Capitolo 2


Canaria, a.d. IIII Id. Apr. 873 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
La prima metà del viaggio di collaudo è ormai quasi conclusa, fortunatamente senza incidenti di rilievo.
Come previsto alle Idus di Martius siamo partiti da Olisipo e abbiamo seguito verso sud la costa dell’Hispania Lusitania e poi della Baetica fino alle Columnae Herculis. L’attraversamento dello stretto, per quanto breve, ci ha fatto ballare un po’, ma la nave ha retto perfettamente il mare nonostante la forte corrente.
Da Tingi, dopo una breve sosta per fare rifornimento, in tredici giorni abbiamo raggiunto Tamusiga, il porto più meridionale della Mauretania in grado di accoglierci. Qui, dopo aver rinnovato le scorte di acqua fresca e viveri, abbiamo abbandonato la costa e affrontato le aperte distese di Oceano, seguendo la rotta di sudovest.
Finalmente la nostra nave veniva messa davvero alla prova! Dopo poche ore la terra non era più in vista, neanche per le vedette in cima all’albero di maestra. Per quattro giorni abbiamo navigato ininterrottamente: per la maggior parte del tempo abbiamo sfruttato i venti favorevoli, per il rimanente abbiamo usato i remi. In Oceano aperto infatti non è possibile fermarsi per la notte gettando l’ancora.
Per tutto questo tempo Sobadako e i suoi aiutanti hanno mantenuto la rotta giusta fidandosi ciecamente delle indicazioni date loro da Claudio Tolomeo e dai suoi assistenti, che di giorno seguivano con i loro strumenti la posizione del sole e di notte quelle della luna e delle stelle; fortunatamente il cielo è rimasto sempre limpido.
Verso la terza ora del quinto giorno la vedetta ha annunciato di aver avvistato la terra e, seguendo le sue indicazioni, a mezzogiorno abbiamo raggiunto la più settentrionale delle Insulae Purpurariae. Queste isole, due abbastanza grandi e una piccolissima, sono le più orientali delle Insulae Fortunatae; abbiamo gettato l’ancora in una baia sabbiosa alla foce di un piccolo fiume e quattordici uomini sono scesi a terra con le scialuppe cariche di barili vuoti per rinnovare la nostra scorta d’acqua dolce.
Nel pomeriggio, dopo aver caricato sulla nave i barili e recuperato uomini e scialuppe, abbiamo doppiato l’estremità sud dell’isola, passando in vista delle altre due, e abbiamo puntato ovest-sudovest verso Canaria. Quando questa sarà visibile, vireremo verso ovest per raggiungere Ninguaria, la più grande dell’arcipelago e nostra destinazione.

– Terra! Dritto di prua!
Il grido della vedetta abbarbicata sul pennone dell’albero di maestra fece comparire un fugace sorriso sul viso di solito impassibile dell’astrologo.
– Ebbene, Tolomeo, hai vinto la scommessa. – Ammise il medico consegnandogli una manciata di denarii: – Non riesco a capire come tu abbia potuto prevedere con tanta precisione la distanza e la direzione della terraferma ma è la seconda volta che dimostri di esserne capace, quindi non mi lascerò trascinare in un’altra scommessa avventata.
– Non c’è niente di misterioso nei miei metodi, Gibil, – si schermì l’altro – il segreto sta solo nel fare misurazioni accurate utilizzando strumenti precisi e, naturalmente, nel conoscere i movimenti degli astri e le misure della terra.
– Sarà, ma a me sembra ugualmente opera di magia. Siamo qui in mezzo al nulla, senza nessun punto di riferimento visibile, e tu affermi tranquillamente che la terra sarà davanti a noi domani a mezzogiorno
– Sono un astrologo: finché avrò la possibilità di vedere il sole e le stelle, non avrò bisogno di altri punti di riferimento.
La Inceptio si stava rapidamente avvicinando all’Insula Canaria, spinta da un vento favorevole che gonfiava tutte le vele, quando la discussione venne interrotta da un altro grido della vedetta: – Nave! Una nave in vista!


