6 – Contatto


Londra, venerdì 14 aprile 2023

Capita di rado, ma stamattina Reinaldo arriva in anticipo in ufficio. Si immerge nel lavoro e per le otto e trenta ha finalmente terminato la relazione sulle travi del Dorset; la sta inviando per email al responsabile delle Collezioni Romano-Britanniche quando bussano alla porta dello studio.
– Reinaldo?
– Entra pure Andrew. Un attimo solo e sono da te.
Andrew Hyde entra nell’ufficio di Reinaldo. Il locale è abbastanza piccolo, d’altra parte va bene così perché Reinaldo passa la maggior parte del suo tempo in laboratorio, e scrupolosamente in disordine: una parete coperta di scaffali, tre poltroncine da ufficio e una scrivania costituiscono tutto l’arredamento e tutte le superfici orizzontali sono coperte di libri, riviste e carte, accumulati apparentemente alla rinfusa.
– Ho letto la tua email di ieri sera, dicevi che hai trovato qualcosa.
– Effettivamente sì, ma non quello che speravo di trovare. – Esordisce Reinaldo: – Tanto per cominciare, la lettera di Loftus è autentica.
– Te l’avevo detto che la calligrafia era la sua!
– Sì, ma non riuscivo a crederci. D’altra parte la carta e l’inchiostro sono dell’epoca giusta, e non ci sono tracce di abrasioni o manomissioni sul foglio. Quindi o è un falso realizzato incredibilmente bene, da un esperto con accesso a materiali e attrezzature notevoli, oppure è autentica. E questo ci porta al secondo problema.
– L’anello…
– Esattamente. Se la lettera è autentica significa che mentre Loftus la scriveva, nel 1852, aveva in mano questo anello o bracciale, o qualcosa di molto simile. La descrizione che ne dà è accurata e corrispondente al pezzo che abbiamo in mano.
Andrew si gratta distrattamente il mento: – Quindi o l’anello è autentico, oppure qualcuno ne ha fatto un falso o un duplicato basandosi sulla descrizione di Loftus.
– Pensi che qualcuno possa aver rubato l’originale sostituendolo con questa copia?
– Mmm… No, non ha nessun senso. Prima di tutto non ci sarebbe stato nessun motivo di fare tanta fatica: se qualcuno voleva rubare l’anello, poteva semplicemente prenderlo insieme alla lettera, nessuno se ne sarebbe mai accorto. Il contenuto dello scatolone in cui l’ho trovato non è mai stato catalogato, se fosse stato sottratto nessuno avrebbe mai saputo che era stato lì. Inoltre, se per qualche motivo il nostro ipotetico signor X voleva farne una copia, perché farla così platealmente falsa? Avrebbe potuto realizzare una copia in legno, laminarla in bronzo e poi ossidarla un po’ per farla sembrare più antica. Perché farne invece una copia in titanio massiccio?
– Non lo so… L’unico motivo plausibile che mi viene in mente è proprio di metterti, o metterci, in imbarazzo con un oggetto impossibile. Torniamo insomma all’ipotesi di qualcuno che ha organizzato uno scherzo ai tuoi danni.
– Improbabile, troppo complicato…
– Ricordi cosa diceva Sherlock Holmes sull’improbabile e l’impossibile, vero?
– Certo, ma…
– Oppure, come dicevo ieri sera a Max, è stato il Dottore che ha portato quest’oggetto indietro nel tempo con il suo Tardis.
– Cazzo, Reinaldo, ti avevo detto di tenere riservata questa faccenda!
– Sì, lo so, ma non preoccuparti. Ne ho parlato solo con questo mio amico, Max Ferrara, ieri sera al pub. È un informatico, lavora nel settore privato, non ha nessun contatto con il Museo o con gli ambienti accademici; non c’è rischio che ti sputtani andando a parlare del fatto che stai studiando un oggetto abbandonato duemila anni fa da un UFO.
Vengono interrotti da un giovane assistente che bussa e si affaccia alla porta: – Le porto il caffè capo?
