Capitolo 32


Opone, a.d. X Kal. Mai. 875 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
Dopotutto i calcoli di Claudio Tolomeo sono risultati corretti: abbiamo dovuto percorre circa settecento miglia partendo dall’estremo nord dell’isola di Oceanica prima di avvistare la costa africana; da lì, proseguendo verso nord, in poco più di due giorni abbiamo raggiunto Nikon. Si tratta solo di un piccolo villaggio di pescatori, senza nemmeno un porto vero e proprio, ma per almeno due motivi tutto l’equipaggio ha festeggiato l’occasione.
In primo luogo, pur essendo solo un villaggio, Nikon è il primo posto che vediamo da più di un anno in cui coltivano il grano. Pane, vero pane! Solo chi abbia passato come noi un anno a mangiare solo carne, pesce, radici e noci può capire la nostra gioia al vedere di nuovo grano, farina e pane. Abbiamo acquistato tutte le provviste che gli abitanti erano disposti a venderci e abbiamo festeggiato con un vero e proprio banchetto.
Inoltre Nikon è un luogo conosciuto ai navigatori del Mare Erythræus; Tolomeo pensava che avremmo dovuto prima incontrare una città chiamata Raphta, che evidentemente è invece più a sud del punto in cui siamo tornati sulla costa africana. Questi luoghi e diversi altri sono noti ai mercanti che partono dal Sinus Arabicus e seguono verso sud la costa alla ricerca di avorio, miele di canna e spezie.
Il fatto stesso di essere arrivati fin qui ci dice che siamo quasi arrivati alla fine della prima parte del nostro viaggio. Adesso non c’è più bisogno di calcolare o immaginare quanto manca per arrivare in Egitto, la strada davanti a noi è conosciuta e percorrendo altre duemila miglia verso nord saremo di nuovo all’interno di una provincia romana.
In poco più di un anno abbiamo circumnavigato l’intera Africa e siamo ritornati nell’ecumene.
Lasciatici alle spalle Nikon e il successivo villaggio di Sarapion, in dieci giorni abbiamo raggiunto Opone, la prima vera città che vediamo da quando abbiamo lasciato Aniaso. Qui potremo acquistare tutte le provviste che ci servono per arrivare in Egitto.

Opone era una città abbastanza grande, con qualche migliaio di abitanti ma, nonostante la sua relativa vicinanza con l’Egitto, non era né egizia né romana. La città faceva parte dell’antichissimo Regno di Punt che commerciava da tempo immemorabile con fenici ed egiziani prima, con greci e romani poi, e che importava in occidente le merci provenienti dall’Arabia Felix e dalle lontane terre di Taprobane, dell’India e della Seria.
La Inceptio era ormeggiata già da quattro giorni a uno dei molti moli del porto e Dominico aveva intimato all’equipaggio di non parlare per nessun motivo con i locali della scoperta di Oceanica: un’isola così grande, fertile e disabitata poteva essere di grande importanza per Roma e sarebbe stato sciocco spargere la voce della sua esistenza prima che il Senato avesse deciso cosa farne.
Per questo motivo le ultime scorte rimaste di noci giganti erano state nascoste nel fondo della stiva, mentre Dominico e i suoi ufficiali contrattavano al mercato locale l’acquisto di grano, olio, vino e prodotti alimentari vari. Già la nave cominciava a riempirsi di nuovo di provviste, mentre centinaia di monete d’argento passavano di mano.
Anche i milites dell’equipaggio avevano finalmente l’occasione di spendere un po’ della loro paga arretrata, approfittando delle popinae e dei lupanaria locali: le licenze a terra negli ultimi giorni si erano moltiplicate a dismisura ma a Dominico andava benissimo così, era inutile tenere duecentoquaranta uomini confinati a bordo anche adesso che non ce n’era nessun bisogno. Se trovavano da divertirsi a terra tanto meglio per loro.
– Pare che stasera ci sia una grande festa in città – stava dicendo Dominico ad Aktis – e noi siamo stati ufficialmente invitati. Penso che faremmo bene a dare licenza a tutto l’equipaggio per partecipare, a parte ovviamente un contingente da lasciare di guardia alla nave.
– Mi sembra un’ottima idea, trierarca, quanti uomini vuoi che restino di guardia?
– Penso che venti milites saranno sufficienti. Dopotutto dovremmo essere di nuovo tutti a bordo per l’inizio della terza vigilia, quindi basteranno due turni di guardia.
– D’accordo, – confermò Aktis – mi occupo io di organizzare la cosa.