Il comandante della nave pirata era un uomo massiccio con barba e baffi rossi e dai lineamenti celtici o germanici, abbigliato con una semplice tunica, una daga alla cintura e con in testa un elmo conico ornato di corna di uro; si rivolse al suo secondo, un gigantesco etiope: – Eccola là, come ci hanno indicato dalla costa: una grassa navis oneraria che porta il suo carico a Ninguaria.
– Diciamo che spera di arrivare a Ninguaria. – Rispose ridendo l’etiope.
– Proprio così, e non credo proprio che ci riusciranno. – E poi, rivolto all’equipaggio: – Forza con quei remi! Andiamo a intercettare quella nave.


A bordo della Inceptio il trierarca Dominico e il suo equipaggio guardavano increduli la piccola galea pirata puntare contro di loro: – Cosa pensano di fare quegli stolti? – Chiese a nessuno in particolare: – Per quello che posso vedere si tratta di una hemiolia, al massimo potranno esserci una cinquantina di uomini a bordo. Pensano veramente di poter abbordare una trireme armata?
Gli rispose Aktis che era alla sua sinistra: – Secondo me ci hanno scambiati per un’oneraria: dopotutto stiamo andando a vela e i remi sono stati tirati a bordo, e la nostra sagoma vista da lontano non assomiglia certo a una nave da guerra. Probabilmente pensano che saremo una facile preda.
– Che incapaci! – Rise Gibil: – Cosa facciamo adesso?
– Li affondiamo con la ballista di prua, naturalmente. È un nostro preciso dovere eliminare questi predoni dal mare, vero trierarca? – Intervenne Clearco.
– Ehm… La ballista di prua… – Il magister fabrum Caledonio aveva un’aria estremamente contrita.
– Sì?
Intervenne Dominico per salvare il faber dall’imbarazzo: – Ecco vedi, Clearco, la ballista di prua non è ancora stata installata. La dovrebbero montare quando torniamo a Olisipo.
– E gli scorpiones sul disco?
– Anche quelli sono ancora a Olisipo.
– Vuoi dire che abbiamo preso il mare con una nave completamente disarmata? – Clearco era evidentemente scandalizzato all’idea: – Che siamo completamente inermi alla mercé di quei pirati?
– Non direi proprio che la Inceptio sia disarmata, Clearco. – Gli rispose seccamente Dominico: – Ti ricordo che abbiamo a bordo tre centuriae complete.
– E quindi, cosa conti di fare? – Clearco aveva l’aria molto dubbiosa: – Non vorrai mica permettere loro di abbordarci, vero?
– Lo vedrai presto. – E, rivolto all’equipaggio, si godette lo sbigottimento di Clearco mentre ordinava: – Ammainate tutte le vele.


– Sembra che intendano arrendersi, capo: stanno ammainando le vele.
– Molto bene, questo ci renderà le cose più semplici. Naturalmente non cambierà di molto la loro sorte, – aggiunse – ma forse lasceremo vivo qualcuno di loro per venderlo come schiavo. – E sogghignò, rivolgendosi al gubernator: – Punta dritto su di loro, ci stanno aspettando.
La hemiolia dei pirati si stava avvicinando rapidamente all’Inceptio ma, quando si trovava ad appena un quarto di miglio dalla preda, accadde qualcosa che il suo comandante non aveva previsto: – Manannán e Fand! – Gridò: – Quella non è un’oneraria, è una trireme!
L’Inceptio aveva infatti estratto i remi e cominciava ad accelerare rapidamente verso la piccola galea pirata. L’immagine di una enorme trireme lanciata verso di loro gettò nel panico l’equipaggio della nave nemica.
– Tutto a destra! – Urlò il comandante al gubernator: – Cerchiamo di riguadagnare la costa; e voi, datevi da fare con quei remi!


