Capitolo 3


Una lettera inaspettata – Una notizia a lungo attesa

Roma, a.d. VII Id. Apr. 809 AUC

Mamilia Lydia era furiosa: quel bastardo l’aveva sempre ingannata. Erano passati già tre giorni da quando aveva scoperto la verità su di lui, ma la ferita continuava a bruciare. Come poteva essersi fatta imbrogliare in questo modo da quel misero… – Ah. Quel farabutto mi ha mentito e preso in giro per due anni, ma troverò il modo di fargliela pagare, dovesse essere l’ultima cosa che faccio. – Lydia uscì dal tablinium, il suo studio privato, pronta a scaricare la sua rabbia sulla prima persona che avesse avuto la cattiva idea di incrociarla.
In effetti la servitù aveva fiutato l’aria che tirava e, da qualche giorno, sembrava quasi che la sua domus fosse deserta. In realtà ovviamente non era così: le cose continuavano a funzionare come sempre, i pasti le venivano serviti alla solita ora, la sua cameriera era sempre pronta all’alba per aiutarla a vestirsi e alla sera per prepararsi per la notte, e se chiamava uno degli schiavi questo arrivava subito. Ma tutti facevano il possibile per evitare di incontrarla a meno che non fosse assolutamente necessario: giusto ieri Lydia aveva rimproverato aspramente il cuoco perché l’arrosto di maialino di latte era troppo cotto; forse non era proprio bruciato come lei gli aveva urlato dietro, ma tutti avevano capito che non era il periodo giusto per contrariare la padrona.
Entrando nell’atrium vide Marco, l’ostiarius, che si dirigeva verso di lei con qualcosa in mano e si fermò per aspettarlo. Guardando meglio vide che l’oggetto era un rotolo di papiro sigillato.
Domina, è appena arrivato un corriere dal porto di Ostia e ha consegnato questo per te, da parte del comandante della tua nave che è arrivata due giorni fa da Alexandria. – Disse, porgendole l’oggetto.
Lydia riconobbe immediatamente il sigillo di Hiram di Arsinoe, il suo socio egiziano, impresso nella cera che fermava la cordicella intorno al rotolo; prese quindi il papiro e tornò nel tablinium per leggerlo con calma. Il portiere, sollevato per il fatto che la padrona non aveva trovato una scusa per prendersela con lui, tornò al suo posto nella cella dell’ostium di fianco alla porta di ingresso.
Rotto il sigillo e srotolato il papiro, vide che si trattava effettivamente di una lettera di Hiram, scritta di suo pugno nella sua solita calligrafia precisa e regolare, e immergendosi nella lettura riuscì per qualche momento a dimenticare la sua arrabbiatura.
La lettera diceva:

Myos Hormos, a.d. VI Kal. Mart. 809 AUC

Hiram di Arsinoe a Mamilia Lydia
si vales, bene est, ego valeo.
Carissima Lydia, ti scrivo queste poche righe per informarti di un fatto che, presumo, ti potrà interessare.
Certamente ricorderai che, nell’occasione della tua prima visita qui a Myos Hormos, direi circa otto anni fa, parlammo abbastanza a lungo di quello strano materiale prodotto in Seria, lo scinzi, che non è un tessuto ma sembra un papiro leggero come la seta. Tu e il tuo compianto padre mi chiedeste allora di attivare i miei agenti in India per ottenere informazioni sulla sua origine e, se possibile, sui metodi utilizzati per produrlo.
Finalmente, dopo tutti questi anni, la nostra ricerca ha ottenuto qualche risultato: il comandante di una nave arrivata questo mese mi ha informato che, nel porto di Nikam in India, è stato avvicinato da un indigeno che sostiene di avere le informazioni che ci interessano sullo scinzi.
Quest’uomo, che si fa chiamare Ramaswami, dice di essere un indiano originario di Nikam ma di aver vissuto per molti anni prigioniero in Seria, dove avrebbe lavorato come schiavo in un laboratorio per la produzione di scinzi e ritiene quindi di conoscere tutto sull’argomento.
Fuggito dalla schiavitù e rientrato in India, Ramaswami avrebbe sentito dire che c’erano dei mercanti del lontano occidente interessati alla produzione di scinzi, e si è messo in contatto con il mio comandante perché sarebbe disposto a trasferirsi qui per insegnarci i segreti di quest’arte.
Bada bene, il comandante della nave mi ha detto apertamente che non si fida completamente di quest’uomo, che probabilmente ha dei motivi suoi per voler abbandonare l’India. D’altra parte, dalle indagini che lui stesso ha svolto tra la gente del porto di Nikam, sembra che effettivamente Ramaswami sia ricomparso improvvisamente dopo un’assenza di quasi venti anni, sostenendo di essere stato catturato dai pirati durante un viaggio in mare e di aver trascorso tutti questi anni in Seria come schiavo; quindi la sua storia, se non necessariamente vera, è almeno coerente.
In mancanza di maggiori informazioni lascio a te il giudizio su come dobbiamo comportarci: se tu decidessi di credere alla sua storia, ti informo che la mia prossima nave per Taprobane dovrebbe partire poco dopo le Kalendae di Iulius; se così vuoi posso chiedere al suo comandante di rintracciare Ramaswami e, se ancora è interessato, proporgli di venire a Roma.
Vale.