Poco prima di mezzanotte, a bordo dell’Inceptio.
I dieci milites del primo turno di guardia stavano dormendo già da un pezzo sul disco, mentre gli altri dieci facevano la loro ronda: tre nella zona di poppa, tre verso prua e quattro nel ponte centrale. Come prevedibile, la loro attenzione era concentrata soprattutto sul molo a cui la nave era attraccata, eventuali pericoli sarebbero arrivati da quella parte…
Nessuno di loro si accorse di una piccola barca, lunga forse venti piedi, che si avvicinava alla Inceptio proveniendo dal porto, spinta silenziosamente da otto pagaie; a bordo c’erano dodici uomini, compresi i rematori, completamente vestiti di nero così da essere praticamente invisibili nella notte.
La barca accostò alla sezione di poppa e due delle figure si arrampicarono rapidamente sulla ruota a pale dell’odometro, assicurando alla murata una scala di corda e scomparendo tra le ombre del cassero di poppa. Uno dopo l’altro, i loro compagni li seguirono su per la scaletta e si nascosero nell’ombra: i milites di guardia non si erano ancora accorti di nulla.
Il piano era semplice: sopraffare le sentinelle, prima quelle di guardia e successivamente quelle che dormivano sul disco, e buttarle in mare; sciogliere gli ormeggi e allontanare la Inceptio dal molo. Fatto questo ci sarebbe stato tutto il tempo per prendere il controllo della nave e uscire dal porto, prima che i romani riuscissero a organizzarsi e a trovare delle barche per raggiungerli.
Il vento era favorevole e i loro amici li aspettavano ad appena una ventina di miglia a sud della città: tra il carico della nave, l’argento che nei giorni scorsi i romani avevano speso con tanta liberalità e la nave stessa, si trattava di un bottino notevole per una notte di onesto lavoro da pirati.


Dominico e Aktis si trovavano nel foro di Opone ad assistere a un’interminabile cerimonia quando vennero raggiunti da un miles che arrivava correndo dal quartiere del porto: – Trierarca, stanno combattendo a bordo della nostra nave.
Dominico non stette a chiedere maggiori dettagli, radunati tutti i milites che riuscì a trovare si diresse di corsa verso il molo dov’era ormeggiata la Inceptio.


I dodici pirati si spostarono silenziosamente nel cassero di poppa, al di sotto del tavolato del disco, guidati dal loro capo. Erano tutti armati alla leggera, con una spada corta e lacci per strangolare e legare, ma senza armatura, elmo o scudo che impacciassero i movimenti: non erano saliti a bordo per sostenere un combattimento, ma per attaccare dall’ombra.
Si stavano preparando ad aggredire alle spalle le tre sentinelle di poppa, approfittando del momento in cui quelle sul ponte si trovavano a una certa distanza, quando cinque palle di pelo e artigli piombarono dall’alto sulle loro teste.
Era un gioco che i lemures avevano inventato e perfezionato nei venti giorni di viaggio: si nascondevano tra le travi del cassero di poppa, meno di due cubiti al di sopra dell’altezza di un uomo, e piombavano in testa al primo malcapitato che passava sotto di loro facendogli prendere uno spavento. Il gioco riusciva ancora meglio di notte, visto che i lemures avevano un’ottima visione notturna mentre sembrava che quei goffi bestioni che davano loro da mangiare non riuscissero a distinguere bene le cose al buio. Ormai l’equipaggio aveva imparato a non farsi sorprendere in quel modo, e la cosa cominciava a non essere più divertente; per fortuna questa sera c’erano questi nuovi arrivati con cui giocare.
Uno dei pirati lanciò un urlo, gli altri cercarono di liberarsi da queste bestie, invisibili al buio, che si erano aggrappate ai loro capelli e ai mantelli; le sentinelle, sentito il trambusto, sguainarono i gladia e imbracciarono gli scuta mentre chiamavano i loro compagni a rinforzo; anche i dieci che dormivano sul disco si precipitarono ad aiutare. Lo scontro fu breve e cruento, alla fine i dodici pirati erano tutti a terra mentre solo uno dei milites era stato ferito lievemente a un braccio; i lemures erano tutti illesi.


– Le sentinelle hanno fatto troppo bene il loro lavoro, trierarca, i pirati sono tutti morti.
– Lo vedo, Gibil, – rispose Dominico – quindi non sapremo mai se li ha mandati qualcuno o se erano soli.
– Sospetti di qualcuno in città?
– Non ho motivi sufficienti per accusare nessuno, ma non mi piace questa storia. – E, rivolgendosi ad Aktis: – Tutte le licenze a terra sono revocate; manda in giro delle squadre a recuperare l’equipaggio, a costo di andare a cercare i milites uno per uno in tutte le bettole e i lupanaria della città. E nessuno deve andare in giro da solo, gli uomini devono essere sempre almeno in quattro per volta.
– Sì, trierarca.


Prima dell’alba tutti erano di nuovo a bordo dell’Inceptio. Dominico si rivolse al gubernator: – Sobadako, portaci fuori da qui!
Gli ormeggi vennero sciolti, le vele spiegate e la nave uscì dal porto riprese il suo viaggio verso nord.

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

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