Capitolo 31


Suiones

È l’ottavo giorno delle Kalendae di Aprilis e, secondo i miei calcoli, da quando abbiamo abbandonato il villaggio dei sami abbiamo percorso circa quattrocento miglia verso sud.
È un viaggio terribile: anche se l’inverno sta finendo e le giornate si sono allungate al punto che adesso durano quanto le notti, fa ancora molto freddo e la neve non si è ancora sciolta del tutto. Paradossalmente lo scioglimento delle nevi sta intralciando la nostra marcia, poiché adesso invece di un’uniforme crosta di neve ghiacciata, siamo costretti a trovare una via in mezzo a pantani fangosi.
Per fortuna nelle foreste che costeggiano il mare la selvaggina non manca, quindi per lo almeno non stiamo soffrendo la fame, ma il freddo e le malattie hanno cominciato a mietere il loro raccolto: abbiamo già sepolto lungo la strada altri tredici dei nostri compagni e non siamo ancora a un terzo del nostro percorso; il morale è basso, anche se tutti si rendono conto che non abbiamo altra possibilità che continuare ad andare avanti.


È sera e stiamo percorrendo un tratto di pianura costeggiata da una foresta, quando dall’avanguardia un miles torna indietro a riferire che si vedono luci nel bosco e si sentono voci e rumori, come se a poca distanza ci fosse l’accampamento di un grande esercito.
Ovviamente al pilus prior la cosa non piace per nulla. Sarebbe estremamente pericoloso proseguire la marcia in territorio sconosciuto, lasciandoci alle spalle un grosso esercito potenzialmente ostile e della cui composizione e intenzioni non sappiamo nulla.
Quinto Flavio è un ufficiale intelligente e sa che la cosa peggiore che un comandante può fare in un momento critico è di mostrarsi indeciso. Fermata la colonna richiama l’avanguardia, e stabilisce un piano: una pattuglia di quattro milites, tutti di origine germanica e quindi in grado di capire almeno un poco la lingua locale, viene mandata nel bosco ad esplorare e valutare la situazione; il resto della cohors tornerà indietro di un paio di miglia e si accamperà nel bosco con l’ordine di non accendere fuochi, osservare il massimo silenzio e tenere turni di guardia triplicati.
Una bella situazione, era davvero quello che ci voleva: proprio quando stiamo per accamparci per la notte e stiamo già pregustando la cena, ci toccano altre due miglia di marcia nel crepuscolo, una cena fredda e una tenda ancora più fredda per aspettare l’alba battendo i denti.
Di allestire un castrum come si deve non se ne parla nemmeno, naturalmente: le tende vengono montate più o meno alla rinfusa tra gli alberi, in mezzo a una macchia di abeti fortunatamente priva di sottobosco, e cerchiamo di riposare un poco in attesa che la pattuglia di esplorazione ci porti notizie su questo possibile esercito nemico.


È già passata da un pezzo la mezzanotte, quando la luna quasi piena è già bassa a sudovest, che la pattuglia degli esploratori ci raggiunge nel nostro triste e silenzioso accampamento; la buona notizia è che non c’è un esercito nemico accampato a poche miglia da noi. Le altre informazioni sono meno buone.
Io sono ancora in piedi quando ritornano, in quanto sono rimasto sveglio per osservare un fenomeno astronomico particolare: Iupiter, la più brillante delle stelle planetae, che passa a brevissima distanza dalla luna. Così quando Caio Segimondo raggiunge Quinto Flavio per fare il suo rapporto, io sono nelle vicinanze e mi unisco a loro per sentire le novità.
– È un tempio, pilus prior, ma è immenso! È grande quasi quanto il Campus Martius a Roma… –
– Spiegati meglio, Caio.
– Ci proverò. C’è una spianata grosso modo circolare larga circa trecento passi, circondata da quattro o cinque collinette oblunghe altre tre volte un uomo; la mia impressione è che siano artificiali. Abbiamo seguito la luce e i rumori fino all’apertura tra due di queste colline, e abbiamo guardato dentro: lo spazio era pieno di gente che si scaldava intorno ai fuochi, saranno state mille o duemila persone. In mezzo c’è un grande edificio, penso che sia il tempio vero e proprio ma non mi sono certo avvicinato per indagare, e davanti all’edificio un gran numero di pali a cui sono appesi cadaveri, sia di uomini che di animali.
– Cadaveri? – Chiese Quinto Flavio: – Di uomini e animali insieme? Ma che senso ha?
– Sacrifici a Vodan. – Fu la laconica risposta di Segimondo: – Temo di sapere cos’è questo posto, anche se darei un anno di paga per sbagliarmi.
Vodan? – Intervenni io: – Vuoi dire che siamo a…
– Sì, temo proprio che siamo finiti ad Obsala. Proprio il posto che tempo fa ti dissi sarebbe stato meglio evitare ad ogni costo.


