Prologo


«Ἀλέξανδρος Ἀναξάρχου περὶ κόσμων ἀπειρίας ἀκούων ἐδάκρυε, καὶ τῶν φίλων ἐρωτώντων ὅ τι πέπονθεν, ‘οὐκ ἄξιον ’ ἔφη ‘δακρύειν, εἰ κόσμων ὄντων ἀπείρων ἑνὸς οὐδέπω κύριοι γεγόναμεν»
Πλούταρχος – Περὶ εὐθυμίας

«Alessandro pianse sentendo Anassarco parlare di un infinito numero di mondi, e quando i suoi amici gli chiesero che cosa lo affliggesse rispose: – Non merita il pianto il fatto che, con un numero infinito di mondi, non siamo ancora riusciti a conquistarne uno solo?»
Plutarco – Sulla serenità dell’anima 4:1

Bononia, a.d. XII Kal. Dec. 2767 AUC

Oceano: l’ultima frontiera. Parleremo dei viaggi della trireme Inceptio e della sua gemella Viatrix, a esplorare strane nuove terre, alla ricerca di nuovi popoli e nuove civiltà, fino ad arrivare là dove nessun romano era mai giunto prima.

Dopo il fallimento della restaurazione del Regno di Egitto ad opera del sedicente Faraone Alexander Helios nel 731 AUC, grazie all’intervento delle legioni al comando del console Vipsanio Agrippa, il Senato di Roma aveva ripreso il controllo della provincia egiziana.
L’atteggiamento di Roma nei confronti dell’Egitto era ambivalente: da una parte il tributo in grano che proveniva da questa provincia era essenziale per alimentare le frumentationes che garantivano il sostentamento della plebe, dato che circa un terzo di tutto il frumento che arrivava all’urbe proveniva dalla valle del Nilo. D’altra parte Alexandria, città cosmopolita per eccellenza, era sempre stata vista come una potenziale minaccia per la supremazia di Roma e, dopo i recenti avvenimenti, questo punto di vista aveva ovviamente guadagnato molti sostenitori.
Il Senato era quindi spaccato tra la fazione degli intransigenti che avrebbero voluto reagire alla recente insurrezione con una punizione esemplare, radendo al suolo Alexandria come avevano fatto con Carthago un secolo prima, e quella dei moderati che sostenevano, non senza ragioni, che l’Egitto era ormai diventato troppo importante per Roma per potersi permettere il rischio di indebolirne l’economia.
Inoltre c’era la questione del Museo e della biblioteca.
Alexandria era stata per più di trecento anni il centro indiscusso della cultura nell’area mediterranea e si diceva che la sua biblioteca contenesse più di mezzo milione di libri, mentre il Museo era la maggiore istituzione di ricerca scientifica e filosofica del mondo, nonostante l’opinione di alcuni secondo cui negli ultimi cento anni la qualità degli studi fosse decaduta rispetto ai massimi livelli raggiunti in passato.
La fazione del Senato che si opponeva a un massiccio intervento militare aveva dalla sua l’argomento di Archimedes: da quando le legioni, guidate dal console Marco Claudio Marcello, avevano ucciso il più grande ingegnere della storia durante il saccheggio di Syracusae nel 542 AUC, Roma aveva sviluppato una specie di senso di colpa in relazione a quell’episodio, tanto da far nascere la leggenda che Archimedes fosse stato ucciso per sbaglio, e che il console stesso avesse invece dato esplicito ordine di risparmiarlo.
Voleva davvero il Senato, chiedevano i moderati, ripetere ora quell’errore in una scala tanto maggiore? Volevano forse i senatori essere ricordati dalla storia come i mandanti della distruzione della biblioteca e del massacro del personale del Museo?
Alla fine, anche se di stretta misura, prevalse questo punto di vista e quindi furono forse il Museo e la biblioteca a salvare Alexandria dalla distruzione.
Il Senato votò una serie di misure punitive e restrittive nei confronti di Alexandria e di Memphis, deportando in altre province interi settori della loro popolazione, riducendo il potere della casta sacerdotale che aveva appoggiato l’insurrezione e imponendo ulteriori dazi e tributi allo scopo di finanziare il mantenimento di due nuove legioni da porre sotto il comando del nuovo proconsole d’Egitto. In pratica la provincia veniva posta sotto la legge marziale.
Ma il Museo e la biblioteca non vennero danneggiati. Anzi, passando sotto il diretto controllo del proconsole e dell’erario, vennero paradossalmente favoriti dalla nuova situazione. Sotto il governo di proconsoli sufficientemente intelligenti da comprendere i vantaggi pratici derivanti da una istituzione in grado di formare tecnici competenti, di cui sia l’Egitto che Roma avevano disperata necessità, gli studi conobbero una nuova prosperità. La rinnovata disponibilità di fondi e il prestigio che derivava dal far parte di questa veneranda istituzione attirarono di nuovo al Museo un gran numero di mathematikoi che lo riportarono quasi agli splendori dei tempi antichi.