– Sì grazie. Anche per te, Andrew? – Chiede Reinaldo: – Nero e amaro se ricordo bene.
– Sì, grazie.
– David, saresti così gentile da portare un caffè anche per il dottor Hyde?
Dopo che l’assistente è uscito, Andrew riprende il discorso: – Preferirei che non parlassi in giro di questa faccenda. Comunque, nella tua email dicevi che volevi propormi un ultimo esperimento.
– Ah, sì, certo. – Reinaldo apre un cassetto della scrivania e ne prende l’anello e le lastre radiografiche: – Ecco, queste sono le radiografie che ho fatto mercoledì al bracciale. Ieri sera mi sono accorto di un dettaglio che mi era sfuggito; guarda la lastra frontale, vicino al centro dell’arco della C.
Andrew prende la pellicola e la studia per qualche secondo controluce: – Intendi queste due righine scure trasversali? Pensavo fosse un difetto della lastra.
– A prima vista l’avevo pensato anch’io. Poi ho guardato l’originale. – Passa il bracciale ad Andrew attraverso la larghezza della scrivania: – Se guardi bene, nella posizione corrispondente ci sono due sottilissimi graffi che fanno un giro intero intorno al pezzo. A giudicare dall’ombra che hanno lasciato sulla lastra, si direbbe che non siano incisioni superficiali, ma che siano due scanalature profonde circa tre millimetri e larghe tra uno e due decimi di millimetro.
– Un altro mistero. Se questo è un falso, perché prendersi la briga di fare una cosa del genere?
– Non ne ho idea. Ma queste scanalature ci potrebbero dare la possibilità di datare il manufatto, o almeno fissare un termine ante quem: sembrano solo due graffi superficiali perché le scanalature sono otturate da del sedimento che le ha riempite fino alla superficie. Se per caso si tratta di materia organica, possiamo estrarla e datarla con il radiocarbonio.
– E perché non l’hai già fatto? Potrebbe essere la prova definitiva!
– Sì e no. Potrebbe essere materiale inorganico, e allora non ci direbbe niente; se invece è materiale organico, possiamo sapere quando si è depositato, ma questo non ci dice nulla sulla possibilità che il manufatto sia ancora più antico. Comunque sì, ritengo che valga la pena di provare, ma prima volevo chiederti il permesso, visto che è una prova invasiva.
– Hai ragione, hai fatto bene a chiedere. Però se è un falso, il problema non si pone, mentre se dovesse essere autentico credo che questo sia l’unico modo che abbiamo per dargli una datazione e avere una possibilità di capire da dove viene. Quindi vai pure avanti, e fammi sapere che risultati ottieni.
– Ovviamente, questo è il tuo oggetto misterioso.


Considerate le dimensioni della fenditura, non può esserci molto materiale da recuperare, quindi Reinaldo si mette d’impegno per cercare di sprecarne il meno possibile.
Con il bracciale chiuso in una busta di plastica, si sottopone alla noiosa procedura di accesso al laboratorio in camera pulita; quando attraversa l’ultima porta a tenuta d’aria ed entra nella camera a pressione positiva ha addosso tutta la bardatura obbligatoria: soprascarpe usa-e-getta, camice, mascherina, cuffia, guanti. In camera pulita si cerca di minimizzare qualunque sorgente di contaminazione, dalla forfora alle goccioline di saliva portate dal fiato.
La prima operazione consiste nello spazzolare il bracciale, naturalmente sotto cappa aspirante, in modo da rimuovere tutta la povere presente sulla superficie e anche, con estrema cautela, lo strato più superficiale del sedimento all’interno della fenditura, quello che si può dare per scontato che sia stato contaminato durante e dopo lo scavo; quando arriva a circa due decimi di millimetro di profondità si considera soddisfatto.
Adesso viene la parte più delicata. Con un ago di rame-berillio da un decimo di millimetro, Reinaldo comincia a grattare via il materiale dalle fenditure, facendone cadere la polvere dentro una capsula di Petri. Arrivato a una profondità di circa due millimetri trova il vuoto. Alla fine la sua fatica gli ha fruttato un mucchietto quasi invisibile di polvere bruno-grigia, la bilancia gli dice che sono poco più di quindici milligrammi.