Lydia rilesse la lettera due volte e per la prima volta in tre giorni sorrise.
Naturalmente poteva essere che questo Ramaswami fosse semplicemente un imbroglione, che non sapesse nulla della produzione dello scinzi e cercasse solo un modo di andarsene dall’India; ma se per caso invece la sua storia era vera, da questa faccenda poteva forse venirle un’arma interessante da usare contro quel farabutto di Caio Arrio.
Presa una coppia di tavolette cerate, scrisse una rapida risposta a Hiram, autorizzandolo a procedere e a promettere a Ramaswami, se le sue affermazioni fossero risultate veritiere e utili, un ottimo guadagno nell’affare. Dopo aver chiuso la lettera, legata con una stringa di cuoio e sigillata, chiamò uno degli schiavi e gliela consegnò, incaricandolo di portarla al porto di Ostia e di affidarla a un suo conoscente, capitano di una nave che sapeva dover salpare per Alexandria fra pochi giorni. Con un po’ di fortuna la lettera sarebbe arrivata a Myos Hormos in poco meno di due mesi, ampiamente in anticipo sulla partenza della nave di Hiram per Taprobane.
Adesso non rimaneva molto altro che lei potesse fare: se questo Ramaswami era davvero ciò che diceva d’essere, se era ancora possibile rintracciarlo, se fosse stato interessato a trasferirsi a Roma, se lo scinzi si fosse rivelato davvero più economico della pergamena… Per tutto questo avrebbe dovuto aspettare almeno un anno. Quindi, anche se la lettera di Hiram le dava la speranza di un’interessante opportunità di rivincita, per il momento era meglio cercare di non pensarci e riprendere a occuparsi dei normali affari.
Finalmente Lydia prese una decisione: il giorno precedente la sua amica Annia Secunda le aveva proposto di andare con lei a teatro per vedere una commedia di Plauto, adesso non ricordava nemmeno più quale, ma lei aveva risposto evasivamente in quanto non era proprio dell’umore adatto. Adesso però, dopo aver letto la lettera di Hiram, mandò uno schiavo alla domus di Annia per confermare che accettava l’invito.
Naturalmente non poteva uscire così in tunica e solae, praticamente in ciabatte. Era necessario un minimo di preparativi…
Fece un rapido passaggio al balneum, non più di mezz’ora: un bagno bollente nel calidarium, un veloce massaggio effettuato dalle mani esperte della schiava Sarah e un tuffo nella vasca d’acqua fredda del frigidarium. Dopo aver terminato il bagno ed essersi accuratamente asciugata, scelse una tunica in lino bianco a maniche lunghe, poiché nonostante l’avanzare della primavera fuori faceva ancora un bel freddo, e si fece allacciare sul petto uno strophium, una fascia di seta azzurra.
Chiamò la sua ornatrix per trucco e pettinatura. Appena un po’ di bianco sulla pelle del viso e un tocco di bistro per risaltare il contorno gli occhi. La pettinatura era una cosa più complicata: prima un lungo lavoro di spazzola e di oli balsamici, per separare, ordinare e profumare i suoi lunghi capelli lisci castano scuro, poi l’ornatrix li raccolse in diverse ciocche che intrecciò e dispose in una complessa acconciatura, coperta da una reticella e fermata da quattro spilloni d’argento terminanti ciascuno in una figura di leone cesellata in oro.
Aiutata dall’ornatrix Lydia indossò la stola, una sopravveste di lana bianca legata in vita da una cintura di pelle, e la palla azzurra, un lungo mantello fermato subito sotto il collo con una fibula di bronzo dorato a forma di serpente.
Infine, indossati un paio di calcei di morbida pelle di agnello tinta di azzurro, Mamilia Lydia si fece preparare la lettiga per raggiungere Annia al Teatro di Balbo.


Alla fine scoprì che davano l’Amphitruo, una commedia che lei conosceva bene; Annia era riuscita a procurarsi degli ottimi posti: non nelle prime file, ovviamente, che erano riservate per legge ai senatori, agli equites e alle loro famiglie, ma comunque in una buona posizione in dodicesima fila.
All’inizio Lydia si divertì molto: gli attori erano bravi e il personaggio di Sosia, il servo di Anfitrione che nel primo atto veniva preso in giro e bastonato dal dio Mercurio che aveva preso il suo posto, e che alla fine si lasciava quasi convincere di essere lui stesso l’impostore, la fece ridere per la prima volta da diversi giorni.
Anche il seguito era piacevole, con Anfitrione che cercava di capire qualcosa della storia scombinata raccontata da Sosia, che mescolava la prima e la terza persona singolare quando sembrava non sapesse più se stesse parlando di se stesso o dell’altro.
Ma se era facile ridere alle spalle dei poveri Sosia e Anfitrione nella commedia degli equivoci, Lydia non poté non immedesimarsi nei panni della povera Alcmena, la moglie accusata ingiustamente di infedeltà da Anfitrione e insidiata da Giove.
Non riusciva a evitare di vedere se stessa come un’Alcmena il cui marito, invece che da Giove, era stato sostituito da uno schiavo. Essere raggirati da un dio era tutto sommato ineluttabile e quindi accettabile; ma nel suo caso l’inganno era stato perpetrato da quel viscido bugiardo di Caio Arrio: l’umiliazione che questo comportava era insostenibile.
Quando alla fine uscirono dal teatro, Lydia era più nera di prima e il desiderio di vendetta era sempre più forte.


A sera, tornata alla sua domus, Mamilia Lydia si ritirò nel tablinium per sbrigare gli affari della giornata rimasti in sospeso; niente di particolarmente importante o urgente: un paio di lettere di fornitori che chiedevano istruzioni per delle consegne, clienti che cercavano di ottenere uno sconto sul prezzo, ordinaria amministrazione.
Lydia si ritrovò a ripensare alla lettera di Hiram: curioso che la faccenda dello scinzi tornasse fuori proprio adesso, dopo tanto tempo. Erano passati più di otto anni…

© Paolo Sinigaglia 2013-2017 – È proibita la riproduzione anche parziale

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