Il rifiorire degli studi ricevette un ulteriore impulso dalla diffusione, negli anni successivi all’810 AUC, di due nuove invenzioni provenienti da Roma: la tecnica dell’imprimitura e il nuovo materiale per realizzare codices detto scinzi. La biblioteca divenne rapidamente la principale fonte di libri, manoscritti o impressi, dell’intera area mediterranea e già nell’anno 825 AUC alcuni libri venivano impressi in quantità straordinarie, come ad esempio le milleduecento copie della traduzione in latino degli Elementa di Eukleides. L’impatto economico dell’attività di copiatura dei libri stava crescendo a vista d’occhio, di pari passo con l’effetto sulla cultura del popolo di Roma.
Tra le discipline che prosperarono nei decenni successivi ci furono anche gli studi di astrologia, che videro una ripresa dei lavori di Aristarkhos e di Hipparkhos e stimolarono un nuovo interesse nei confronti della geografia cartografica e della ricerca ed esplorazione di terre ancora sconosciute.
Fu proprio questa nuova ondata di interesse nei confronti del mondo al di fuori dei confini di Roma a fare sì che all’inizio della primavera dell’anno 874 AUC, una spedizione molto particolare partisse dal porto di Olisipo in Hispania Lusitania per una missione estremamente ambiziosa: esplorare tutte le coste bagnate da Oceano, circumnavigando l’orbis.
L’impresa era stata per la maggior parte patrocinata personalmente da Tito Sempronio Rufo, attuale proconsole della Lusitania, ma aveva ricevuto significativi contributi da finanziatori privati, soprattutto collegia mercatorum che erano interessati all’apertura di nuove rotte commerciali. Lo Stato inoltre aveva fornito gli equipaggi, costituiti di ufficiali e milites distaccati da diverse legioni, nonché l’uso dei cantieri navali militari di Olisipo.
La spedizione era costituita da due sole navi, identiche tra loro: la prima, Inceptio, doveva navigare verso meridione, esplorare i territori a sud del deserto che si estende oltre la Mauretania, continuare a seguire la costa aggirando le terre a sud di Africa fino al Sinus Arabicus e da lì proseguire in direzione dell’India e più oltre verso il paese della seta. La seconda, Viatrix, avrebbe invece navigato nei mari settentrionali, costeggiando prima la Germania e i territori degli aestii e dei fenni per poi esplorare le terre incognite dell’Oriente e da lì raggiungere l’India.
Se tutto fosse andato bene le due navi si sarebbero incontrate a metà strada, presumibilmente da qualche parte in Oriente. Da lì sarebbero tornate insieme all’ecumene per la via che avessero ritenuto più sicura, portando con sé informazioni che avrebbero permesso di ampliare le conoscenze sulla forma e le dimensioni del mondo.
Si trattava infatti di una spedizione di esplorazione e ricerca, non di una missione militare o commerciale, e a questo scopo erano state allestite delle navi di un genere mai visto prima: navi oceaniche.
Da quando, circa un secolo prima, erano stati stabiliti regolari contatti con le Insulae Fortunatae al largo della Mauretania, era diventato tristemente evidente ai romani che le loro navi non erano particolarmente adatte alla navigazione in alto mare. Le classiche naves longae da guerra, triremi o quinquiremi, erano troppo leggere e fragili per affrontare Oceano e spesso subivano danni o addirittura naufragavano, mentre le grosse naves onerariae erano poco manovrabili e inoltre, essendo limitate alla navigazione a vela, in assenza di venti favorevoli rischiavano di rimanere bloccate in mezzo al mare.
Per affrontare una spedizione di questo tipo sarebbero state necessarie navi grandi e robuste, in grado di sfruttare i venti quando possibile ma anche dotate di remi per superare le bonacce; e siccome i remi presuppongono dei rematori, dovevano poter portare con sé abbastanza provviste per nutrire un equipaggio numeroso per un tempo abbastanza lungo.
Le navi allestite per la spedizione erano il frutto dell’intuizione di un brillante ingegnere dei cantieri navali di Olisipo, un certo Zephyros di Korinthos figlio di Hipparkhos: – le nostre navi, che sono perfettamente adeguate nel Mare Internum, – ragionò – tengono male le onde di Oceano mentre i pesci se la cavano benissimo; perché quindi non ci ispiriamo all’anatomia dei pesci per progettare una nave oceanica?
E così il cantiere partorì la Inceptio.
Al primo sguardo poteva sembrare una trireme, appena un po’ più grande del normale, ma aveva diverse caratteristiche uniche: tanto per cominciare era più larga e aveva un pescaggio quasi doppio del solito e questo le conferiva una stazza pari quasi al triplo di quella consueta, con una conseguente capacità di carico aggiuntivo di oltre centocinquantamila librae.
La maggiore capienza della stiva le permetteva di portare sia le provviste per sfamare l’equipaggio per circa un mese, che gli attrezzi e i materiali necessari per la manutenzione della nave in un viaggio che si prevedeva potesse durare diversi anni. La maggiore stazza causava però anche degli inconvenienti.
