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Sono passati trentatré anni dal Giorno del Disastro e in questo periodo Eridu è diventata completamente irriconoscibile. Il villaggio di poche e sparse capanne di pescatori, con i piccoli orti coltivati a legumi e granaglie e i pochi maiali e pecore che scorrazzavano liberamente, ha lasciato il posto a un abitato che, pur non essendo molto più esteso del precedente, tradisce l’esistenza di una progettazione, un assetto che si può già definire urbano.
In questi anni con l’aiuto di Ninsar gli Unsangiga hanno rivoluzionato la loro agricoltura primitiva introducendo nuove colture, tra cui quella del lino, e migliorando quelle esistenti ma soprattutto imparando ed applicando i principi della rotazione delle colture e della concimazione del terreno utilizzando il letame degli animali domestici; animali che adesso vengono custoditi in robusti recinti, protetti dai predatori e non più a rischio di perdersi pascolando lontano dal villaggio. E in soli trentatré anni si vede già che il bestiame, oltre a essere meglio nutrito, è più sano e robusto: il semplice espediente di selezionare i capi giovani, macellando quelli più piccoli e deboli e lasciando riprodurre solo gli esemplari migliori, ha rapidamente migliorato le razze e portato a una maggiore produttività dell’allevamento.
Nel frattempo Enki, da parte sua, ha avviato un ampio programma di irrigazione, mediante la realizzazione di una rete di canali che portano l’acqua del Grande Fiume a disperdersi capillarmente nei nuovi campi coltivati; questo ha permesso agli Unsangiga di passare a forme più intensive di agricoltura, e i raccolti di frumento e miglio sono ormai sovrabbondanti.
L’altra importante risorsa naturale che ha appena cominciato a venire sfruttata è costituita dagli affioramenti naturali di bitume. Enki ha insegnato agli indigeni a raccogliere il bitume dalle pozze in cui si accumula spontaneamente e come usarlo per cementare e impermeabilizzare i mattoni di argilla cruda, seccata al sole, per costruire edifici più robusti di una capanna.
Enki sta ispezionando il nuovo canale, quasi tre chilometri di scavo per prelevare l’acqua dal Grande Fiume abbastanza a monte da ottenere un dislivello sufficiente per l’irrigazione, quando arriva la chiamata dall’Osservatore: – Enkitamedisa, chiamo per informarti che tua moglie Ninsardoredisa è vicina al parto; il travaglio dovrebbe cominciare entro due ore.
I quattro Unsangiga che lo accompagnano si inginocchiano a terra e mormorano frasi incomprensibili; in passato hanno sentito raccontare dagli anziani del loro clan che Enki e Ninsar a volte parlano con gli spiriti, ma sentire la voce disincarnata dell’Osservatore è comunque uno shock per loro, e il fatto che non capiscano una singola parola della lingua del Popolo non aiuta certo: un conto è aver saputo degli spiriti per sentito dire, ben diverso è udirne di persona la voce. Dopotutto, è vero che gli anziani non mentirebbero mai, ma non è che uno debba davvero credere proprio a tutto quello che gli viene detto.
Enki osserva un attimo le quattro figure inginocchiate e poi risponde: – Ricevuto, Osservatore. Aprimi un portale, cento metri a nord della mia posizione attuale; è inutile terrorizzare ulteriormente questi poveretti. – E poi, rivolgendosi agli Unsangiga ancora prostrati: – Mi dispiace, ma temo che la nostra esplorazione per oggi sia terminata. Devo assentarmi per qualche giorno, voi tornate a Eridu e dite agli anziani che sarò di ritorno con la prossima luna nuova.
I quattro annuiscono ed Enki si avvia verso il punto in cui l’Osservatore ha già aperto il portale che gli permetterà di raggiungere la Luna. Da quando la gravidanza di Ninsar aveva raggiunto il sesto mese, avevano deciso di comune accordo che lei si trasferisse nella base lunare, in modo da approfittare dei vantaggi della gravità ridotta, minimizzare i rischi di incidenti o malattie infettive e avere sempre a portata di mano le sofisticate tecnologie mediche sotto il controllo dell’Osservatore.
Questa sistemazione aveva creato un curioso equivoco, che Enki non era riuscito in nessun modo a chiarire, con la popolazione locale: qualche giorno dopo il trasferimento di Ninsar sulla Luna, gli Unsangiga si erano accorti della sua assenza prolungata e avevano chiesto a Enki, con cautela e imbarazzo, dove fosse andata sua moglie.
