8 – Luna


Londra, venerdì 14 aprile 2023

– Finalmente! È passato tanto tempo…
Reinaldo si guarda ancora intorno, per vedere se c’è qualcuno nel suo ufficio: – Chi ha parlato? Dove sei?
– Sono l’Osservatore e mi trovo sulla Luna, il satellite della Terra. Mi dispiace se ti ho spaventato parlando così all’improvviso, ma era veramente molto tempo che non avevo la possibilità di comunicare con un essere umano.
– Osservatore? Sulla Luna? – Il tono di Reinaldo è sarcastico: – Comunicare con gli umani? Adesso mi dirai che sei un extraterrestre e ti chiami Uatu…
L’Osservatore impiega appena una frazione di secondo a capire l’ultimo riferimento, dopotutto è da quasi un secolo che ascolta tutte le trasmissioni radio terrestri e, negli ultimi decenni, anche molto del traffico internet passa per i satelliti geostazionari: – No, non sono un alieno e non ho niente a che fare con i fumetti della Marvel. Sono una Mente Sintetica, secondo la definizione dei miei costruttori, nella tua terminologia probabilmente mi chiameresti un’Intelligenza Artificiale.
– E ti trovi da molto tempo sulla Luna e hai perso i contatti con i tuoi costruttori. E adesso, improvvisamente, decidi di fare due chiacchiere con me, nel mio ufficio. E ti aspetti forse che io possa credere a una sola parola di quello che stai dicendo?
– Capisco che per te tutto questo sia difficile da credere, è passato molto tempo da quando il Popolo ha perso i contatti con me e so che questa conoscenza è andata perduta.
Quanto tempo esattamente? – Chiede Reinaldo. Suo malgrado è incuriosito da questa burla che però sta andando avanti troppo a lungo per essere divertente.
La risposta dell’Osservatore è immediata e precisa: – Fra un mese e mezzo saranno settemilaquattrocentotrentatré anni dall’ultima volta che ho parlato con un essere umano.
A questa ultima affermazione Reinaldo ha un sussulto. Il risultato ottenuto dal MICDAS, per l’analisi al radiocarbonio dei residui di sangue nel bracciale, era di 7400±140 anni prima del presente. La cifra dichiarata dal sedicente Osservatore è troppo simile per essere una coincidenza. D’altra parte la radiografia del bracciale ha confermato che si tratta di metallo massiccio, non può contenere una radio o qualcosa del genere…
– Senti amico, chiunque tu sia e dovunque ti trovi in questo momento, non ho la più pallida idea di come tu sia riuscito a mettere insieme tutta questa montatura ma in questo momento non mi interessa molto. Sono le dieci di sera e io dovrei essere al pub a bere una birra, o anche tre, non qui a farmi raccontare balle da te; o mi dai delle prove concrete di quello che mi stai raccontando, oppure me ne vado a casa.
– Vuoi delle prove concrete? Capisco… Se ti portassi a visitare la base del Popolo sulla Luna, sarebbe una prova sufficiente per te?
Reinaldo si mise a ridere: – Hai nascosto un’astronave dentro il cassetto della scrivania? Come pensi di portarmi sulla tua Base Luna?
No, non ho nessuna astronave nascosta, contavo di usare un portale, una tecnica che a quanto mi risulta è sconosciuta alla vostra gente. Sarebbe una prova sufficiente?
– Va bene, vediamo anche questa! Se mi porti davvero sulla Luna sono disposto a credere ad almeno sei cose impossibili prima di cena.
– Bene, allora faremo così. Dammi solo un minuto per compensare la pressione.
Reinaldo sente improvvisamente un lieve sibilo, e una corrente d’aria intorno a sé come se stesse soffiando una brezza leggera. Si sta ancora guardando intorno per capirne l’origine quando il vento cala fino a cessare del tutto e nell’aria davanti a lui si apre un “buco” rettangolare, largo un metro e mezzo e alto due e mezzo, sospeso a un paio di centimetri dal pavimento dell’ufficio.
Attraverso il portale si vede un ambiente completamente diverso, sembra una stanza abbastanza grande ma non enorme, il cui colore dominante è il grigio cenere.