A bordo dell’Inceptio, appoggiato al parapetto anteriore del disco, il trierarca I. Tiberio Dominico sorrideva soddisfatto: – Come prevedevo: si sono resi conto del loro errore di valutazione e adesso sono in preda al panico. Quindici gradi a sinistra, velocità di speronamento! – Urlò al gubernator: – Li andiamo a prendere, non faranno in tempo ad arrivare a riva.
La grande trireme cominciò a virare, mantenendo la maggior parte dell’abbrivio iniziale e accelerando ancora sotto la spinta dei remi. Anticipò il procedere della piccola hemiolia che, pur essendo molto più agile e veloce, non aveva avuto né il tempo né lo spazio necessari per completare la manovra evasiva e la colpì in diagonale, quasi al centro della fiancata.
Il rostro di bronzo massiccio, spinto dall’inerzia del mezzo milione di librae della Inceptio lanciata alla sua massima velocità, sfondò il fianco della nave pirata, ne infranse di netto la chiglia e fuoriuscì dal fianco opposto, quasi senza rallentare. La hemiolia si spezzò in due come un fuscello e andò completamente in pezzi.
– Vedi, – disse quindi a Clearco – questa nave non è certamente agile, veloce e manovrabile quanto una hemiolia, o anche solo una liburna, quindi non avrebbe avuto senso cercare di inseguire quei pirati. Perciò ho sfruttato la loro reazione per fare sì che fossero loro ad andare nel posto giusto al momento giusto. Si sono avvicinati più di quanto fosse saggio per loro, si sono spaventati vedendo i nostri remi e noi li abbiamo distrutti: venerunt, viderunt, vicimus.
Trierarca, – chiese Gibil – raccogliamo i superstiti? – Il mare intorno a loro era infatti costellato dai relitti della galea appena distrutta e tra questi alcuni membri dell’equipaggio pirata cercavano di salvarsi aggrappati a una tavola o a un remo.
– No! – Fu la secca risposta di Dominico: – Riprendiamo la nostra rotta, voglio essere ad Aniaso entro sera.
– Ma trierarca, non possiamo lasciarli affogare così… – Il medico era chiaramente scandalizzato all’idea di abbandonare in mare quella gente, anche se si trattava di pirati.
– Lascia perdere Gibil. – Lo interruppe Aktis: – Il trierarca sta facendo loro un favore lasciandoli in acqua.
– Un favore? Ma sei impazzito? – Gli rispose bruscamente il piccolo medico: – Secondo te sarebbe un favore lasciarli annegare come topi? Se per caso non te ne sei accorto, siamo ancora ad almeno cinque miglia dalla costa.
– Certo, è sicuramente un immeritato trattamento di favore. Quelli sono pirati che hanno cercato di attaccare una nave di Roma, e sono quasi certamente dei peregrini: se li raccogliamo, li attende la crocefissione. – La voce di Aktis era calma e rilassata, come se stesse spiegando a un allievo un problema di aritmetica elementare: – Molto meglio per loro annegare qui, è una morte più rapida e pulita; senza contare che qualcuno di loro potrebbe anche riuscire a tornare vivo a riva.