Enki aveva tranquillamente risposto che era andata sulla Luna a causa dello stato avanzato della gravidanza ed era rimasto interdetto dalle loro reazioni a questa informazione. Gli uomini con cui aveva parlato si erano precipitati a riferirlo agli altri e, nel volgere di una mattina, tutti gli abitanti di Eridu erano in lutto: gli uomini parlavano poco e a bassa voce, i bambini erano stati chiusi nelle case, da cui si sentivano i lamenti delle donne per la scomparsa di Ninsar.
Fu solo il giorno dopo che Enki riuscì a parlare della cosa con Erlu, uno dei suoi assistenti (o forse sarebbe meglio dire “sacerdoti”?) nei lavori di irrigazione: – Mi puoi spiegare cos’è tutta questa follia? Perché tutte le donne di Eridu stanno piangendo?
– Piangono per la scomparsa della divina Ninsar, Signora delle Piante. Nei loro lamenti ricordano i giorni in cui Lei camminava in mezzo a noi e ci dava saggi consigli, e rimpiangono il fatto che quei giorni siano ormai finiti.
– Ma Ninsar non è morta! – Era sbottato Enki: – Ve l’ho detto ieri che è andata sulla Luna a causa della gravidanza.
– O Enki, Padrone delle Acque, so che l’hai detto, perché ero tra quelli che ti hanno ascoltato. Ma vedi, noi sappiamo che queste cose succedono, l’abbiamo visto purtroppo più volte: quando una donna si approssima al parto, spesso quando mancano solo due o tre lune alla nascita, capita a volte che muoia improvvisamente e il suo spirito raggiunge sulla Luna quelli degli antenati.
– Sulla Luna? – Chiese Enki perplesso.
– Sì, Signore, è lassù che vanno gli spiriti dei morti.
– Ti ripeto che mia moglie non è morta. È sulla Luna, viva, per riposarsi in attesa del parto. Tornerà a Eridu fra tre o quattro lune, con nostro figlio.
– Perdonami Enki, Padrone delle Acque, ma anche se non posso certo mettere in dubbio le tue parole, non riesco a credere a quanto dici: nessuno è mai tornato dalla Luna, quando un uomo muore, purtroppo resta morto; e nessuno è mai andato sulla Luna da vivo, e nessuno mai lo potrà fare.
Alla fine Enki aveva rinunciato ad insistere, per evitare di metterli nella spiacevole situazione di dover scegliere tra rifiutare le loro convinzioni religiose o pensare che lui stesse mentendo. Adesso, dopo quasi tre mesi, ripensa a tutto questo mentre attraversa il portale ed entra nella sala di Disa: – Beh, fra qualche giorno torneremo insieme, con il bambino, e quindi finalmente l’equivoco sarà chiarito.
Il parto, assistito dall’Osservatore mediante i suoi remoti, procede senza problemi e al neonato, un maschio, viene dato il nome Naannadoredisa prendendo, come sempre avviene, i nomi del clan e della tribù della madre.
Sei giorni dopo la nascita di Naanna, genitori e infante tornano orgogliosamente a Eridu. Se Enki aveva sperato che il ritorno di Ninsar avrebbe chiarito definitivamente che il lutto per la sua morte era stato quantomeno prematuro, si sbagliava di grosso!
Nel giro di poche ore tutti gli Unsangiga vengono informati della novità incredibile: la dea Ninsar è tornata dalla morte e ha portato con sé un figlio, nato sulla Luna. O nato dalla Luna. O forse è il figlio della Luna…
Se ci fosse stato ancora bisogno di ribadire la natura divina degli stranieri, questo prodigio toglie ogni dubbio al più scettico degli Unsangiga. E in realtà non ce n’era bisogno: non solo gli stranieri conoscevano e facevano cose mai viste prima, non solo erano più alti e belli del più alto e bello degli Unsangiga, ma i più anziani ad Eridu ricordavano bene come fossero arrivati quando loro erano molto più giovani. Loro nel frattempo erano invecchiati, gli stranieri no.
E ora, con il ritorno di Ninsar dalla morte e con il fatto innegabile che suo figlio, Naanna, è anche Figlio della Luna, la faccenda è definitivamente chiusa.
La leggenda continuò a crescere.
Le cose apparentemente riprendono il loro corso normale: i contadini lavorano i campi; i pastori accudiscono le greggi; Enki guida e istruisce le squadre addette allo scavo e alla manutenzione dei canali di irrigazione e alla raccolta e lavorazione dell’argilla e del bitume per le costruzioni; Ninsar dà saggi consigli per lo sviluppo di nuove colture; Naanna mangia, strilla e cresce.