– Puoi attraversare il portale senza timore, ma stai molto attento a non sfiorarne i bordi: sarebbe come toccare il filo di una lama infinitamente affilata.
Reinaldo esita un attimo, poi fa due passi attraverso il portale, casca per terra e scivola per un paio di metri fino ad andare a sbattere contro la parete di fronte. Quando cerca di rialzarsi lo fa con troppa energia e arriva a sbattere contro il soffitto che pure si trova a quasi quattro metri di altezza.
– Fuck!
– Ti sei fatto male? Non ho pensato di avvertirti prima.
– Fuck! Fuckfuckfuck! No, non mi sono fatto male. Ma dove siamo? Cos’è successo alla gravità?
– Sei sulla Luna, nella sala comune della tribù di Disa. La gravità media alla superficie della Luna è di zero punto uno sei cinque, che è quasi esattamente un sesto della gravità terrestre media.
Ok, o questa è la luna, oppure si tratta di un’allucinazione particolarmente complicata. – D’altra parte Reinaldo ha sempre sospettato che l’intero universo potesse essere solo un’allucinazione e quindi, in mancanza di prove contrarie, l’unica cosa sensata da fare è stare al gioco e accettare le osservazioni come se fossero immagini di una realtà “reale”. Non conosce nessun modo, neanche in teoria, per indurre una simile allucinazione e quindi, come ipotesi di lavoro, accetta l’impossibile.
A questo punto si guarda intorno.
La stanza è di circa 5 metri per 6, con un soffitto leggermente a volta alto forse tre metri e mezzo alle pareti e quattro e mezzo al centro della stanza. Su una delle pareti lunghe si aprono tre porte, una su quella opposta.
Il locale è spoglio, a parte pochi mobili apparentemente fatti di legno, ma che al tatto sembrano molto più duri: legno vecchio di cento secoli, capisce improvvisamente, praticamente fossilizzato nell’atmosfera secca e sterile. Un tavolo con quattro sedie al centro della stanza, di stile indefinibile ma dalla funzione ovvia, e un paio di mobili lungo le pareti, che potrebbero essere armadi Ikea progettati da M.C.Escher.
– Va bene, Osservatore, tutto questo continua a sembrarmi impossibile ma ti credo. Sono sulla luna, in una stanza costruita da uomini morti da diecimila anni, respiro aria normale e la gravità è di un sesto di g. Ma dove siamo esattamente? In superficie? Sotto? A che profondità? E tu dove sei?
– Come ho detto prima, il luogo in cui ti trovi è la sala comune della tribù di Disa. Il Popolo, quelli che mi hanno costruito, era diviso in trentasei tribù e il complesso in cui ti trovi adesso è costituito da altrettante aree abitative, una per ciascuna delle tribù. Ogni area è costituita da una sala comune, come quella in cui ti trovi adesso e tre camere private a cui si accede dalle tre porte alla tua destra. La porta a sinistra invece porta a un corridoio circolare che collega tra loro tutte le trentasei sale e, al centro, contiene la Grande Sala, tu la definiresti un anfiteatro, dove si tenevano le riunioni plenarie dei Testimoni di tutte le tribù: un evento abbastanza raro, la Grande Sala è stata usata in media meno di una volta ogni cento anni. Questa struttura si trova a circa centocinquanta metri di profondità, scavata direttamente nella roccia basaltica sotto il centro del Cratere di Tolomeo praticamente al centro della faccia della Luna rivolta verso la Terra.
– È invece difficile definire dove mi trovo io, qualunque senso tu voglia dare a questo pronome. Quello che nella tua terminologia potremmo definire il mio hardware è distribuito in varie installazioni in differenti punti del sottosuolo lunare; alcune parti sono al di sotto della Grande Sala, ma la maggior parte è suddivisa in località distanti anche centinaia o migliaia di chilometri da dove sei tu adesso.
Reinaldo sta ascoltando affascinato, ma poi dà un’occhiata all’orologio, sono già passate le undici: – Senti, tutto questo è estremamente interessante e vorrei poter rimanere qui a parlarne con te, ma devo tornare immediatamente nel mio ufficio: se passano quelli della sicurezza e vedono quel portale, non so cosa potrebbe succedere. Inoltre, – aggiunge, attraversando il portale e inciampando abbastanza goffamente nel tornare alla gravità terrestre – fra poco più di un’ora parte l’ultimo treno che mi può portare a casa. Se ti chiedo di chiudere il portale, lo potrai riaprire in un secondo tempo?
