L’adrenalina stava già scorrendo nelle vene di Harry, il suo cuore già martellava nel petto, lì in quel negozio buio e in bancarotta. Il professor Quirrell aveva finito di spiegare, e in una mano Harry teneva un piccolo ramoscello di legno che sarebbe stata la chiave. Eccolo, questo era il giorno e il momento in cui Harry avrebbe iniziato a recitare la sua parte. La sua prima vera avventura, un sotterraneo da esplorare, un governo malvagio da sfidare, una fanciulla in pericolo da salvare. Harry sarebbe dovuto essere più spaventato, più riluttante, ma invece sentiva solo che era giunta e passata l’ora che iniziasse a diventare le persone di cui aveva letto nei suoi libri; per iniziare il suo viaggio verso ciò che aveva sempre saputo di dover essere, un eroe. Per fare il primo passo sulla strada che l’avrebbe portato a Kimball Kinnison e al capitano Picard e a Liono di Thundera e decisamente non a Raistlin Majere. Secondo quanto il cervello di Harry aveva imparato guardando i cartoni animati di prima mattina, quando si cresceva si sarebbero dovuti ottenere poteri incredibili e salvare l’universo, questo era quello che il cervello di Harry aveva visto fare agli adulti e aveva adottato come modello di riferimento per il processo di maturazione, e Harry voleva davvero iniziare a crescere.
E se lo schema ricorrente del racconto richiedeva che l’eroe perdesse parte della sua innocenza, come risultato della sua prima avventura; allora almeno per ora, in quel momento ancora innocente, sembrava giunta e passata l’ora che sperimentasse quel dolore. Come gettar via vestiti troppo piccoli per lui; o avanzare finalmente alla fase successiva del gioco, dopo essere stati bloccati per undici anni al mondo 3, livello 2 di Super Mario Brothers.
Harry aveva letto abbastanza romanzi da sospettare che non si sarebbe sentito così entusiasta dopo, quindi se la stava godendo finché durava.
Ci fu il rumore di uno scoppiettio mentre qualcosa vicino a Harry scomparve, e poi non ci fu più tempo per meditazioni eroiche.
La mano di Harry spezzò il piccolo ramoscello di legno.
Un gancio strattonò senza movimento il ventre di Harry quando il passaporta si attivò, una sensazione simile ad uno strappo molto più forte questa volta rispetto agli spostamenti più brevi tra i terreni di Hogwarts e Diagon Alley –
– e lo gettò nel mezzo dell’enorme rimbombo di un tuono che andava scemando, e di una sferzata di pioggia fredda che gli frustò il viso, l’acqua che rivestì gli occhiali di Harry accecandolo in un istante, rendendo sfocato il mondo anche mentre cominciava a cadere verso le rabbiose onde dell’oceano molto al di sotto.
Era arrivato molto, molto, molto in alto sopra il vuoto Mare del Nord.
Il trauma della tempesta dirompente quasi fece sì che Harry lasciasse andare il manico di scopa che il professor Quirrell gli aveva dato, cosa che non sarebbe stata una buona idea. Ci volle quasi un intero secondo a Harry per recuperare il controllo di sé e portare di nuovo su il suo manico di scopa con un’elegante manovra.
“Sono qui”, disse una voce sconosciuta da una porzione di aria vuota sopra di lui; bassa e roca, la voce dell’uomo giallastro, allampanato e barbuto in cui il professor Quirrell si era trasformato con la pozione Polisucco prima di Disilludere sé stesso e il proprio manico di scopa.
“Sono qui”, disse Harry da sotto il Mantello dell’Invisibilità. Non aveva usato a sua volta il Polisucco. Indossare un corpo diverso ostacolava la propria magia, e Harry avrebbe potuto aver bisogno di tutta la sua poca magia con sé; quindi il piano aveva previsto che Harry rimanesse invisibile per quasi tutto il tempo, invece di usare il Polisucco.
(Nessuno di loro due aveva pronunciato il nome dell’altro. Non si usavano mai i propri nomi in nessun momento durante una missione illegale, neppure mentre ci si librava su di una porzione anonima di acque del Mare del Nord. Non lo si faceva e basta. Sarebbe stato stupido.)