Circa sei mesi dopo la nascita di Naanna, un pomeriggio due uomini si presentano alla casa di Enki e Ninsar, una delle pochissime strutture in mattoni allora esistenti a Eridu, e chiedono di parlare con Ninsar, Signora delle Piante.
Ninsar, che sta allattando l’infante Naanna, li riceve: – Benvenuti, ospiti, nella casa di Enki. Posso chiedere cosa vi porta a cercarmi?
– O Ninsar, Signora delle Piante, io sono Mardil di Eridu, figlio di Mandar. – Comincia il primo di loro: – Devi sapere che mio figlio Mandar è morto dieci lune fa, annegato mentre pescava nel Grande Fiume, e ha lasciato sua moglie Ningal incinta del loro primo figlio.
– Mia figlia! – Interviene un altro: – Ningal ha partorito una bambina, due lune e mezzo fa, ma tre giorni fa è stata colta da un attacco di febbre ed è morta nel pomeriggio di ieri.
– La bambina? – Chiede Ninsar.
– No, mia figlia Ningal. La bambina sta bene, ma adesso è orfana sia di padre che di madre.
– Oh, mi dispiace molto. Cosa possiamo fare per aiutarvi?
– Per mia figlia non c’è più niente che si possa fare, ormai è sulla Luna con gli dèi. – Lancia uno sguardo tra il reverente e il terrorizzato a Naanna, il Figlio della Luna, che continua a poppare inconsapevole: – Il problema è nostra nipote: Né io né Mardil abbiamo altri figli che possano adottarla, quindi dovremmo chiedere a qualche altra coppia del nostro clan.
Ninsar annuisce tristemente. Le regole della tribù richiedono che, in mancanza di parenti stretti dei genitori, gli orfani vengano adottati da una coppia del loro stesso clan; ma è raro che i genitori adottivi siano felici di questo obbligo, soprattutto nel caso di un’infante, e quindi la bambina può aspettarsi, nella migliore delle ipotesi, di crescere in una famiglia che non la desiderava affatto.
È Mardil che trova per primo il coraggio di riprendere la parola: – E quindi, Signora, ci chiedevamo se tu… Se voi… Cioè se tu e tuo marito Enki, Padrone delle Acque, potevate accettare nostra nipote come dono. La bambina non apparterrà più al nostro clan ma sarà sacra a Voi, se sarete così generosi da accettarla.
Quando Enki rientra verso il tramonto, Ninsar riferisce la proposta che ha ricevuto e i due la discutono a lungo. Entrambi comprendono i motivi dei nonni della bambina, il fatto che date le circostanze sarebbe difficile per lei avere un’infanzia normale, adottata da estranei. D’altra parte l’idea di accettare la piccola come un sacrificio alla loro presunta divinità li infastidisce e imbarazza.
Alla fine decidono di accettare la proposta, di adottare la bambina e di trattarla come se fosse figlia loro, educandola come una del Popolo. Dal nome di sua madre, Ningal, la chiamarono Ningallareunsan, cioè Ningal del clan Lare, che vuol dire “nuovo”, della tribù Unsan, nome ottenuto abbreviando il nome Unsangiga; non si è mai vista una tribù con un nome più lungo di due sillabe!
Ninsar ed Enki si rendono conto che più di tutto il resto, questo è il segno della definitiva accettazione da parte loro del fatto che il passato era chiuso e che bisognava guardare al futuro, fondare nuove tribù e nuovi clan e costruire un nuovo Popolo.
Eridu, 5497 aC
Sono passati altri quarantadue anni e Ninsar ed Enki hanno avuto altre due figlie; questo è già di per sé un segno di quante cose siano cambiate dopo il Disastro rispetto al rigido sistema di controllo demografico che vigeva a Tiamat, mediante il quale la popolazione era rimasta stabile per ottomila anni. Per ottenere questo, ogni donna doveva avere in media due figli; avere un terzo figlio era qualcosa di abbastanza eccezionale, necessario per compensare il caso di qualcuna che, per scelta o necessità, non arrivava ad avere il secondo figlio. L’idea di avere quattro figli era così inconcepibile, un tabù così radicato, che Ninsar ed Enki non riescono a romperlo sebbene si rendano perfettamente conto che le circostanze sono cambiate.