Oh, beh, li faremo bastare.
Raccoglie la polvere in due fiale porta campioni: metà per la datazione 14C e metà per l’analisi spettrografica; intasca nuovamente il bracciale e si sottopone alla procedura per uscire dalla camera pulita, per fortuna più rapida dell’entrata.
Un’occhiata all’orologio gli dice che sono già le tre di pomeriggio: – E anche oggi abbiamo saltato il pranzo, sembra che stia diventando un’abitudine…
Dopo il solito sandwich al bar si rimette al lavoro.
Prende una delle due fiale, macina finemente il suo contenuto e lo versa insieme a un solvente in una provetta che viene infine messa in un sonicatore, una macchina a ultrasuoni che velocizzerà la dissoluzione del campione nel solvente. Questo campione andrà nello spettrofotometro per determinarne la composizione chimica.
Mentre il sonicatore compie il suo lavoro, Reinaldo passa alla preparazione del secondo campione per il MICADAS, lo spettrografo di massa per la datazione con radiocarbonio. La polvere viene messa in un’apposita fiala di vetro al boro, insieme a filamenti di ossido di rame. La fiala viene poi messa in forno a una temperatura di circa ottocento gradi, in modo da ossidare tutta la materia organica e trasformare il carbonio in essa contenuto in ossido. In una seconda fase questo viene poi ridotto per formare un sottile strato di grafite sulla superficie di granuli di ferro che vengono messi nello spettrografo di massa.
Mentre uno dei campioni cuoce in forno e l’altro si dissolve lentamente nel sonicatore, Reinaldo ne approfitta per fare una telefonata.
– Qui Dargan.
– Shauna? Ciao sono Suarez. Ho visto il tuo messaggio, hai fatto un buon viaggio?
– Ah, ciao Reinaldo. Sì, tutto bene, grazie. Sono arrivata stamattina da Houston e sono un po’ scombussolata per il jet lag, secondo il mio orologio interno è a malapena ora di pranzo… A parte questo tutto bene.
Shauna Dargan era irlandese di nascita, ma ormai viveva quasi sempre in Texas dove lavorava alla sede centrale della Rare Earths & Metals Corporation, sfruttando la sua una laurea in ingegneria mineraria e i più di vent’anni di esperienza sullo sfruttamento dei minerali a basso tenore. Reinaldo l’aveva conosciuta quasi quindici anni prima, quando lui era appena arrivato in Inghilterra e da allora avevano continuato a mantenersi in contatto e vedersi nelle rare occasioni in cui lei si trovava a Londra.
– Quanto ti fermi a Londra questa volta?
– Almeno un paio di settimane, forse qualcosa di più. Ci sono dei problemi da risolvere alla nostra sede inglese, e hanno mandato anche me perché dobbiamo valutare… – Shauna lascia la frase in sospeso, con un tono imbarazzato.
– … se chiudere definitivamente la filiale? – Completa Reinaldo al suo posto.
– Forse… Le cose qui in UK non stanno andando così bene, tra le restrizioni all’immigrazione e la nuova legislazione fiscale… Ho sentito qualcuno ai piani alti parlare di rilocare a Dublino.
– Onestamente non potrei darvi torto. Senti, visto che sei qui per qualche giorno, che ne dici se ci vediamo una di queste sere?
– Volentieri. Facciamo lunedì sera? Così ho il tempo di rimettermi in pari con i fusi orari.
– Per me va bene, alle cinque esco dall’ufficio e sono libero.
– Allora siamo d’accordo. Passami a prendere alle sei al mio albergo.
– OK, a lunedì.


Alla fine i due campioni sono pronti, e vengono messi negli analizzatori. Ha appena finito di avviare le due macchine quando bussano alla porta ed entrano due uomini con la divisa della sicurezza.
– Ah, è lei dottore. Abbiamo visto la luce e siamo venuti a controllare…
Reinaldo guarda l’orologio, sono le nove e dieci: – Tutto bene. È solo che stavo facendo un paio di analisi che non posso interrompere e c’è voluto più tempo del previsto.
