Castra Vetera
È bello essere di nuovo in mare dopo sette mesi passati a marciare nella neve e nel fango delle paludi.
La nave che abbiamo requisito a Hæfn è piccola, ma ci hanno assicurato che tiene perfettamente il mare; ha dodici remi e un albero con una singola grande vela quadrata e porta abbastanza provviste per un viaggio di due mesi, cosa che dovrebbe essere ampiamente sufficiente. Secondo i miei calcoli, se troviamo venti adatti potremmo essere in Germania in poco più di un mese, ma anche se dovessimo remare per tutto il viaggio dovremmo metterci meno di due mesi. E poi possiamo sempre pescare per incrementare le nostre scorte.
I suiones realizzano le loro navi e barche in un modo molto diverso dalle nostre, ma devo ammettere che in mare si comportano egregiamente. Mentre lo scafo di una nave romana è costruito con grosse tavole di legno leggero, in genere abete o pino, solidamente bloccate tra di loro con un ingegnoso sistema di giunti e perni, le navi dei suiones sono fatte con tavole sottilissime di legno duro e pesante, prevalentemente quercia; a prua e poppa si assottigliano ancora, fino ad arrivare a uno spessore di circa mezzo pollice.
Le assi non sono fissate solidamente una a fianco dell’altra, ma hanno i bordi che si sovrappongono e, in questo tratto comune, vengono praticati una miriade di forellini mediante i quali le tavole vengono cucite tra loro come due lembi di tessuto; invece che un filo, utilizzano le lunghe e sottili radici della pianta di ginepro e il risultato è uno scafo più leggero e flessibile dei nostri, anche se dubito che questa tecnica possa essere utilizzata per costruire navi di grandi dimensioni.
Partiamo da Hæfn alle Idus di Aprilis con un equipaggio di tredici persone: sei marinai, cinque milites, il signifer della prima centuria Tito Aureliano e io. In questo viaggio non ci sono passeggeri, facciamo tutti il nostro turno al timone, remiamo tutti se si deve procedere a remi, quando si viaggia con la vela i sei marinai danno gli ordini e tutti noi, compreso il signifer, obbediamo.
E tutti facciamo il nostro turno a sgottare con il secchio di cuoio, un lavoro veramente infame.
Il nostro carico comprende due barili d’acqua, ceste di carne affumicata, pesce secco e noci e i nostri effetti personali. Aureliano ha anche con sé il proprio mantello ufficiale e le insegne della centuria mentre io porto questa copia del mio resoconto del viaggio della Viatrix. L’originale l’ho affidato a Quinto Flavio nel caso sfortunato che dovessimo perderci in mare.
Gli altri aspetteranno a Hæfn una spedizione di soccorso fino alle Kalendae di Sextilis e poi, se non vedranno arrivare nessuno, ripartiranno a piedi tentando la sorte nel viaggio a sud via terra; se per allora non saranno arrivati i soccorsi vorrà dire che non arriveranno più.
Per comune accordo decidiamo di evitare di restare in vista della costa: il rischio di essere avvistati e intercettati da altre navi dei germani, o anche semplicemente da pirati, è troppo grande; con solo sei milites a bordo non potremmo sopravvivere a uno scontro con qualunque cosa più grande di una barca di pescatori.
Per fortuna è praticamente impossibile che ci perdiamo in questo mare lungo e stretto: dopo esserci allontanati di qualche miglio dalla costa giriamo direttamente la prua verso sud e continueremo in questa direzione finché non arriveremo alla costa della Germania Magna, da qualche parte a occidente della foce della Vistula. Da lì proseguiremo in direzione ovest e prima o poi dovremo arrivare per forza alla penisola di Cimbria; l’attraveramento degli stretti è la parte più rischiosa del viaggio: lì non è possibile evitare di essere in vista della costa, ma se riusciamo a passare quell’ostacolo saremo quasi arrivati.
Per il momento mi sto godendo il viaggio. Stiamo navigando abbastanza velocemente con una buona brezza da nord-nordest e il mare è calmo; c’è qualcosa di speciale nel viaggiare in mare in condizioni così buone: non hai l’impressione di muoverti, ma sembra che sia il mondo intero a muoversi intorno a te e in un certo senso diventi tutt’uno con il vento che sta spingendo la nave.
Naturalmente le cose belle non durano mai a lungo. Sono tre giorni che piove continuamente, una pioggia leggera e continua, terribilmente fastidiosa. Per fortuna dovremmo quasi essere in vista della costa germanica, se troviamo un buon punto per approdare potremo accendere il primo fuoco da sei giorni a questa parte.
Il vento che ci ha così facilmente portato verso sud è diventato un ostacolo ora che la nostra rotta volge verso ovest e nord; ci mettiamo undici giorni, navigando prevalentemente spinti dai remi, per raggiungere gli stretti di Cimbria.
Siamo fortunati e nessuna nave ci ferma durante il passaggio dello stretto: forse da lontano ci scambiano per una nave di suiones, o forse veniamo considerati una preda troppo piccola per valere il disturbo di mettere in mare una galea pirata per venire ad attaccarci.
In altri cinque giorni, sempre a remi, abbiamo aggirato la Cimbria e siamo finalmente entrati nell’Oceanus Germanicus. Abbiamo rialzato la vela e adesso filiamo senza fatica in direzione sudovest; se i miei calcoli sono giusti dovremmo arrivare in vista della foce del Rhenus in tre o quattro giorni al massimo.
Siamo infine arrivati a Lugdunum Batavorum e, ancora una volta, abbiamo dovuto ringraziare l’intelligenza e la lungimiranza di Quinto Flavio: la presenza di Tito Aureliano, con la sua pelle di lupo e le insegne della centuria ci ha permesso di arrivare abbastanza in fretta a parlare con il praefectus castrorum, invece di essere arrestati come sospetti disertori.
Chiarita con lui la nostra posizione una liburna della Classis Germanica ci ha portato rapidamente a Castra Vetera, dove mi trovo adesso.
Concludo questo rapporto del nostro viaggio prima di consegnarlo domattina al propraetor Quinto Vibio Gallo, governatore della provincia di Germania Inferior, perché lo faccia recapitare a Roma.
Questo resoconto si compone di ventidue fogli di pergamena, scritti sia in recto che in verso; ad esso sono allegati altri trentasei fogli riportanti le osservazioni e i rilievi effettuati da me e dai miei assistenti nel corso del viaggio.
Io, Filippo di Alexandria, figlio di Aristide, civis romanus, dichiaro che quanto qui riportato è stato scritto da me in buona fede e risponde al vero.