Asif, a.d. V Id. Iun. 874 AUC
La manovra di Aktis è riuscita perfettamente. Dopo aver completato l’allestimento del castellum siamo tornati a Ninguaria in soli nove giorni di navigazione. Abbiamo caricato le nostre provviste, soprattutto acqua e cereali, e siamo ripartiti verso sud arrivando al dodicesimo giorno in vista dell’accampamento dei nostri compagni.
Non ci sono stati incidenti: tutti i componenti della guarnigione erano in ottima salute quando li abbiamo raggiunti, Arvind aveva raccolto diversi altri gusci di testudo da aggiungere alla sua collezione, prima o poi dovrò ricordarmi di chiedergli perché gli interessano tanto, e gli uomini avevano sfruttato il periodo in cui eravamo assenti rinforzando l’agger del castellum con un muro a secco, realizzato utilizzando le pietre raccolte lì attorno, al punto che adesso sembrava veramente un piccolo castrum.
Prima di ripartire abbiamo eretto un plinto in pietra grezza sulla groma al centro del castrum, nel punto in cui si incontrano la Via Praetoria e la Via Principalis, con un’iscrizione che dichiara che Castrum Sahris è stato fondato dall’equipaggio della nave Inceptio, comandata dal trierarca Iacopo Tiberio Dominico, ed è soggetto in eterno all’imperium del Senato e del Popolo di Roma.
Purtroppo non abbiamo con noi bestiame, quindi non abbiamo potuto officiare un sacrificio adeguato. Per necessità ci siamo limitati a un’offerta di mola salsa e a una libatio di vino al genius loci e a Ianus, nume tutelare della Inceptio.
Abbiamo caricato tutte le scorte e tutti i materiali e abbiamo abbandonato, almeno per ora, Castrum Sahris al suo destino.
Dopo altri ventidue estenuanti giorni di navigazione, con un clima caldo e umido e con poco vento, spesso contrario, siamo finalmente arrivati in vista della foce di un grande fiume che pensiamo sia quell’Asif di cui ci ha parlato Azrur.
In realtà che sia quel fiume o un altro ci importa ben poco. La nostra scorta d’acqua sta calando paurosamente e inoltre comincia ad emanare un cattivo odore. Abbiamo assolutamente bisogno di procurarci al più presto acqua potabile e, se il verde che si vede intorno al fiume è vegetazione, potrebbero esserci anche degli animali.
Speriamo che sia davvero così, in questo caso potremo organizzare qualche battuta di caccia: non ci farebbe male aggiungere un po’ di carne alle nostre scorte.
– Che schifo di palude! E sembra che voglia continuare all’infinito. – Gibil, il medico di bordo, era in piedi vicino all’orlo del disco e scrutava insieme agli altri la costa che passava rapida di fianco a loro.
– Speriamo che finisca presto, invece, – commentò Dominico – altrimenti saremo nei guai: le scorte d’acqua sono praticamente finite, ne abbiamo al massimo per altri tre giorni.
La situazione era davvero deprimente: arrivando all’Asif avevano sperato di trovare un ampio estuario o, nella peggiore delle ipotesi, un delta come quello del Nilo.
Sembrava invece che questo fiume avesse un delta che non arrivava fino al mare: già da ore la Inceptio stava costeggiando una costa dietro la quale si intravedeva una distesa di acque apparentemente stagnanti. Sembrava che ci fosse un delta, ma non si vedeva nessun modo per raggiungerlo.
– Trierarca, quella sembra una foce! – Il grido della vedetta riscosse Dominico dalle sue cupe riflessioni. In effetti, a circa mezzo miglio dalla prua, si vedeva un’interruzione nell’uniforme continuità di quella spiaggia piatta e fangosa. Avvicinandosi di più videro che, per un tratto lungo forse un miglio, la costa si frammentava in una serie di isolette con in mezzo un canale che poteva forse essere navigabile.
Dominico fece ammainare le vele e la Inceptio, navigando solo sotto la spinta dei remi, si avvicinò con cautela al canale mentre tre addetti, uno a prua e due a poppa, controllavano in continuazione la profondità del fondale con gli scandagli. – Cerchiamo di mantenerci al centro del canale più largo. – Ordinò Dominico: – E fintanto che il fondo si mantiene a più di venti cubiti andiamo avanti.
Il canale si inoltrava tra le isolette e poi girava bruscamente a sinistra, tornando indietro verso nord. La nave si trovò a risalire per dieci miglia lo stesso tratto di costa che aveva disceso poche ore prima, ma questa volta si trovava dall’altra parte di quella sottile lingua di terra che finora li aveva tenuti lontani dal fiume.