Mantenendo con cura la presa sul manico di scopa con una mano, mentre la pioggia e il vento ululavano attorno a lui, Harry alzò la bacchetta con una presa altrettanto attenta e lanciò Impervius sui propri occhiali.
Poi, quando le lenti furono pulite, Harry si guardò attorno.
Era circondato da vento e pioggia, sarebbero potuti esserci cinque gradi Celsius se fosse stato fortunato; si era già fatto lanciare addosso un Incantesimo di Riscaldamento solo per stare all’esterno a febbraio, ma non stava resistendo alle fredde gocce scroscianti. Peggio della neve, la pioggia inzuppava ogni superficie esposta. Il Mantello dell’Invisibilità ti rendeva invisibile per intero, ma non ti copriva per intero, e quello significava che non ti proteggeva dalla pioggia per intero. Il viso di Harry era esposto in pieno alla forza dell’acqua scrosciante, che stava penetrando dritto nel collo e giù ad inzuppare la camicia, e anche le maniche della veste e i risvolti dei pantaloni e le scarpe, l’acqua imboccava ogni lembo di stoffa come fosse un viale per infilarsi dentro.
“Da questa parte”, disse la voce soggetta a Polisucco, e una scintilla di luce verde si accese davanti al manico di scopa di Harry, e poi sfrecciò via in una direzione che a Harry sembrò come tutte le altre.
Attraverso la pioggia accecante, la Harry seguì a ruota. Alcune volte la perse, quella piccola scintilla verde, e ogni volta che accadeva, Harry chiamava, e la scintilla riappariva di fronte a lui pochi secondi dopo.
Quando Harry comprese il trucco per seguire la scintilla, essa accelerò, e Harry innestò la marcia alta del manico di scopa e le stette dietro. La pioggia lo frustò più duramente, una sensazione che Harry immaginò simile a quella di ricevere in faccia i pallini di un fucile da caccia, ma i suoi occhiali rimasero puliti e protessero i suoi occhi.
Fu solo pochi minuti dopo, mentre il manico di scopa era alla massima velocità, che Harry colse di sfuggita attraverso la pioggia una gigantesca ombra, torreggiante ben lontana oltre le acque.
E sentì un distante e cupo eco di vacuità che irraggiava dal luogo in cui la Morte attendeva, che inondava la mente di Harry e le scorreva intorno, come un’onda che si rompeva su di una roccia. Questa volta Harry conosceva il suo nemico, e la sua volontà era d’acciaio e racchiudeva tutta la luce.
“Posso già sentire i Dissennatori”, disse la voce stridula di Quirrell affetta da Polisucco. “Non me l’aspettavo, non così presto”.
“Pensi alle stelle”, disse Harry, sopra il rombo lontano di un tuono. “Non lasci che la minima rabbia sorga in lei, nulla di negativo, pensi solo alle stelle, a cosa si prova a dimenticarsi di sé stessi e a cadere senza corpo nello spazio. Si aggrappi a quel pensiero come ad una barriera di Occlumanzia attraverso la sua intera mente. I Dissennatori avranno qualche problema ad attraversarla”.
Ci fu silenzio per un momento, poi, “Interessante”.
La scintilla verde si alzò, e Harry inclinò leggermente il suo manico di scopa verso l’alto per seguirla, anche se questo li guidò all’interno di un banco di nebbia, una nuvola che galleggiava bassa sopra le acque.
Presto si trovarono a volteggiare sopra e leggermente in obliquo rispetto al grande edificio in metallo a tre lati, che si profilava molto al di sotto. Il triangolo di acciaio era vuoto, non solido, era un edificio di tre solide e spesse mura e senza centro. Gli Auror di guardia alloggiavano al livello superiore del lato meridionale dell’edificio, aveva detto il professor Quirrell, protetti dai loro Incantesimi Patronus. L’ingresso legale ad Azkaban era sul tetto dell’angolo di sud-ovest dell’edificio. Che loro due non avrebbero usato, naturalmente. Invece avrebbero usato un corridoio che correva direttamente sotto l’angolo settentrionale dell’edificio. Il professor Quirrell sarebbe andato giù per primo, e avrebbe fatto un buco nel tetto e nelle sue protezioni proprio sulla punta settentrionale, lasciando dietro di sé un’illusione per coprire il foro.
