Oceano, a.d. V Kal. Dec. 874 AUC
Dopo la sosta a Castrum Stultorum e il discorso che ho fatto all’equipaggio, il morale a bordo è tornato abbastanza alto, aiutato senza dubbio dal fatto che negli ultimi dodici giorni la nostra rotta ci ha portato costantemente verso nord. Secondo Claudio Tolomeo abbiamo già percorso circa seicento miglia in direzione nordest e questo, secondo lui, è un ottimo segno.
Tre giorni fa abbiamo fatto una sosta per rifornirci di acqua, entrando nell’estuario di un grande fiume per un paio di miglia. Non ci siamo fermati a lungo, solo per un giorno e due notti, appena il tempo necessario per rinnovare la scorta d’acqua potabile e mandare una centuria a caccia per procurare un po’ di carne fresca.
Da due giorni la Inceptio navigava di nuovo tranquillamente seguendo la costa verso nordest, spinta da una brezza costante da sud: con le vele completamente spiegate non era necessario remare per tenere una normale velocità di crociera.
– Sobadako, – chiamò Dominico – non credi che ci stiamo allontanando troppo dalla riva?
– Sì, trierarca, ma non abbiamo alternative. È da circa un miglio che al largo della costa si vedono scogli affioranti, e con questo vento di traverso non mi azzardo ad avvicinarmi di più.
E in effetti la linea di schiuma bianca a due o trecento braccia dalla nave dava ragione ai timori del gubernator. Poco dopo la linea della costa recedeva improvvisamente in un ampio golfo nel quale l’accavallarsi delle onde tradiva ancora la presenza di secche o scogli.
Sobadako mantenne prudentemente la Inceptio a un paio di miglia di distanza dalla riva, ma proprio in quel momento il vento rinforzò e cambiò direzione: quella che fino a pochi attimi prima era stata una brezza sostenuta di Auster, girò rapidamente passando prima a Zephyrus e poi ad Argestes, e mentre girava aumentò anche rapidamente di intensità. Quella che prima era stata una brezza che li accompagnava verso nord era adesso un vento teso che li risospingeva a sudest.
Sin dalle prime avvisaglie del cambiamento Sobadako aveva ordinato agli uomini di accorciare le vele, ma era già troppo tardi: la Inceptio si trovò rapidamente a scarrocciare allontanandosi dalla costa in balia del vento e delle onde di Oceano.
– Gubernator, per tutti gli dèi, riportaci verso riva!
– Impossibile con questo vento, trierarca: se cercassi adesso di girare la nave offriremmo il fianco al vento e allora non ci salverebbe più nessuno! L’unica possibilità che abbiamo è di cavalcarlo e e sperare che cada al più presto.
– Ma ci sta portando verso sud, – si lamentò Gibil – ci riporta indietro da dove siamo venuti…
– Questo è l’ultimo dei nostri problemi, medico. – Gli rispose seccamente Sobadako: – Preoccupati piuttosto del fatto che ci sta portando lontano dalla costa, in acque sconosciute! Saremo già fortunati se riusciremo davvero a tornare indietro!
Il vento continuò a soffiare per ore, sempre all’incirca nella stessa direzione, ora un po’ più forte, ora un po’ più debole, con Sobadako ai comandi del timone che contemporaneamente urlava ordini ai marinai per controllare l’assetto dell’unica vela ancora parzialmente distesa.
Il mare era sempre più mosso, con onde alte più di un uomo che si rincorrevano intorno a loro. Un mare simile era estremamente pericoloso per una nave come la Inceptio, una normale navis longa probabilmente non avrebbe mai potuto resistere.
Sobadako aveva ragione. Cercare di mantenere la loro rotta originale verso nordest sarebbe stato fatale: si sarebbero ritrovati con il vento di traverso e, di conseguenza, nella quasi totale impossibilità di governare la nave. Il rollio provocato dal vento e dalle onde laterali avrebbe fatto immediatamente rovesciare la nave sul fianco.
D’altra parte non era neanche possibile seguire passivamente la direzione del vento, in quanto la Inceptio si sarebbe trovata a salire e scendere sulle onde che diventavano sempre più alte; se la nave non si fosse spaccata in due trovandosi sospesa fuori dall’acqua sulla cresta di un’onda, sarebbe certamente affondata quando fosse scesa dall’altra parte con la prua rivolta inesorabilmente verso il basso.
L’unica speranza di salvezza era mantenere una rotta angolata rispetto al vento, ed era quello che Sobadako stava cercando di fare: con la velatura ridotta al minimo e continuamente regolata dai marinai, la Inceptio stava cavalcando il vento, tagliando le onde con un angolo sufficientemente stretto da non rischiare di spezzarsi per il beccheggio, ma non così grande da rischiare di ribaltarsi su un fianco.
Il margine di sicurezza era però veramente minimo e, se il vento avesse rinforzato ancora, non ci sarebbe stata più alcuna possibilità. Per il momento la loro sorte era nelle mani degli dèi e della straordinaria perizia ed esperienza del gubernator e dei suoi marinai.
Le ore si sommarono alle ore, e divennero giorni. Il vento finalmente cadde all’alba del quarto giorno, lasciando la Inceptio praticamente ferma in mezzo a un mare assolutamente vuoto, con un equipaggio di remiges sfiniti dal mal di mare e di marinai stravolti dalla stanchezza.
– Secondo voi dove siamo finiti? – Fu Aktis a domandare ad alta voce quello che tutti si stavano chiedendo.
– Dove pensi che siamo? – Gli rispose Gibil: – Siamo persi in mezzo ad Oceano!