Improvvisamente il corso principale curvò verso l’interno e cominciò a dividersi in vari rami. Dominico ordinò di mantenere la nave nel canale in cui la corrente sembrava più forte, per paura che i rami più lenti conducessero in mezzo a un’altra palude. Lentamente la grande nave risalì a forza di remi la corrente per una quindicina di miglia, fino a un punto in cui l’acqua sembrava sufficientemente pulita e la corrente abbastanza rapida. Su entrambe le rive del fiume si stendevano pianure coperte di erbe e arbusti, intervallate da tratti di terreno spoglio. Qui Dominico fece gettare le ancore.
Circa un terzo dell’equipaggio venne incaricato del compito di vuotare, raschiare e lavare i barili dell’acqua potabile e poi, un secchio per volta, riempirli di acqua pulita presa dal fiume, filtrandola attraverso un triplo strato di tessuto per renderla limpida.
Mentre gli uomini imprecavano eseguendo questo indispensabile ma ingrato lavoro una delle scialuppe fu calata in acqua e Dominico, Aktis, Arvind e sei milites si diressero alla riva destra per esplorare il territorio.
Scesero a terra e si guardarono intorno: il terreno era sabbioso e, a parte alcune radure come quella in cui si trovavano loro, coperto da una fitta vegetazione formata soprattutto da erba alta e cespugli, con qualche albero non particolarmente imponente.
Tutti i componenti della squadra, a parte Arvind, erano completamente armati: pilum, gladio e scutum, e tre di loro portavano anche un arco in spalla. Arvind e Aktis studiarono per un po’ di tempo il terreno alla ricerca di impronte.
– Dalle tracce direi che siamo scesi nel posto giusto. – Confermò Arvind: – si vedono segni di zoccoli che sembrerebbero appartenere a delle grosse capre o forse a dei cervi.
– Ma ci sono anche delle impronte meno rassicuranti. – Aggiunse Aktis: – Queste sembrerebbero orme di un cane, ammesso che esistano cani così grossi…
– Beh, siamo in nove, e siamo quasi tutti armati. – Commentò Dominico poco impressionato: – Dubito che un cane o un lupo, anche se enorme, potrebbe cercare di attaccarci.
– Ho paura che non siano cani, trierarca, – Arvind aveva un’espressione preoccupata – spero di sbagliarmi, ma credo proprio che quelle siano orme di ghepardo.
– Spero anch’io che tu ti stia sbagliando, ma evitiamo imprudenze. – E rivolgendosi ai milites: – Avete sentito ragazzi? Sembra che qui ci possano essere dei ghepardi: troviamo il modo di appostarci fuori vista in modo da non spaventare gli animali che vengono qui a bere, ma restiamo tutti insieme, con gli occhi ben aperti e le armi pronte.
Un ora prima del tramonto la loro pazienza fu premiata: un branco composto da due dozzine circa di strani animali entrò nella radura e si avvicinò al fiume per bere.
Si trattava di grosse bestie con delle enormi corna incurvate all’indietro; nell’insieme assomigliavano a dei grandi stambecchi, ma con le corna più lunghe e sottili.
Non appena il branco si fu disposto sulla riva del fiume per bere, venne attaccato con archi e pila dai milites della Inceptio usciti dal riparo dei cespugli. La maggior parte degli animali fuggì via ma a terra rimasero quattro esemplari, il più grosso dei quali pesava tanto che ci vollero quattro uomini per sollevarlo.
La luce stava rapidamente diminuendo e quindi Dominico diede una voce alla nave per far calare la seconda scialuppa; l’equipaggio fece ritorno a bordo insieme alle carcasse degli animali abbattuti.
Dominico si rivolse ad Aktis: – Centurione, fai macellare le prede e stasera avremo carne in abbondanza. Domani, – aggiunse – scenderemo a riva in forze e costruiremo un accampamento in piena regola, voglio fermarmi qui per una decina di giorni; siamo stati troppo tempo senza toccare terra e gli uomini hanno bisogno di riposo e di esercizio.
– Agli ordini, trierarca, stasera lo comunicherò all’equipaggio.
– Inoltre sembra che qui ci sia una notevole quantità di selvaggina e la legna da ardere non manca. Dovremmo costruire un affumicatoio e trattare la maggior quantità possibile di carne. Non sappiamo se e quando troveremo un’altra zona così ricca.