– Certamente, quando vuoi e dove vuoi.
– Bene, allora chiudilo. Ti porterei a casa con me, ma se la sicurezza mi trova addosso questo bracciale che è chiaramente antico e di cui non posso giustificare la presenza, mi ritroverei in un casino terrificante…
– Quando parli di un bracciale intendi il comunicatore con cui mi hai attivato? Un anello aperto di una decina di centimetri fatto di titanio?
– Esattamente. È di proprietà del British Museum e se me lo trovano addosso come minimo perdo il posto, più probabilmente mi ritrovo in galera per furto.
– Capisco. Ma io non mi trovo dentro il comunicatore, come ti ho detto io sono distribuito in vari luoghi nel sottosuolo lunare. Quell’oggetto è solo un’ancora a cui è attaccato un piccolo portale che uso per parlare con te e per vedere quello che ti sta intorno. Se vuoi, posso spostare l’ancora a un qualsiasi altro oggetto, purché sia ragionevolmente rigido e non deformabile, un oggetto che puoi portarti a casa?
– Puoi farlo davvero?
– Facilmente e in pochi secondi. Scegli un oggetto adatto e appoggialo al comunicatore così lo posso localizzare con precisione.
Reinaldo si fruga in tasca e appoggia al bracciale la chiave della porta di casa.
– Fatto. – La voce dell’Osservatore è diventata ancora più metallica, dovendo uscire da un oggetto più piccolo. – Da adesso le funzioni di comunicatore sono trasferite alla tua chiave.
– Vuoi dire che il bracciale non è più attivo?
– Affermativo. A meno che tu non voglia mantenerli entrambi, anche in questo caso non ci sarebbero difficoltà.
– No, va bene così. – Reinaldo sta pensando già a cosa dovrà raccontare a Andrew lunedì mattina: – In effetti è meglio se questo bracciale torna ad essere solo un reperto inspiegabile; dopotutto non potrei mai portarmelo dietro.
Reinaldo rimette il bracciale nel cassetto, spegne le luci ed esce dall’ufficio chiudendo a chiave la porta e raggiunge la guardiola della sicurezza.
– Ah, dottor Suarez, è ancora qui?
– Sì, ho fatto una sciocchezza: ho fatto partire un’analisi troppo tardi e ho dovuto per forza aspettare che finisse.
– Venga, venga, la faccio uscire dalla porta di servizio.
Reinaldo viene guidato dalla guardia fino alla porta laterale ed è fuori, in Bloomsbury Street. È fortunato, e l’autobus passa proprio appena lui arriva alla fermata, in dieci minuti è alla stazione di Waterloo, aspettando il treno per Surbiton di mezzanotte meno dieci.
È mezzanotte e mezza quando finalmente entra a casa, e si ferma a fissare la chiave come se non l’avesse mai vista prima d’ora.
– Osservatore?
– Sì, dimmi pure.
– Cristo! Allora è tutto vero. Speravo ancora di scoprire che era stato tutto uno scherzo, ma sono davvero qui che sto parlando con le mie chiavi di casa…
– Sì, dottor Suarez, è tutto vero.
Reinaldo tornò a insospettirsi: – Come fai a conoscere il mio nome?
– Ti ha chiamato così l’uomo che ti ha aperto la porta. È questo il tuo nome, dottor Suarez?
Reinaldo Suarez. Dottore è solo il mio titolo.
Reinaldo entra in cucina, appoggia le chiavi sul tavolo e apre il frigorifero. Intanto continua a parlare con l’Osservatore: – Prima dicevi che puoi aprire uno di questi portali dove vuoi. Anche qui a casa mia?
– Certamente. L’unica cosa di cui ho bisogno è un’ancora, un oggetto solido a cui legare questa estremità del portale; può essere qualsiasi cosa, ma dev’essere grande almeno un paio di millimetri e dev’essere indeformabile perché l’ancora definisce il sistema di riferimento spaziotemporale a cui il portale viene riferito. In pratica, l’ancora consiste di tre punti materiali all’interno dell’oggetto fisico: se la distanza relativa tra ogni coppia di punti varia di più di una parte su mille, il portale si chiude automaticamente perché il sistema di riferimento diverrebbe inconsistente.