In primo luogo, il metodo classico di pilotare la nave mediante i due remi di governo a poppa non era più praticabile: per manovrare quella nave così grande e massiccia sarebbero stati necessari dei remi enormi, che nessun gubernator sarebbe riuscito a controllare.
E quindi, prendendo esempio dall’anatomia dei pesci, il governo della nave era costituito da un enorme timone a forma di coda di pesce, imperniato su un albero verticale dietro la poppa della nave e comandato mediante un ingegnoso sistema di carrucole e argani che permettevano a una sola persona di muoverlo a suo piacimento. Il progettista aveva anche aggiunto due ampie pinne laterali, a poppa rispetto al raggio di azione dei remi, che nelle sue intenzioni avrebbero dovuto aumentare la stabilità della nave riducendo il rollio dovuto alle onde che colpivano la fiancata.
La poppa poi era molto più larga del consueto e invece di salire con una curva dolce era quasi verticale. Quest’ultimo particolare era stato reso necessario dalla struttura del nuovo timone, ma toglieva alla nave ogni possibilità di essere trascinata all’indietro sulla spiaggia per portarla all’asciutto; in realtà non era una grave limitazione, dato che l’enorme stazza e la forma peculiare avrebbero comunque reso improponibile questa manovra, abitualmente utilizzata con le naves longae propriamente dette. La Inceptio era destinata a rimanere in mare fino al suo arrivo in un cantiere che disponesse delle necessarie attrezzature.
La Inceptio aveva anche un terzo albero, verso poppa rispetto all’albero di maestra; questa sistemazione era inusuale per una navis longa anche se a volte la si trovava nelle più massicce onerarie, e aveva lo scopo di aumentare la velatura per compensare il maggior peso della nave.
Inoltre lo scafo era interamente costruito in legno di pino e cipresso, molto più resistenti dell’abete normalmente utilizzato per costruire una trireme, anche se più pesanti. D’altra parte questa nave avrebbe dovuto fare un viaggio di anni senza essere tirata in secca per la manutenzione; era quindi necessario che i materiali con cui era costruita fossero il più possibile durevoli.
Complessivamente per essere una trireme era sicuramente goffa e lenta, in battaglia sarebbe stata peggio che inutile. Ma era senz’altro più veloce e manovrabile di una navis oneraria e all’occorrenza poteva sfruttare i remi, magari non per volare, ma sicuramente per navigare in una bonaccia o per risalire la corrente di un fiume.
Questo suo essere un curioso ibrido tra una navis longa e una navis oneraria aveva guadagnato al nuovo tipo di vascello il soprannome di navis spuria: bastarda. All’inizio il termine era stato usato in senso dispregiativo dagli operai e artigiani del cantiere che non erano affatto contenti di lavorare a un progetto così strano e al di fuori della loro esperienza, ma a un certo punto aveva cominciato ad usarlo anche lo stesso progettista, in modo quasi affettuoso. Spuria, sì dopotutto lo era davvero, ma aveva una grazia e un senso di velocità che mancava alle goffe onerarie e dava un’impressione di solidità che nessuna trireme poteva eguagliare.
Per completarne la stranezza, la nave aveva un’altra caratteristica peculiare: invece della tenda con la sella del trierarca sul ponte dietro i rematori e il gubernator, come usuale nelle triremi, la nave aveva un alto castello di poppa sopra il quale era stata costruita una piattaforma circolare, un poco più larga della nave stessa e sporgente sopra al timone.
Su questo ponte circolare sopraelevato si trovavano la postazione del gubernator con il sistema di comando del timone e la sella del trierarca. Il resto dello spazio era a disposizione dei tecnici: geografi, astrologi e physiologi, erano quello che potremmo definire l’equipaggio filosofico della spedizione: spettava a loro cartografare le nuove terre, studiarne i cieli e le piante e animali che vi avrebbero trovato.
Dopo il varo, la Inceptio avrebbe compiuto un primo viaggio inaugurale: partendo dal porto di Olisipo avrebbe costeggiato l’Hispania e l’Africa e poi, attraversando alcune centinaia di miglia in Oceano aperto, avrebbe puntato sulle Insulae Fortunatae per approdare ad Aniaso sull’Insula Ninguaria. Da lì sarebbe poi tornata indietro seguendo lo stesso percorso, di nuovo fino a Olisipo.
Si trattava di una rotta ben nota e frequentata che non avrebbe dovuto riservare sorprese e avrebbe permesso di mettere alla prova le capacità della nave in mare aperto e verificare gli eventuali danni provocati da un viaggio di diversi mesi.
Nel frattempo al cantiere avrebbe avuto inizio la costruzione della gemella Viatrix; se il viaggio di collaudo fosse andato a buon fine, l’anno successivo le due navi sarebbero partite insieme: la Inceptio avrebbe navigato verso meridione, la Viatrix a settentrione, per incontrarsi di nuovo dopo due o più anni dall’altra parte del mondo.

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