– Nessun problema. Il Museo è già chiuso da quasi un’ora, ma lei si prenda pure tutto il tempo che le serve. Gli allarmi sono già inseriti, quindi quando ha finito venga in guardiola che le apriamo noi la porta esterna.
– Grazie. Penso che ne avrò ancora per un po’, ma non moltissimo.


Il primo degli strumenti a terminare il suo lavoro è lo spettrofotometro. Una rapida occhiata ai risultati gli dice che la sua prima impressione era probabilmente corretta: quella polvere bruna è costituita di materia organica, molto probabilmente sangue secco a giudicare dalla quantità di ione ferroso; umano o animale è impossibile dirlo, con un campione così ridotto.
Bene, questo significa che è probabilmente tutto materiale organico, e quindi la datazione con il radiocarbonio dovrebbe essere abbastanza precisa.
Ma quando il MICADAS gli dà finalmente una risposta, è palesemente assurda, come tutto quello che riguarda quel maledetto oggetto.
Aveva sperato di trovare una datazione molto alta, sostanzialmente indistinguibile dal presente, così sarebbe stato finalmente sicuro di avere per le mani un falso.
Aveva temuto di ottenere un valore di centocinquanta, centosettanta anni prima del presente, quindi dell’epoca dello scavo di Loftus. Questo sarebbe stato veramente strano, perché avrebbe voluto dire che qualcuno era in possesso di titanio metallico cent’anni prima di quanto sarebbe ragionevole pensare.
Non pensava seriamente che il sedimento potesse essere vecchio di duemila anni, cioè l’età della tomba in cui era stato presumibilmente trovato. Questo sarebbe stato assurdo.
E così Reinaldo Suarez, Direttore del Laboratorio di Analisi Chimico Fisiche del British Museum, si ritrova a fissare come un idiota il monitor del MICADAS che lo sta tranquillamente informando del fatto che il campione ha settemilaquattrocento anni, più o meno centoquaranta.
Impossibile. Assolutamente impossibile. Reinaldo non trova una metafora adeguata per immaginare quanto sia impossibile quel risultato!
OK, ricapitoliamo.
L’oggetto è fatto di titanio massiccio, che non è stato disponibile fino alla metà del ‘900.
È stato trovato in una tomba di circa duemila anni fa anni fa, nel diciannovesimo secolo, da un archeologo che l’ha descritto di suo pugno in una lettera che è autentica.
Contiene incrostazioni, probabilmente di sangue, vecchie di più di 7000 anni.
Non può trattarsi di un falso.
La prima parola che viene in mente a Reinaldo è: – alieni.
Sono ormai passate le dieci e mezza, l’ultimo treno per Surbiton parte da Waterloo fra poco più di due ore, e Reinaldo è lì che si rigira il bracciale tra le mani cercando una spiegazione plausibile, una che non chiami in causa le teorie di Von Daniken o Scientology, e neanche i telefilm di Doctor Who.
Improvvisamente si rende conto che la fascia di metallo compresa tra le due scanalature che ha appena ripulito si muove: si tratta di una specie di ghiera ad anello che, fino a poche ore prima e per molti millenni, era stata bloccata dalle incrostazioni.
Guarda meglio, aiutandosi con una lente da tavolo, alla ricerca di simboli, incisioni o qualcosa del genere, ma a parte i lievi segni di corrosione la superficie è perfettamente liscia, è semplicemente una banda circolare di metallo, uguale a tutto il reso del bracciale.
Prova a farla girare per vedere se c’è un fine corsa o qualche posizione particolare: magari è una chiave che permette di separare il bracciale in due pezzi?
No, se così fosse avrebbe visto le linee di frattura nella radiografia.
Continua a fare girare la ghiera finché…
– Finalmente!
Reinaldo si guarda intorno per vedere se è entrato qualcuno, anche se sa bene che i laboratori a quest’ora sono deserti.
– Finalmente! – Ripete la voce: – È passato tanto tempo…

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