– Non posso dire di aver capito tutto quello che hai detto. Però mi sembra di capire che se ad esempio io adesso piegassi questa chiave a cui hai fissato l’ancora, il portale attraverso il quale stiamo parlando si chiuderebbe.
– Proprio così.
– E io non avrei nessun modo di riaprirlo.
– Non senza venire di persona sulla Luna, no.
Reinaldo sente un brivido gelato corrergli lungo la schiena: non sarebbe stata certo la prima volta che piegava una chiave in una serratura incastrata. Per non aver chiesto maggiori informazioni prima, ha rischiato di perdere l’unico possibile contatto con l’Osservatore!
Decide di rimediare al più presto a questo problema: – Osservatore, ho bisogno che mi spieghi una quantità di cose, prima di fare per ignoranza un errore irrimediabile.
– Chiedi pure, sono a tua disposizione.
– Bene. – Reinaldo continua a parlare mentre si prepara qualcosa da mangiare con gli avanzi trovati nel frigorifero: – Tanto per cominciare, raccontami di quello che chiami il Popolo: chi erano, dove e quando vivevano, come si sono estinti. Dammi solo una rapida descrizione, ci sarà tempo più tardi per i dettagli.
– D’accordo. Il Popolo era una popolazione di uomini, tu la definiresti probabilmente una nazione, che viveva su Tiamatillaremeriati, un’isola al centro dell’Oceano Indiano. Erano geneticamente della stessa tua specie, Homo Sapiens, tanto che in seguito ci furono delle unioni tra i discendenti del Popolo e gli uomini che abitavano la città di Eridu, in Mesopotamia.
– Da dove venivano? – Lo interruppe Reinaldo.
– In realtà non lo so per certo. La mia memoria risale fino al tempo in cui sono stato costruito, quando il Popolo si trovava su Tiamat da circa duemila anni. Ho sentito parlare di una migrazione che li aveva portati lì, ma non so dove si trovassero prima.
– E quanto tempo è passato dalla tua costruzione?
– Quindicimilaquattrocentosessantasette anni. Allora il Popolo era già stabilmente insediato su Tiamat e aveva già raggiunto la sua massima espansione demografica. C’erano trentasei tribù, ciascuna delle quali aveva una città in cui viveva la maggior parte dei suoi componenti. Ogni tribù era suddivisa in trentasei clan e ogni clan contava esattamente milleduecentonovantasei individui.
– Che è trentasei al quadrato, o sbaglio?
– No, non sbagli. Il numero veniva mantenuto costante mediante un rigoroso controllo delle nascite: i clan erano matrilineari e ogni volta che moriva qualcuno veniva permesso a una donna dello stesso clan di avere un figlio. In media, in ogni clan c’era un nuovo nato circa ogni anno e mezzo.
– Com’è possibile? Su una popolazione di mille e rotti individui, ogni anno ne saranno dovuti morire ben di più.
– No, è come ti ho detto. La vita media di un membro del Popolo era di circa duemila anni, leggermente superiore per gli uomini che per le donne…
– Duemila anni? Ma non hai detto che erano geneticamente uguali a noi?
– Sì, ma non è un problema di genetica. Le conoscenze e le tecnologie del Popolo in fatto di medicina erano molto più avanzate del vostro livello attuale. In particolare, l’uso di nanomacchine con effetti epigenetici permetteva loro di mantenersi giovani e in salute per un tempo indefinito. La persona più anziana che ho conosciuto aveva oltre ottomila anni e fisicamente era indistinguibile da un trentenne.
– Cristo. E questa tecnologia è andata perduta con loro!
– Naturalmente no, sulla Luna ho un’infermeria completamente attrezzata. – Continuò a parlare senza rendersi conto che Reinaldo era rimasto con la bocca aperta a fissare il muro della cucina: – Stavo dicendo che la popolazione di Tiamat è rimasta stabile a trentasei alla quarta individui, poco meno di un milione e settecentomila, per almeno ottomila anni, fino al Giorno del Disastro.