Ventuno anni dopo Naanna, nato nel trentatreesimo anno dopo il Disastro, nasce Uttudoredisa e altri diciotto anni dopo Nintidoresida; nel frattempo altri quattro orfani Unsangiga vengono adottati nella nuova tribù Unsan.
Poco dopo la nascita di Ninti, Naanna e Ningal si sposano, formando così la prima coppia mista della storia nota del Popolo, il primo matrimonio con uno straniero. Era chiaramente prevedibile e inevitabile: Ningal era stata allevata dai suoi genitori adottivi in tutto e per tutto come una figlia, poteva anche essere geneticamente una straniera, ma dal punto di vista culturale era una del Popolo; e Naanna non poteva certo sposare una delle proprie sorelle naturali, né una donna di Eridu cresciuta nella cultura degli Unsangiga.
Sono ormai passati settantacinque anni dal Disastro e degli antichi villaggi dei pescatori Unsangiga alla foce del grande fiume non resta più neanche il ricordo. Al loro posto sorge adesso quella che si potrebbe già chiamare già una piccola città: un centinaio di edifici, disposti in una regolare griglia rettangolare, circondati da quasi quattromila ettari di campi coltivati e pascoli, punteggiati fittamente dalle case rurali, dove abita la maggior parte dei lavoratori dei campi.
Naturalmente la maggior parte delle case sono poco più che capanne: robusti pali di legno sostengono muri realizzati con tralicci di canne rivestiti di fango, e un tetto coperto di fascine di paglia. Ma cominciano a comparire qua e là alcuni edifici realizzati in mattoni di argilla cementata con bitume.
Tra questi edifici in muratura spicca quella che gli Unsangiga chiamano la Casa di Enki o anche Abzu, la Casa delle Acque: la casa in cui Enki e Ninsar vivevano quarant’anni prima si è estesa in una grande costruzione in mattoni a tre piani, ciascuno un po’ più piccolo di quello inferiore, che è quindi l’edificio più alto della città.
Ninsar, Enki e i loro figli e figlie abitano il primo piano della Casa, mentre al secondo piano sono conservati gli archivi cittadini, quelli che in termini moderni potremmo chiamare anagrafe, catasto e fisco. Il piano terra è invece una via di mezzo tra un tempio e un ufficio amministrativo: qui vengono svolte le attività della nascente burocrazia necessaria per il funzionamento di una città, con tutte le necessarie differenziazioni di ruoli tra contadini e artigiani, operai e dirigenti. È qui che si decide quanta parte del raccolto destinare alla semina dell’anno successivo, quanti cereali distribuire mensilmente alla popolazione, quanti utilizzarne nella fabbricazione della birra (altra novità che ha contribuito a consolidare l’idea della natura divina di Enki).
Lo stuolo di funzionari addetti a pesare, misurare, immagazzinare, contabilizzare e, in sostanza, a prendere le decisioni amministrative, costituisce il tramite tra Ninsar ed Enki e la popolazione di Eridu; Enki li considera funzionari, ma il popolo li chiama sacerdoti.
Il miglioramento delle tecniche agricole e di conservazione dei prodotti ha fatto sì che la popolazione degli Unsangiga, tra l’abitato centrale e la campagna circostante, sia cresciuta fino a quasi tremila individui, più di dieci volte quella che raggiungeva tre generazioni prima, senza che il loro territorio si sia significativamente ampliato; e, contemporaneamente, le loro condizioni di vita sono molto meglio delle precedenti.
Ma questa improvvisa ricchezza di Eridu comporta anche dei problemi,
I granai ben forniti, le grandi mandrie al pascolo e il grande dono di Enki, Padrone delle Acque, la birra, sono un richiamo irresistibile per le tribù che abitano i territori confinanti. Una banda di razziatori può saccheggiare una fattoria e portarsi via un intero gregge di pecore, prima che la notizia dell’incursione raggiunga la città e si possa organizzare una spedizione punitiva.
I campi e i pascoli periferici sono diventati posti rischiosi, soprattutto quelli a nord e nordovest, la direzione da cui sempre più spesso arrivano bande in cerca di bottino.
Vengono apprestati fuochi di segnalazione per comunicare più rapidamente in caso di attacco; nelle zone più periferiche vengono create piccole guarnigioni di uomini armati, costantemente pronti ad intervenire in caso di bisogno; un intero settore dell’amministrazione del nascente Stato viene dedicata alla logistica e ai rifornimenti per questa nuova milizia.
Per la prima volta nella storia del Popolo sono necessari preparativi militari per la difesa.
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