proseguimento del viaggio.
A dimostrazione di quanto l’idea di ammantarsi di una magnifica follia avesse preso piede tra la truppa, i milites cominciarono a chiamare l’accampamento “Castrum Stultorum” e il trierarca decise di assecondare questo cambiamento di umore rendendo ufficiale questo nome. Persino lo stesso Claudio Tolomeo, sempre fin troppo serio, accettò di indicare nel periplus che stava redigendo, il golfo in cui si trovavano con il nome di Sinus Stultorum.
– Dicci la verità, Tolomeo, tu cosa ne pensi dei progressi del nostro viaggio? – Gibil e Aktis avevano approfittato di un momento in cui l’astrologo sembrava meno impegnato del solito per provare a farlo parlare un po’: – Pensi che il trierarca parlasse seriamente quando ha detto che potremmo essere oltre la metà della circumnavigazione dell’Africa?
– Naturalmente capisci anche tu che mi stai facendo una domanda assurda. – Scattò Tolomeo: – Io al massimo posso dirti dove siamo adesso, o quanta strada abbiamo percorso per arrivare fin qui, ma non posso assolutamente sapere quanto manca per tornare alle coste dell’Egitto!
– Hai ragione, – tentò di rabbonirlo Aktis – non vogliamo chiederti una profezia. Vorremmo solo conoscere la tua opinione sulle nostre prospettive di ritorno a casa…
– D’accordo, ci proverò. Tanto per cominciare, dove siamo adesso: dalle misure che ho fatto a bordo della nave, e quindi non molto precise, direi che ci troviamo a sud di circa duemilaseicento miglia rispetto alla linea aequinoctialis. Dato che Alexandria si trova circa duemilaquattrocento miglia a nord della stessa linea, dovremmo essere circa cinquemila miglia a sud della città. Per arrivarci però abbiamo fatto un percorso molto più lungo, circa diecimila miglia da Olisipo a qui, perché oltre ad andare a sud siamo anche andati prima verso ovest e poi verso est.
– Non avremmo potuto seguire una rotta più diretta? – Chiese Gibil: – Mi sembra di capire che così avremmo risparmiato tempo.
– Ovviamente no, perché abbiamo dovuto seguire la costa. Se i calcoli che io e i miei assistenti abbiamo fatto sono giusti, noi adesso siamo quasi esattamente a sud di Alexandria, a circa cinquemila miglia di distanza. – Sogghignò: – Se avete voglia di fare una bella camminata, potete mettetevi in marcia verso nord e fra un anno circa ci arriverete, se riuscirete ad attraversare il deserto della Nubia, naturalmente. Oppure possiamo continuare ad andare per nave, cosa che a me sembra decisamente più confortevole, e continuare a seguire la costa che, prima o poi, ci dovrebbe riportare nel Sinus Arabicus.
– Penso che resteremo anche noi a bordo della nave. Ma tu dici che questa costa ci porterà presto o tardi in Egitto; la domanda fondamentale è proprio questa: ci porterà a casa presto o ci porterà a casa tardi?
– Ecco, questa è la domanda a cui è difficile rispondere. – Claudio Tolomeo si fece più serio: – Sicuramente non molto presto: ci sono voluti circa otto mesi per arrivare fin qui, percorrendo diecimila miglia; se anche tornassimo in Egitto seguendo la via più breve in linea retta, dovremmo percorrere circa la metà di quella distanza, quindi ci metteremmo probabilmente altri quattro mesi. Naturalmente non conosciamo la forma della costa che dobbiamo ancora percorrere, se la conoscessimo non avrebbe senso una missione di esplorazione, quindi non possiamo sapere quanto sia contorta o frastagliata e quante deviazioni comporti. Inoltre non sappiamo neanche se da qui in poi torneremo verso nord, o se abbiamo ancora altre migliaia di miglia da percorrere verso sud prima di aver aggirato del tutto questa terra.
– Non mi sembra una prospettiva molto incoraggiante, Claudio Tolomeo. – Commentò Gibil con una smorfia.
– Non lo è. Ma mi avete chiesto di darvi la mia onesta opinione ed è quello che sto facendo. Sono certo che non potremo tornare in Egitto in meno di quattro mesi e mi aspetto che ce ne vorranno almeno sei o sette; inoltre, se anche ci mettessimo solo quattro mesi, torneremmo a nord della linea aequinoctialis in pieno inverno, e questo significa che dovremmo comunque fermarci da qualche parte ad attendere il ritorno della bella stagione.
– Quindi potremo dirci fortunati se arriveremo entro September dell’anno prossimo, – riassunse Aktis – altrimenti dovremo passare un intero altro inverno in Africa?
– Proprio così. In realtà non credo che la costa orientale dell’Africa possa spingersi troppo ad est, altrimenti arriveremmo direttamente in India; quindi ritengo ragionevolmente possibile che riusciremo ad arrivare al Sinus Arabicus durante la prossima estate o, nel caso peggiore, nella primavera successiva.

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