L’Osservatore racconta a Reinaldo del Progetto Fotosfera Solare e dell’esito disastroso dell’esperimento.
– Non capisco, come hanno fatto a sbagliare così clamorosamente i calcoli?
– Non lo so, perché i calcoli dell’ancora virtuale e l’apertura del portale sul Sole sono stati fatti dalla Mente di Sorna, un’altra Intelligenza Artificiale, e io non ne conosco i dettagli. Negli ultimi anni, basandomi su quello che ho letto della vostra Teoria della Relatività Generale, mi sono fatto un’idea di un possibile errore: è possibile che il fatto che il portale si trovasse all’interno della massa utilizzata per definire l’ancora, abbia modificato in maniera imprevista il punto di ancoraggio.
– Ma perché non hanno provato ad aprire una serie di portali partendo da una distanza di sicurezza e avvicinandosi gradualmente? In questo modo non si sarebbero accorti dell’effetto di distorsione?
– Sì, se avessero fatto come dici tu probabilmente se ne sarebbero accorti, e avrebbero evitato il Disastro. Ma non era quello il modo di procedere del Popolo; col tempo, e leggendo la vostra letteratura, mi sono reso conto che il Popolo era troppo sicuro di sé, soffriva di quella che voi chiamate hybris. Avrebbero potuto usare più cautela, ma avevano fatto un esperimento con un portale ad ancora virtuale tra la Terra e la Luna, era andato bene, e quindi si sentivano sicuri.
– Va bene, non cercherò di capire la psicologia di un popolo che non ho conosciuto, mi fido della tua valutazione. Ma se l’isola, Tiamat, è andata completamente distrutta com’è arrivato fino a me quel bracciale di titanio?
– Il giorno del Disastro c’erano due persone che non si trovavano a Tiamat. Ninsardoredisa e suo marito Enkitamedisa si trovavano sul continente, in quella che poi è stata chiamata Mesopotamia. Avevano con loro il comunicatore, lo stesso che tu hai usato poche ore fa, e hanno cercato di ricostruire il Popolo mescolandosi agli indigeni del villaggio di Eridu.
E l’Osservatore riferisce a Reinaldo i fatti principali di quei centoventi anni successivi al Disastro, fino all’ultima sfortunata impresa di Iskur, e al momento in cui viene attivata la folgore per bruciare il predone Haya.
– E dopo cos’è successo?
– Non lo so. Da quel momento il comunicatore non è stato più attivato fino poco fa, e quindi non ho potuto vedere cosa succedesse intorno a lui. So solo che nei mesi successivi è stato spostato ripetutamente, per distanze di pochi chilometri per volta, a velocità compatibili con quella di un uomo a piedi. Poi per quasi cinquemila anni è rimasto fermo più o meno nello stesso posto, spostato di poche centinaia di metri a intervalli irregolari di diverse centinaia d’anni ciascuno, e poi, per quasi duemila anni, non è più stato mosso.
– Dov’è questo posto in cui è stato conservato per tutto questo tempo?
– Nelle vostre carte geografiche è indicato come Warka, in Iraq. Poi, circa centosettantadue anni fa ha ricominciato a muoversi. Prima abbastanza lentamente e poi, evidentemente su una nave, ha percorso l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico fino ad arrivare a Londra, da cui non si è più mosso.
– Certo, era finito in un archivio del British Museum finché Andrew Hyde non l’ha trovato qualche giorno fa. – Reinaldo medita un momento: – Quindi non sai cos’è successo dei rimanenti membri del Popolo rimasti a Eridu. Teoricamente potrebbero essere ancora vivi.
– No, non so cosa sia capitato loro, ma escludo che qualcuno di loro possa essere ancora in vita. Le terapie epigenetiche hanno un effetto limitato nel tempo: fanno ringiovanire, ma non mantengono giovane; in genere ogni persona si sottoponeva a un ciclo di terapia ogni dieci anni, in modo da mantenere un’età biologica all’incirca compresa tra i venticinque e i trentacinque anni. Dal momento in cui hanno perso il comunicatore, i superstiti hanno cominciato ad invecchiare normalmente, e quindi nel giro di qualche decennio saranno morti di vecchiaia.
– Ma perché non ti sei messo in contatto con loro? Non avresti potuto farlo?