I prigionieri erano tenuti nel fianco dell’edificio, in livelli corrispondenti ai loro crimini. E sul fondo, all’estremità centrale e profonda di Azkaban, giaceva il nido di più di un migliaio di Dissennatori. Carichi di terra vi erano saltuariamente gettati dentro per mantenerne il livello, poiché la materia esposta direttamente ai Dissennatori si disgregava in fango e nulla…
“Attendi un minuto”, disse la voce ruvida, “seguimi in velocità, e passa attraverso con attenzione”.
“Capito”, disse Harry docilmente.
La scintilla si spense, e Harry iniziò a contare, mille e uno, mille e due, mille e tre…
… mille e sessanta, e Harry si tuffò verso il basso, il vento che strideva intorno a lui mentre andava giù in picchiata, giù verso l’immensa struttura di metallo, giù verso il luogo in cui poteva percepire le ombre della Morte che l’attendevano, risucchiando luce e irraggiando vuoto, mentre la costruzione in metallo diventava sempre più grande. Semplice e monotona si profilava l’immensa forma grigia, ad eccezione di una singola struttura a forma di scatola nell’angolo di sud-ovest. L’angolo settentrionale era semplicemente vuoto, il buco del professor Quirrell impercettibile.
Harry cabrò violentemente mentre si avvicinava all’angolo settentrionale, garantendosi un margine di sicurezza maggiore di quanto si sarebbe dato la pena di prendersi durante le lezioni di volo, ma non troppo. Non appena giunse a fermarsi, iniziò nuovamente ad abbassare lentamente il suo manico di scopa, in direzione di ciò che sembrava il solido tetto dell’angolo settentrionale.
Discendere attraverso il tetto illusorio mentre era invisibile fu un’esperienza strana, e poi Harry si ritrovò in un corridoio di metallo illuminato da una fioca luce arancione – la quale, Harry comprese dopo un’occhiata stupefatta, proveniva da un’antiquata luce a gas…
… poiché la magia avrebbe fallito, sarebbe stata prosciugata dopo un certo tempo, in presenza dei Dissennatori.
Harry scese dal suo manico.
L’attrazione del vuoto era più forte ora, mentre si divideva e scorreva attorno a Harry senza toccarlo. Erano distanti ma erano molte, le ferite nel mondo; Harry avrebbe potuto indicarne la direzione con gli occhi chiusi.
“Lancia il tuo Patronuss”, sibilò un serpente sul pavimento, sembrando più sbiadito che verde nella fioca luce arancione.
La nota di tensione trapelò persino in Serpentese. Harry era sorpreso; il professor Quirrell aveva detto che gli Animagi nella loro forma Animagus erano molto meno vulnerabili ai Dissennatori. (Per la stessa ragione per cui i Patronus erano animali, Harry presumette.) Se il professor Quirrell aveva tutti questi problemi con la sua forma di serpente, cosa gli era successo quando era stato nella forma umana che gli aveva permesso di usare la sua magia…?
La bacchetta di Harry si stava già alzando nella sua mano.
Questo sarebbe stato l’inizio.
Anche se era solo una persona, solo una persona quella che poteva salvare dall’oscurità, anche se non era ancora abbastanza potente da teletrasportare tutti i prigionieri di Azkaban al sicuro e bruciare quell’inferno triangolare fino alle fondamenta…
Anche così era un inizio, era un principio, era un anticipo per tutto ciò che Harry intendeva compiere con la propria vita. Basta attendere, basta sperare, basta semplici promesse, tutto sarebbe iniziato qui. Qui e ora.
La bacchetta di Harry si mosse verso la direzione in cui, molto più in basso, i Dissennatori attendevano.
“Expecto Patronum!”
La luminosa figura umanoide divampò in vita. Non era la cosa brillante come il sole che era stata in precedenza… forse perché Harry non era stato del tutto capace di impedirsi di pensare a tutti gli altri prigionieri nelle loro celle, quelli per salvare i quali non era qui.
Poteva non essere un male, però. Harry avrebbe avuto bisogno di mantenere il proprio Patronus per un po’, e sarebbe potuto essere più facile se non fosse stato così brillante.