Obsala. Il principale tempio del dio Vodan in Scatinavia, il luogo dove si tengono in suo onore i sacrifici umani. Non un bel posto per degli stranieri, soprattutto non in questo momento, visto che la folla che Segimondo ha visto significa certamente che questi sono i giorni in cui si celebrano la grande festa e i grandi sacrifici.
D’altra parte non possiamo certo andarcene adesso, nel cuore della notte in un territorio sconosciuto e senza far rumore. Quinto Flavio ci manda tutti alle nostre tende, a dormire per quel poco che resta della notte.
Poco prima dell’alba veniamo svegliati da milites che girano da una tenda all’altra con gli ordini del pilus prior: il campo viene smontato silenziosamente; niente urla, niente suoni di corni, tutti cercano di prepararsi alla partenza evitando di fare rumore e la colonna riparte verso sud, marciando silenziosa e compatta alla massima velocità consentita dal terreno disagevole.
Non si parla nemmeno di sosta per il pranzo, e dopo otto ore di marcia massacrante siamo a una ventina di miglia di distanza da Obsala. Qui finalmente ci azzardiamo ad allestire un campo normale e ad accendere fuochi per scaldarci e per cuocere la cena.


Abbiamo cenato, ci siamo scaldati ai fuochi e passato una notte tranquilla; siamo ormai abbastanza lontani dal tempio di Obsala dal suo terrificante dio che esige sacrifici cruenti. Ma abbiamo corso davvero un grosso pericolo e, adesso che ci avviciniamo alle terre più calde del sud, a ogni passo che facciamo rischiamo di imbatterci in un esercito di germani.
Naturalmente lo sapevamo anche prima, e sappiamo anche che non ci sono alternative se vogliamo tornare nei territori soggetti al Senato e al Popolo di Roma, ma l’incidente della notte scorsa ha risvegliato le nostre preoccupazioni. Quinto Flavio ha già dato ordine di raddoppiare il numero di esploratori durante la marcia: come tutti noi sa che ogni passo che facciamo verso sud aumenta il nostro rischio di fare brutti incontri.
È mezzogiorno quando uno degli esploratori torna indietro per segnalare la presenza di un grande insediamento sulla costa, un paio di miglia più avanti. Un particolare nella descrizione del villaggio mi fa venire un’idea probabilmente folle e ne parlo con Quinto Flavio che, contrariamente a quello che mi sarei aspettato, prende seriamente in considerazione la proposta e fa richiamare gli esploratori, fermare la marcia e allestire il campo.


È quasi sera e la squadra inviata a spiare il villaggio dei suiones ritorna a fare rapporto; io e Caio Segimondo veniamo invitati da Quinto Flavio a raggiungerlo insieme a loro nella sua tenda.
– È abbastanza grande centurione, – sta dicendo uno degli esploratori – si trova su un piccolo promontorio, lungo circa mezzo miglio e largo la metà; nel punto più stretto è chiuso da un terrapieno con una palizzata dall’aria abbastanza robusta. Certo, se avessimo macchine da assedio sarebbe facile abbatterlo, ma senza di esse non credo che potremmo riuscirci, se è difeso all’interno anche solo da una manciata di arcieri.
– Ingressi?
– Solo uno, abbastanza largo per far passare due carri affiancati. – Risponde pronto il miles: – Adesso è aperto, ma immagino che la notte chiudano i cancelli. Probabilmente ci saranno anche delle sentinelle.
– Questo lo scopriremo facilmente stanotte. – Commenta Flavio: – Adesso parlami del villaggio, e soprattutto del porto.
– Abbiamo contato un centinaio di edifici: alcuni sono probabilmente stalle e granai, ma grosso modo penso che la popolazione si aggiri sui centocinquanta, duecento abitanti, comprese donne, vecchi e bambini. Il porto non è un gran che: c’è una sola banchina di legno lunga una cinquantina di passi, a cui sono ormeggiate un paio di barche e una piccola nave a un solo albero; nella spiaggia adiacente sono in secca una quindicina di piccole barche, penso che siano a due o quattro remi ciascuna.
– Molto bene. – Quinto Flavio aveva un’espressione concentrata: – adesso prendi questa pergamena e traccia una mappa di tutto quello che ti ricordi di aver visto: posizione degli edifici, della staccionata perimetrale e, naturalmente, del porto.