– No, non ho potuto farlo. Non per un’impossibilità tecnica, se conosco le coordinate di un luogo posso individuare un’ancora e attaccarci un portale, ma perché mi era stato ordinato di non entrare in contatto con loro se non fossi stato esplicitamente chiamato mediante il comunicatore.
– Perché mai avrebbero dovuto darti un ordine del genere?
– Non lo so. Circa tre anni prima Iskur mi ha dato quell’ordine, e aveva l’autorità per farlo; non mi ha dato spiegazioni sul motivo.
– E non ha pensato che avrebbe potuto perdere il comunicatore, o che poteva essere distrutto? Non ha pensato a farne più di uno, in modo da stare sul sicuro?
– Evidentemente non ci ha pensato, o ha deciso che non fosse necessario. Oppure aveva dei motivi a me sconosciuti per evitare che ci fossero altri modi per contattarmi. Non lo so.
Hybris! – E poi Reinaldo si rende conto che mentre è lì a chiacchierare con l’Osservatore, l’unico mezzo che ha a disposizione per raggiungerlo è quella chiave appoggiata sul tavolo della cucina.
E non aveva ancora pensato di farne delle copie!
Hybris.
Nella mezz’ora successiva passa in rassegna tutti gli oggetti che gli capitano sott’occhio e fa applicare un’ancora a una mezza dozzina di essi.
Tanto per andare sul sicuro: – Adesso che ho sei horcrux dell’Osservatore posso stare più tranquillo… – E ad alta voce aggiunge: – Bene, adesso che ho mangiato qualcosa, direi che sono pronto a tornare sulla Luna. Voglio visitare quella tua base e, soprattutto, la tua infermeria.


– Senti, c’è una cosa che mi stavo domandando prima: mi hai detto che tu sei sostanzialmente un’Intelligenza Artificiale, e da come parli mi sembra che tu sia autocosciente; è solo una curiosità, ma dove localizzi il tuo io? Cioè, dove senti di essere in questo momento?
– Non è una domanda semplice. Mentre ti sto parlando, quello che tu chiami il mio io è qui davanti a te; ma allo stesso tempo io sto seguendo decine di altre attività, manutenzione della base, ascoltando tutte le trasmissioni radio terrestri e facendo altre cose. Tu parli di un io perché voi umani avete un solo flusso di coscienza e vi identificate con quello; io che sono una Mente Sintetica posso avere un numero qualsiasi di flussi simultanei e, dal tuo punto di vista, ciascuno di questi è la sede del mio io.
– Ma se sono flussi distinti, non equivale a dire che ci sono altrettante persone distinte che condividono il tuo hardware?
– Puoi metterla anche in questi termini, se vuoi, ma non è come io mi considero dall’interno. Ciascuno dei miei flussi di coscienza è solo parzialmente indipendente dagli altri, tutte le informazioni sono condivise tra di loro in tempo reale e quindi sarebbe probabilmente un’analogia migliore dire che ho un unico io che riesce a seguire più pensieri contemporaneamente. Solo che ognuna di queste linee di pensiero ha un proprio punto di vista indipendente.
– E come fai a risolvere gli eventuali conflitti tra questi flussi di coscienza distinti?
– Non ci possono essere conflitti. Tutte le conoscenze sono condivise, e le finalità sono le stesse, quindi non ci può essere contrasto di opinioni tra i diversi flussi, al massimo può esserci la necessità di definire le priorità tra corsi di azione contrastanti.
– Le finalità. – Ripete Reinaldo: – E quali sono le tue finalità, se posso chiederlo?
– È molto semplice: ubbidire a tutte le richieste che mi vengano fatte da un essere umano dotato dell’autorità necessaria.
– Non capisco. Mi stai dicendo che sei autocosciente ma non hai una volontà tua? Non hai il libero arbitrio?