Il Patronus si affievolì ancora un po’, a quel pensiero; e poi ancora, mentre Harry tentò di metterci un po’ meno della propria forza, finché la luminosa figura umanoide non brillò giusto appena più splendente del più luminoso Patronus animale, e Harry non sentì di non poterlo affievolire ancor di più senza rischiare di perderlo del tutto.
E poi, “È sstabile”, sibilò Harry, e iniziò a dare in pasto alla propria borsa il manico di scopa. La bacchetta rimase nella sua mano, e un leggero e sostenibile flusso proveniente da lui rimpiazzò le leggere perdite dal suo Patronus.
Il serpente sfocò nella forma di un uomo giallastro e allampanato, che reggeva la bacchetta del professor Quirrell in una mano e un manico di scopa nell’altra. L’uomo giallastro barcollò mentre ritornò in vita, andò ad appoggiarsi contro il muro per un momento.
“Ben fatto, anche se magari un’inezia lento”, mormorò la voce stridula. In essa c’era l’aridità del professor Quirrell, anche se non era adatta alla voce, né aveva un’espressione severa su quel viso dalla spessa barba. “Non riesco a sentirli per niente, ora”.
Un momento dopo, il manico di scopa andò nelle vesti dell’uomo e svanì. Poi la bacchetta dell’uomo si alzò e toccò la sua testa, e con il suono di un guscio d’uovo che si rompe egli svanì ancora una volta.
Nell’aria sbocciò una fievole scintilla verde, e Harry, ancora avvolto nel Mantello dell’Invisibilità, la seguì.
Se si fosse stati a guardare dall’esterno, non si sarebbe visto altro che una piccola scintilla verde vagare nell’aria, e un umanoide argenteo e brillante camminarle dietro.
Scesero giù, e poi giù, e poi giù, oltrepassando una lampada a gas dopo l’altra, e occasionalmente una grande porta di metallo, scendendo dentro Azkaban all’interno di quello che sembrava un silenzio assoluto. Il professor Quirrell aveva alzato un qualche tipo di barriera attraverso la quale egli avrebbe potuto sentire ciò che accadeva lì vicino, ma nessun suono sarebbe uscito, e nessun suono avrebbe potuto raggiungere Harry.
Harry non era stato del tutto capace di impedire alla propria mente di chiedersi perché quel silenzio, o di impedirle di dare la risposta. La risposta che aveva già conosciuto a qualche livello senza parole di anticipazione, e che l’aveva spinto a cercare inutilmente di non pensarci.
Da qualche parte dietro quelle grandi porte di metallo, delle persone stavano urlando.
L’argentea figura umanoide vacillava, ravvivandosi e offuscandosi, ogni volta che Harry ci pensava.
A Harry era stato detto di lanciare su di sé un Incantesimo Testa-Bolla. Per impedirsi di odorare qualcosa.
Tutto l’entusiasmo e l’eroismo si erano già consumati, come Harry sapeva che sarebbe successo, non c’era voluto molto neppure secondo i suoi standard, il processo si era completato la prima volta che avevano oltrepassato una di quelle porte in metallo. Ogni porta di metallo era chiusa con un grosso lucchetto, un blocco di metallo semplice e non-magico che non avrebbe fermato uno studente di Hogwarts al primo anno – se avesse avuto ancora una bacchetta, se avesse avuto ancora la propria magia, cosa che i prigionieri non avevano. Quelle porte di metallo non erano le porte delle singole celle, aveva detto il professor Quirrell, ciascuna si apriva su di un corridoio in cui ci sarebbe stato un gruppo di celle. In qualche modo quello lo aiutava un po’, il non pensare che ciascuna porta corrispondesse direttamente ad un detenuto che stava aspettando proprio dietro di essa. Invece ci poteva essere più di un solo prigioniero, il che ne diminuiva l’impatto emotivo; proprio come lo studio che mostrava che le persone contribuivano di più quando era stato detto loro che una determinata somma di denaro era necessaria per salvare la vita di un bambino, rispetto a quando era stato detto loro che lo stesso importo totale era necessario per salvare otto bambini…
Harry stava trovando sempre più difficile non pensarci, e ogni volta che lo faceva, la luce del suo Patronus fluttuava.
Arrivarono nel punto in cui il corridoio svoltava a sinistra, in corrispondenza dell’angolo dell’edificio triangolare. Ancora una volta c’erano dei gradini in metallo che scendevano, un’altra rampa di scale; ancora una volta si diressero verso il basso.