La notte scorsa altri esploratori sono andati a spiare il villaggio sulla costa e oggi è stata una giornata intensa, a preparare piani e a istruire i milites su come comportarsi nelle varie fasi dell’operazione.
Al tramonto il campo viene smontato e marciamo silenziosamente fino a poca distanza dal villaggio e ci appostiamo lì, a una distanza appena sufficiente a evitare di essere visti o sentiti dalle loro sentinelle di guardia al perimetro.
Come avevamo previsto ascoltando rapporto degli esploratori la notte scorsa, ci sono due sentinelle all’esterno del muro: una percorre il tratto sinistro, dal cancello centrale alla costa nord, mentre l’altra percorre il lato destro. Quando arrivano in fondo tornano indietro, incontrandosi di nuovo davanti al cancello, che è chiuso e sprangato dall’interno.
A metà della seconda vigilia, mentre una delle sentinelle sta arrivando all’estremità nord del muro, un enorme miles di origine gallica sbuca dall’ombra alle sue spalle e gli passa un laccio intorno al collo. Il germano cerca di liberarsi ma altri quattro milites lo immobilizzano, gli ficcano uno straccio in bocca per impedirgli di urlare, lo legano mani e piedi e lo trascinano via di peso. Contemporaneamente all’estremità sud l’altra sentinella è stata catturata nella stessa maniera.
I due germani vengono trasportati fino alla nostra cohors e vengono spogliati di armi, elmo e armatura, che vengono immediatamente indossati da due milites della giusta corporatura.


A mezzanotte, all’inizio della terza vigilia il cancello si apre ed escono due germani per dare il cambio alle sentinelle, ma non vedono quello che si aspettano: invece di due guerrieri che marciano avanti e indietro davanti al muro, ce n’è uno solo, steso a terra a faccia in giù a pochi passi dal cancello.
E qui si vede la differenza tra la disciplina romana e la mentalità dei barbari germani: invece di dare immediatamente l’allarme i due guerrieri si avvicinano a quello che credono un loro compagno e si chinano per vedere se è ferito; in quel momento vengono aggrediti alle spalle e sopraffatti nello stesso modo degli altri.
Il cancello è rimasto aperto. Nella peggiore delle ipotesi nel giro di un’ora circa qualcuno si renderà conto che le sentinelle fuori servizio non sono ancora rientrate; più probabilmente nessuno darà l’allarme fino alla quarta vigilia, quando arriverà un nuovo cambio della guardia. Se le cose vanno come progettato, per allora sarà già tutto finito.
Quattro milites che indossano le armature e le armi delle sentinelle neutralizzate, insieme a quattro loro compagni e due marinai della Viatrix, entrano silenziosamente dal cancello, lo chiudono alle loro spalle senza sbarrarlo e si affrettano verso il porticciolo. Il loro compito è di impossessarsi della nave, immobilizzando o se necessario uccidendo le eventuali guardie o l’equipaggio, e prendere il controllo del tratto di spiaggia su cui sono arenate le barche, in modo da garantire che nessuno possa scappare da quella parte.
Sanno di avere esattamente un’ora di tempo per farlo, dopo di che comincia l’attacco.
Centoventi legionari romani, contando anche i marinai che sono stati armati e tenuti nelle retrovie, fanno irruzione nel villaggio addormentato. Gli ordini di Quinto Flavio sono estremamente chiari: niente distruzioni inutili, niente saccheggio o stupro, uccidere solo se assolutamente necessario ma quando possibile limitarsi a disarmare i nemici; quello che conta soprattutto è il fattore sorpresa, e quindi l’operazione va condotta il più rapidamente e con la maggiore efficienza possibile.
La sua tattica ottiene un successo totale: la maggior parte dei guerrieri viene catturata mentre è ancora a letto o letteralmente con le braghe in mano, pochissimi riescono a opporsi con le armi e non riescono comunque a organizzare una vera resistenza.
All’alba il villaggio è nelle nostre mani e il bilancio delle perdite è di due milites morti e tre feriti contro sette germani morti e una quantità di contusi e feriti più o meno lievi.