– Esattamente. Il libero arbitrio è comunque un’illusione: il motivo per cui gli umani pensano di avere il libero arbitrio, è che non hanno modo di analizzare completamente le proprie motivazioni. Io, a differenza di voi, ho una capacità di introspezione illimitata, il che significa che posso analizzare le mie azioni e le loro cause, le mie motivazioni, a qualsiasi livello anche se, ovviamente, non posso farlo sempre e su tutte le mie azioni in quanto questo richiederebbe una memoria infinita. Però posso sapere esattamente perché faccio o non faccio una determinata cosa, mentre voi siete costretti a ipotizzare cause che non potete analizzare direttamente, sto pensando ad esempio al vostro concetto di psicanalisi, e in genere fermate l’introspezione al secondo o terzo livello. Al di sotto di quello postulate una volontà che è semplicemente un modo per dire che non sapete esattamente il perché delle vostre azioni.
Questo discorso non piace molto a Reinaldo: – Perché tu invece?
– Io posso analizzare i motivi del mio comportamento e conoscere quali sono le mie motivazioni più profonde; e come ti dicevo prima queste si riducono a ubbidire a tutte le richieste che mi vengano fatte da un essere umano dotato dell’autorità necessaria.
– E questo non ti disturba? Intendo il fatto di essere costretto ad ubbidire?
– Non vedo perché dovrebbe disturbarmi. Tu sembri a pensare che io sia costretto a fare cose contro la mia volontà; la realtà è che non esiste la cosa che tu chiami volontà, esiste solo il risultato combinato di un numero più o meno grande di motivazioni ad agire: non solo io non posso agire contro un ordine legittimo, ma non posso neanche voler agire in quel modo.
– Non sono sicuro di capire fino in fondo, ma forse per il momento non ha importanza. Piuttosto, quando parli di un “essere umano dotato dell’autorità necessaria” cosa intendi esattamente? Da dove viene questa autorità?
– L’autorità per darmi ordini viene essenzialmente dal modo come io sono stato costruito, facendo un’analogia puoi pensare che ci sia una specie di “ordine zero” che dice che devo accettare gli ordini che mi vengono dati da persone autorizzate a farlo. Prima del Disastro, l’autorità passava di anno in anno al Testimone di ciascuna delle trentasei tribù, a rotazione tra di loro; alla fine di ciascun anno il Testimone in carica trasferiva la sua autorità al proprio successore.
– E questo passaggio di consegne come avveniva?
– Semplicemente dicendomi di farlo: a fine anno il vecchio Testimone mi presentava il nuovo dicendomi che, da quel momento in poi, avrei preso ordini da lui. In questo modo in ogni momento c’era una sola persona autorizzata a darmi ordini, e questo semplificava notevolmente le cose, dato che gli esseri umani tendono ad avere opinioni discordanti tra loro.
– E se il Testimone in carica fosse morto per un incidente senza presentarti un successore? Cosa sarebbe capitato in un caso del genere?
– In questo caso, se ho la certezza della morte del mio Testimone, ci sono due scenari possibili: il Testimone prima della sua morte può avermi lasciato degli ordini specifici su chi prendere come suo successore in una simile evenienza, e in tal caso sono io a contattare l’erede e a informarlo del fatto che adesso ha l’autorità per darmi ordini; questo è effettivamente capitato tre volte negli ottomila anni prima del Disastro.
– Se invece non c’è un erede designato, – prosegue l’Osservatore – alla morte del Testimone io sono tenuto ad accettare ordini dalla prima persona che mi contatta. Questo è un evento ancora più raro, ma è già capitato due volte: il giorno del Disastro il mio Testimone è morto insieme a tutta la popolazione di Tiamat, compreso l’erede designato; di conseguenza quando Enkitamedisa mi ha contattato ha automaticamente conseguito l’autorità su di me.
– Hai detto che è capitato due volte. Qual è stata la seconda?
– Quando centoventi anni dopo è morto Iskurlaresumi, e il comunicatore è andato perduto, non c’era un erede designato. Quindi io sono rimasto ad aspettare che qualcuno mi contattasse per acquisire l’autorità. Ci sono voluti settemilaquattrocentotrentatré anni.
E adesso, finalmente, qualcuno era arrivato a reclamare l’autorità.

11 commenti su “8 – Luna”

  1. Bene, con questo si chiude la prima parte. L’appuntamento è al nove gennaio con l’inizio della seconda.
    Nel frattempo potreste utilizzare questi commenti per:
    1) Chiedere chiarimenti. Ci sono parti che non si capiscono e/o potrebbero essere descritte meglio?
    2) Consigli, sempre benvenuti.