Il sole era già tramontato e il cielo stava rapidamente diventando scuro quando la Inceptio entrò nel piccolo porto di Aniaso, l’unico centro abitato dell’Insula Ninguaria che potesse quasi meritare il nome di città.
Il porto era costituito da una banchina in opus caementicium e da tre pontili in legno, riparato dalle onde di Oceano da una piccola rientranza della costa rocciosa. Dietro la banchina del porto si allargava il paese: il foro, un paio di templi, un acquedotto e un centinaio di edifici di uno o due piani con le pareti imbiancate a calce. Aniaso era una delle coloniae più recenti, dedotta da meno di cinquant’anni sembrava ancora più un villaggio che una vera città romana.
Alle spalle dell’abitato il terreno cominciava subito a salire nelle prime falde di un complesso di montagne non molto alte che copriva l’intera estremità settentrionale dell’isola. Ma la montagna vera, quella che gli indigeni guanaci chiamavano Eceides, era più a sud e, nonostante fosse a più di cinquanta miglia di distanza da Aniaso, ne dominava il panorama.
Dopo aver ormeggiato la nave e scaricato dalla stiva quanto rimaneva delle provviste deperibili, l’equipaggio si avviò verso il castellum che sorgeva a circa un centinaio di passi dal porto, lasciando di guardia sulla Inceptio solo una schola di una decina di milites. Erano già stati presi accordi in precedenza per alloggiare al castellum il personale civile della spedizione oltre alle tre centuriae.
Il castellum era impostato sul modello di un castrum legionario in miniatura: un vallum quadrato di pali di legno era costruito sulla sommità di un agger alto una dozzina di piedi, circondato da un fossum quasi altrettanto profondo e aveva a ciascuno dei suoi quattro angoli una torre di guardia, sempre in legno: poco più che una piattaforma sopraelevata coperta da un tetto spiovente.
All’interno dell’agger era racchiusa un’area di circa sei iugera divisa in aree rettangolari, le strigae, da strade inghiaiate perpendicolari tra loro. In alcuni di questi settori e soprattutto al centro, nella zona dei latera praetoria, erano state costruite strutture permanenti in legno, ma per la maggior parte erano vuoti o occupati da gruppi di tende.
L’equipaggio della Inceptio, guidato da Dominico e Aktis, marciò fino al castellum e venne accolto da un paio di milites di guardia alla Porta Praetoria i quali li diressero all’annoiato praefectus castrorum, Publio Memmio Regolo.
Dopo un rapido scambio di convenevoli di rito, dai quali risultò evidente che Memmio Regolo non era affatto entusiasta di accogliere nel suo castellum (che lui chiamava “castrum”) una cohors di remiges, venne assegnato loro lo spazio di due strigae nella retentura, nell’area normalmente riservata agli auxiliares.
Se anche questa sistemazione conteneva un implicito insulto ai remiges dell’equipaggio, nessuno decise di considerarlo tale: le centuriae montarono le loro trenta tende nell’area che era stata loro concessa mentre gli ufficiali, Dominico, Clearco e il personale civile al loro seguito vennero sistemati in maniera molto più confortevole negli scamna tribunorum, negli alloggi messi a loro disposizione dal praefectus.
La sistemazione non era particolarmente scomoda né inusuale, e comunque la loro permanenza al castellum sarebbe stata abbastanza breve. Si sarebbero fermati ad Aniaso solo per il tempo necessario ad effettuare una completa ispezione dello scafo della Inceptio sotto lo sguardo attento del magister fabrum Caledonio, per verificare se il viaggio attraverso Oceano aveva prodotto dei danni strutturali.
Già il giorno seguente sarebbero cominciati i preparativi per vuotare completamente la stiva e ispezionare le strutture; se non fossero emersi problemi seri la nave sarebbe stata pronta a salpare nuovamente alla volta di Olisipo nel giro di una decina di giorni. Non tutto l’equipaggio sarebbe però ripartito con la nave: Arvind, il physiologo della spedizione, non sarebbe tornato con loro.
Arvind era un ometto sulla trentina proveniente dall’isola di Taprobane, in India. Aveva sofferto terribilmente per il mal di mare durante la traversata da Olisipo e non era entusiasta all’idea di ripetere subito l’esperienza; inoltre era affascinato dalla prospettiva di poter studiare la flora e la fauna di quest’isola quasi inesplorata.
Aveva affrontato l’argomento con Dominico ed era stato deciso che, invece di rientrare in Lusitania con la Inceptio come previsto originariamente, Arvind si sarebbe fermato per un anno a compiere le sue ricerche sull’Insula Ninguaria.
Sarebbe stato ospitato nel castellum ed erano stati presi accordi con Memmio Regolo per garantirgli la disponibilità di attrezzature e rifornimenti. Da lì a un anno l’Inceptio sarebbe tornata, durante la prima tappa della missione vera e propria, e lui si sarebbe imbarcato di nuovo per proseguire con loro il viaggio verso sud.

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