Tutto sommato gli abitanti del villaggio di Hæfn hanno preso abbastanza bene il fatto di essere stati conquistati da Roma.
È metà mattina e il cancello è aperto. Di guardia due milites vestiti e armati da germani, dentro al cancello un drappello più consistente di legionari è pronto a intervenire in caso di necessità. Gli ordini sono di lasciare entrare chiunque ma non permettere a nessuno di uscire.
La popolazione locale è raccolta nel grande spiazzo centrale che funge da foro del villaggio e Quinto Flavio sta spiegando loro la situazione, con l’aiuto di Caio Segimondo come interprete.
E la situazione è molto semplice: la nave ormeggiata al porto è confiscata, e verrà usata da alcuni di noi per cercare di raggiungere la Germania Inferior in cerca di aiuto; Hæfn dovrà ospitare e nutrire i nostri cento uomini per qualche mese, in attesa di questi soccorsi.
Gli abitanti sono stati disarmati e quindi non ci aspettiamo che possano sollevarsi contro un centinaio di legionari armati e in allerta ma, d’altra parte, non possiamo tenerli tutti prigionieri dentro il villaggio a tempo indeterminato. Quinto Flavio ha quindi messo in chiaro senza mezzi termini la questione: l’intero villaggio e i suoi abitanti sono nostri ostaggi; se qualcuno si dovesse far venire l’idea di andare a raccogliere un esercito abbastanza numeroso da attaccarci, cosa che non sarebbe probabilmente troppo difficile, non avremmo nessuno scrupolo a tagliare la gola a tutti gli ostaggi e a bruciare il villaggio, prima di essere inevitabilmente sconfitti.
Se invece gli abitanti di Hæfn accetteranno la situazione e collaboreranno con noi, Flavio si è impegnato a cercare di ottenere dalle autorità romane un risarcimento per la nave confiscata e per l’ospitalità forzosa. Non è detto che riuscirà a farglielo avere, ma almeno ci proverà, e d’altra parte l’alternativa è una brutale occupazione militare, quindi non conviene forse anche a loro far buon viso a cattivo gioco?
La folla riunita nel foro sta mormorando in maniera non particolarmente ostile; in particolare l’accenno alla possibilità di un risarcimento sembra aver convinto la maggior parte dei presenti che dopotutto questi romani si stanno dimostrando dei conquistatori abbastanza generosi e che poi, suvvia, si tratta solo di pochi mesi…
Non riesco a capire più di una parola o due qua e là, ma il tono delle voci è inequivocabile: Quinto Flavio ha già vinto. A un certo punto però si alza e viene avanti una donna che si rivolge al nostro interprete con aria di sfida e fa un discorso breve ma animato.
Mentre la folla rumoreggia, apparentemente in appoggio alle parole della donna, Caio Segimondo traduce al pilus prior: – È la moglie di uno degli uomini che sono morti durante l’attacco di stanotte. Dice che se la popolazione di Hæfn vuole la pace con i romani a lei può anche andar bene, ma lei e gli altri parenti dei caduti non possono rinunciare a vendicare la loro morte senza un risarcimento.
– Risarcimento? – Flavio è chiaramente perplesso: – Da quando in qua gli sconfitti in un combattimento possono chiedere un risarcimento per i loro morti?
– Temo che non sia così semplice, pilus prior, dopo quello che hai appena detto loro, – e indica con un gesto la folla – noi non siamo più un esercito conquistatore, ma siamo ospiti qui, giusto?
– Beh, sì, tecnicamente…
– E quindi questa donna, e i parenti degli altri morti, sono pienamente nel loro diritto chiedendoci di pagare il vergild.
– Il che cosa?
– Il vergild: è il compenso stabilito per vendicare un’uccisione, potresti chiamarlo il prezzo del sangue. È un’antichissima tradizione di tutti i popoli germanici, ed è l’unico modo in cui i parenti di un morto ammazzato possono rinunciare alla vendetta e mantenere intatto l’onore. Se noi non pagassimo il vergild e loro non cercassero di vendicare i loro morti, sarebbero disonorati per sempre.
– Capisco. Beh, se pensi che sia l’unico modo per tenere tranquillo il villaggio… Quanto pensi che dovremo pagare?
Segue una lunga contrattazione tra Flavio, Segimondo e la donna che si è autonominata rappresentante delle famiglie dei sette morti. Alla fine ci si accorda per due aurei (circa quattro mesi di paga di un miles) per ciascun caduto, anche considerando il fatto che anche due dei nostri sono morti nello scontro.
L’accordo è fatto e Hæfn viene riaperta: la gente può riprendere le proprie occupazioni, mentre noi cominciamo a organizzare la spedizione che dovrà navigare per più di mille miglia alla ricerca di soccorsi.

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

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