I semplici assassini non erano chiusi nelle celle più profonde. C’era sempre un luogo più in basso in cui potevi andare, una punizione ancora peggiore da temere. Indipendentemente da quanto fossi già sprofondato, il governo della Gran Bretagna magica aveva ancora qualche minaccia contro di te se avessi fatto ancora peggio.
Ma Bellatrix Black era stata la Mangiamorte che aveva instillato più paura di chiunque altro, fatto salvo Lord Voldemort stesso, una bellissima e mortale strega completamente leale al suo padrone; era stata, se queste cose fossero state possibili, più crudele e malvagia di Tu-Sai-Chi, come se stesse cercando di superare il proprio padrone…
… questo era ciò che il mondo sapeva di lei, ciò che il mondo credeva a proposito di lei.
Ma prima di quello, il professor Quirrell aveva detto a Harry, prima del debutto del servitore più terribile del Signore Oscuro, c’era stata una ragazza in Serpeverde che era stata silenziosa, e restava per lo più sulle sue, non facendo del male a nessuno. In seguito c’erano state storie inventate e raccontate su di lei, memorie cambiate a posteriori (Harry conosceva bene la ricerca su questo tema). Ma all’epoca, mentre ancora frequentava la scuola, la più talentuosa strega di Hogwarts era stata nota come una ragazza gentile (il professor Quirrell aveva detto). I suoi pochi amici erano stati sorpresi che si fosse unita ai Mangiamorte, e più sorpresi che avesse nascosto così tanta oscurità dietro quel sorriso triste e assorto.
Quello era ciò che Bellatrix era stata una volta, la più promettente strega della sua generazione, prima che il Signore Oscuro la rubasse e la spezzasse, la riducesse in frantumi e le desse una nuova forma, vincolandola a sé ad un livello più profondo e con arti più oscure di un Imperius.
Per dieci anni Bellatrix aveva servito il Signore Oscuro, uccidendo chi le comandava di uccidere, torturare chi le ordinava di torturare.
E poi il Signore Oscuro era stato finalmente sconfitto.
E l’incubo di Bellatrix era continuato.
Da qualche parte dentro Bellatrix poteva esserci qualcosa che stava ancora urlando, che aveva urlato per tutto il tempo, qualcosa che un guaritore psichiatrico poteva riportare indietro; o poteva non esserci, il professor Quirrell non aveva modo di sapere. Ma in entrambi i casi, essi potevano…
… potevano almeno tirarla fuori da Azkaban…
Bellatrix Black era stata messa nel livello più profondo di Azkaban.
Harry stava avendo dei problemi nel non immaginare cosa avrebbe visto una volta che fossero arrivati alla sua cella. Bellatrix non doveva aver avuto quasi nessuna paura della morte, inizialmente, per essere ancora viva.
Scesero un’altra rampa di scale, giungendo ancora più vicini alla Morte e a Bellatrix, il ticchettio delle loro scarpe invisibili l’unico suono che Harry potesse sentire. Fievole luce arancione proveniente dalle luci a gas, la tenue scintilla verde vagante per l’aria, la splendente figura che seguiva con la sua luce argentea che fluttuava di quando in quando.
Dopo essere scesi molte volte, giunsero infine ad un corridoio che non terminava con delle scale, e a un’ultima porta di metallo, e la scintilla verde si fermò davanti ad essa.
Il cuore di Harry si era calmato un po’, mentre erano scesi in profondità negli abissi di Azkaban senza che nulla accadesse. Ma ora stava martellandogli nel petto ancora una volta. Erano sul fondo, e le ombre della Morte erano molto vicine.
Un sommesso clic metallico provenne dalla serratura, mentre il professor Quirrell aprì la via.
Harry prese un respiro profondo e ricordò ogni cosa che il professor Quirrell gli aveva detto. La parte difficile non sarebbe solo stata interpretare la personalità simulata abbastanza bene da ingannare la stessa Bellatrix Black, la parte difficile sarebbe stata mantenere il suo Patronus allo stesso tempo…
La scintilla verde si spense, e un momento dopo un serpente lungo un metro prese vita brillando, non più invisibile.
La porta di metallo si mosse con un lento cigolio mentre Harry la spinse con la mano invisibile, l’aprì appena, e vi fece capolino.