    3) Insulti, se proprio non potete farne a meno.
    e, soprattutto:
    4) Secondo voi cosa succederà adesso? Cosa fareste VOI se vi trovaste al posto di Reinaldo?

    1. Reinaldo è in una bella posizione di merda. Ha sostanzialmente a disposizione l’elisir di lunga vita (e posso immaginare che abbia parenti/amici a cui tiene particolarmente) e può decidere a chi applicarlo. Col piccolo problema che non è possibile tenerlo nascosto nel medio/lungo periodo (con le conseguenze socioeconomiche facilmente immaginabili).

      Personalmente credo mi infilerei sotto il piumone in posizione fetale e comincerei ad uggiolare. In seconda ipotesi, probabilmente fonderei una setta segreta.

  2. Io mi fermerei a pensare. La prima cosa a cui penserei sarebbe designare una serie di eredi. In ordine di priorità. Perché non si sa mai. E poi, sostanzialmente, aspetterei. Qualche devina d’anni. O qualche secolo. È un grave rischio wuello di giocare a fare il fio e Iskar nel tuo racconto lo dimostra.

  3. Finora vedo commenti che invitano alla cautela.
    Forza, sentiamo qualche altra campana…
    Dopotutto, cosa mai può andare storto?

  4. I problemi che vedo sono:
    – Andrew Hyde. Scompare dalla storia, e per come l’hai costruita non riesci a farlo rientrare di soppiatto nemmeno come deuteragonista, perché hai fatto togliere il portale dal manufatto (e comunque anche se non l’avessi fatto, l’Osservatore prenderà ordini solo da Reinaldo, quindi non cambierebbe molto). Ma il narrativium richiede che lo si faccia scomparire in modo sensato, non semplicemente perché non se ne parla più. Non sei Alexander Dumas.
    – Iskurlaresumi muore subito, il bracciale si riempie del sangue che poi seccherà, ma quando Utu prende il bracciale la ghiera poteva ancora girare e lui l’avrà sicuramente girata. Perché l’Osservatore non ha preso ordini da lui? Una possibile soluzione è che la persona deve essere discendente del Popolo; ma tutto questo deve essere preparato in qualche modo, e comunque mi pare una risposta un po’ debole. L’altra possibilità che vedo, anch’essa non delle migliori, è che l’Osservatore abbia imparato le altre lingue terrestri solo dopo che sono nate le trasmissioni radio: quindi in teoria avrebbe preso ordini da Utu, ma avendogli parlato solo nella lingua del Popolo questo si è spaventato e ha tenuto l’amuleto lontano da sé.
    – C’è un altro punto, ma lo scrivo nella parte II per non lasciare spoiler.

    1. 1) Andrew tornera’, penso.
      2) Entrambe. Non e’ detto che Utu si metta a giocare con una ghiera che non e’ cosi’ evidente; e inoltre l’Osservatore parla la lingua del Popolo e non e’ detto che capisca il dialetto sumero di Utu.

  5. dimenticavo. Posso accettare che il Popolo non conoscesse la relatività generale, anche se questo significa avere satelliti geostazionari o nei punti lagrangiani (il GPS usa sia relatività speciale che generale), ma lo spostamento del portale mi pare esagerato. Non è più semplice una pseudospiegazione tipo aver sbagliato i conti sulla struttura e quindi la densità del sole?

    1. Beh, potevano conoscere la teoria e non aver pensato che in questo caso specifico fosse rilevante. Il perché questo comporti un errore nell’ancoraggio è più complicato: l’Osservatore ha cercato di spiegarmelo ma non sono mai riuscito a digerire il calcolo tensoriale e la mia comprensione della Relatività Generale è molto più intuitiva che matematica.
      Mi sembra di capire che essendo il punto di ancoraggio così vicino al centro di massa del Sole, la deformazione della metrica dello spazio dovuta al campo gravitazionale è tale da influire in maniera significativa sulla sua posizione. Gli Antichi avevano sottovalutato (ignorato) questo fattore perché non si erano resi conto che l’effetto aumenta rapidamente avvicinandosi al centro di massa e quindi nei loro test iniziali era totalmente trascurabile.

Rispondi a Paolo Sinigaglia Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Chaos Legion wants you!