– Mmm… Sì, certo. Permettimi di riformulare la domanda: secondo voi da che parte è la costa?
Prima che Gibil potesse intervenire con un altro commento sarcastico gli rispose Claudio Tolomeo: – Secondo i miei calcoli dovrebbe essere a circa otto o novecento miglia verso ovest-nordovest.
– E tu come faresti a saperlo? – Lo aggredì Gibil: – Siamo qui in mezzo al mare, senza un punto di riferimento in vista, come puoi dire dove si trova la terra?
– Beh, in realtà è semplice: – gli rispose l’astrologo senza scomporsi – io e i miei assistenti abbiamo cercato di tenere il conto di quante miglia abbiamo percorso da quando abbiamo perso di vista la terra e della direzione approssimativa del vento. È tutto segnato qui su questa carta…
– Ma come potete misurare la distanza percorsa se non ci sono punti di riferimento visibili? – Chiese Dominico dubbioso.
– Abbiamo due metodi, – cominciò a spiegare Tolomeo – nessuno dei due è molto preciso, ma in mancanza di meglio… Il primo è molto semplice: lasciamo cadere in mare dalla poppa della nave un blocco di legno legato a una fune lunga quattrocento cubiti arrotolata sul ponte. Mentre la nave continua a essere spinta in avanti dal vento, il galleggiante resta sostanzialmente fermo dove lo abbiamo gettato, e quindi la fune si srotola più o meno rapidamente in proporzione alla velocità della nave; noi misuriamo quanto tempo ci mette a srotolarsi tutta e da questo possiamo calcolare a che velocità stiamo navigando.
– Ma… – Cercò d’interloquire Gibil.
– L’altro metodo – continuò Tolomeo ignorando l’interruzione – utilizza l’odometro, uno strumento che è stato installato su mia richiesta prima della partenza da Olisipo. Si tratta di quella ruota a pale che è montata sul fianco sinistro della poppa, costruita sullo stesso modello di quelle dei mulini ad acqua; quando la nave si muove in avanti trascina con sé la ruota che gira come se fosse l’acqua a muoversi all’indietro. Un sistema di ruote dentate ci permette di contare quanti giri ha effettuato la ruota in un dato intervallo di tempo e quindi a che velocità si muove la nave.
– E come fate – intervenne Caledonio sempre interessato ai particolari tecnici – a misurare questi intervalli di tempo in maniera sufficientemente precisa? Con una clessidra?
– Una cosa del genere, ma molto più raffinata. L’horologium che usiamo è stato progettato da Ktesibios quasi quattrocento anni fa e perfezionato recentemente da un certo Heron di Alexandria, lo stesso che ha migliorato l’odometro a ruota di Archimedes di cui vi stavo parlando. Questo horologium permette di misurare le ore solari, cioè quelle che usiamo normalmente basate sull’alba e il tramonto, e le ore astrali che sono invece quelle che regolano il movimento degli astri.
– Ma il movimento degli astri è lento, – osservò ancora Caledonio – quindi il tuo horologium deve misurare tempi molto lunghi; questa nave invece è veloce: la tua fune di quattrocento cubiti si srotolerà molto rapidamente. Come fai a misurare questi intervalli così brevi con una precisione sufficiente?
– Questa è proprio una delle migliorie apportate da Heron. Nell’horologium di Ktesibios l’acqua passava attraverso un foro praticato nel fondo di un serbatoio, e il flusso era mantenuto costante mediante opportuni accorgimenti; nel nostro è invece possibile sostituire il diaframma attraverso cui passa l’acqua con uno più grande o più piccolo, si tratta di piccole lastre di vetro con fori di diverse dimensioni praticati al centro, e quindi modificare a piacimento la velocità con cui avanza l’horologium.
– Quindi, – riprese Dominico – se ho capito bene puoi misurare con precisione anche intervalli di tempo molto piccoli?
– Proprio così. – Rispose Tolomeo compiaciuto: – L’ora astrale corrisponde alla durata di un’ora solare nei giorni di equinozio; noi astrologi la dividiamo in sessanta gradi maggiori che, a loro volta, si dividono in sessanta gradi minori. Con il mio strumento posso misurare intervalli lunghi molte ore, fino a ventiquattro che è la durata di un giorno e una notte, oppure molto piccoli fino a pochi gradi minori. Tra l’altro, – aggiunse rivolgendosi a Gibil – pare che lo stesso Ktesibios avesse costruito un horologium del genere per il medico Herophilos suo contemporaneo, che lo utilizzava per misurare la durata dei battiti del polso dei suoi pazienti. Vedi quindi che si tratta di strumenti che potrebbero essere utili anche per la tua professione, oltre che per la mia.
– Bene Claudio Tolomeo, tutto questo è sicuramente molto interessante. – Tagliò corto Dominico: – Per tornare al nostro problema, dicevi che secondo te siamo quasi mille miglia a sudest di dove eravamo quando la tempesta ci ha raggiunto?
– Sì, trierarca, ma è una valutazione abbastanza approssimativa: il cielo è stato sempre coperto, quindi abbiamo potuto solo fare una stima abbastanza vaga della direzione in cui stavamo andando e il vento ha interferito sicuramente anche con le misurazioni della nostra velocità…
– D’accordo, è comunque sempre meglio che niente. – Concluse Dominico con filosofia: – Prenderemo per buona la vostra “valutazione approssimativa”, visto che non abbiamo niente di meglio, e ci dirigeremo verso nordovest. Mille miglia sono tante; se dovremo farle tutte a remi arriveremo al limite delle nostre scorte: sarà meglio gettare le reti per la pesca e prepararci a raccogliere l’acqua piovana, sperando che piova ancora un po’.