Vide un corridoio dritto che terminava nella solida pietra. Non c’era luce lì se non quella che vi penetrava proveniente dal Patronus di Harry. La quale era abbastanza luminosa da permettergli di vedere le sbarre esterne di otto celle inserite nel corridoio, ma non poteva vedere gli interni; cosa più importante, però, non vide nessuno nel corridoio stesso.
“Non vedo nesssuno”, sibilò Harry.
Il serpente sfrecciò in avanti, contorcendosi repentinamente sul pavimento.
Un momento dopo –
“Esssa è ssola”, sibilò il serpente.
Resta, pensò Harry diretto al suo Patronus, che assunse una posizione su di un lato della porta, come se la vigilasse; e allora Harry spinse la porta aprendola ancora, e seguì il serpente dentro.
La prima cella in cui Harry guardò conteneva un corpo disseccato, la pelle divenuta grigia e chiazzata, la carne consumata in alcuni punti che mostrava l’osso al di sotto, niente occhi –
Harry chiuse i propri occhi, Poteva ancora farlo, era ancora invisibile, non stava tradendo nulla chiudendo gli occhi.
Lo sapeva già, l’aveva letto a pagina sei del suo libro di Trasfigurazione, che restavi ad Azkaban fintanto che non avessi scontato la tua pena. Se morivi prima che fosse terminata, ti avrebbero tenuto lì fino a quando non avrebbero rilasciato il tuo cadavere. Se la pena era l’ergastolo, avrebbero lasciato il corpo nella cella fino a quando la cella non fosse stata necessaria, momento in cui avrebbero gettato il tuo cadavere nel pozzo dei Dissennatori. Ma era comunque un trauma vederlo, quel cadavere era una persona che era stata semplicemente lasciata lì –
La luce nella stanza vacillò.
Saldo, pensò Harry nel suo intimo. Non sarebbe stato un bene per il professor Quirrell se quel Patronus si fosse spento a causa del suo albergare pensieri tristi. Così vicino ai Dissennatori il Professore di Difesa sarebbe potuto semplicemente cadere morto sul posto. Saldo, Harry James Potter-Evans-Verres, saldo!
Con quel pensiero, Harry aprì nuovamente gli occhi, non c’era tempo da sprecare.
La seconda cella che guardò conteneva solo uno scheletro.
E dietro le sbarre della terza cella vide Bellatrix Black.
Qualcosa di prezioso e insostituibile dentro Harry appassì come erba secca.
Si poteva capire che la donna non fosse uno scheletro, che la sua testa non fosse un teschio, perché la consistenza della pelle era ancora differente da quella delle ossa, indipendentemente da quanto bianca e pallida fosse divenuta, aspettando nell’oscurità da sola. O non la stavano nutrendo molto, o ciò che mangiava, le ombre della Morte le prosciugavano via; poiché i suoi occhi sembravano essersi rinsecchiti sotto le sue palpebre, le sue labbra sembravano troppo raggrinzite per chiudersi sopra i suoi denti. Il colore sembrava essersi dilavato dalle vesti nere che aveva indossato entrando in prigione, come se i Dissennatori avessero prosciugato anche quello. Dovevano essere audaci, quelle vesti, e ora ricadevano allentate su di uno scheletro, esponendo la pelle raggrinzita.
Sono qui per salvarla, sono qui per salvarla, sono qui per salvarla, Harry pensò rivolto a sé stesso, disperatamente, più e più volte, con uno sforzo simile all’Occlumanzia, desiderando che il suo Patronus non si spegnesse, che restasse e proteggesse Bellatrix Black dai Dissennatori –
Nel suo cuore, nel suo intimo, Harry si aggrappò a tutta la sua pietà e tutta la sua compassione, alla sua volontà di salvarla dall’oscurità; la radiosità argentea che penetrava attraverso la porta si rischiarò, proprio mentre lo pensava.
E in un’altra parte di lui, come se stesse semplicemente permettendo ad un’altra parte della sua mente di compiere un gesto abitudinario senza farci molta attenzione…
Una gelida espressione salì sul volto di Harry, invisibile sotto il cappuccio.
“Salve, mia cara Bella”, disse un gelido sussurro. “Ti sono mancato?”