Capitolo 9


Germani

Mancano pochi giorni alle Kalendae di Maius e stiamo passando senza fermarci in vista del porto di Lugdunum Batavorum, alla foce del fiume Rhenus. Si tratta di una circostanza dal valore puramente simbolico ma importante: qui, all’estremo limite della Germania Inferior, terminano i paesi che riconoscono l’imperium di Roma e comincia la Germania Magna. D’ora in poi il massimo che possiamo sperare di trovare sono regni o tribù germaniche clientes di Roma e quindi, forse, non eccessivamente ostili; a partire da qui siamo abbandonati a noi stessi, e dovremo contare sulle sole nostre forze fino a che non arriveremo nel caldo Sinus Arabicus, nel migliore dei casi fra più di un anno.
La foce del Rhenus segna anche il punto in cui io e i miei assistenti smettiamo di essere dei semplici passeggeri a bordo della Viatrix, ma dobbiamo cominciare a fare il lavoro per cui siamo stati reclutati e veniamo pagati. La costa dell’Oceanus Germanicus è relativamente conosciuta, almeno nella sua parte più vicina a noi, ma non sono mai stati fatti rilievi con sufficiente precisione; il meglio che abbiamo finora è un calcolo delle distanze tra un luogo e l’altro in giornate di viaggio. Il nostro compito è disegnare una carta della costa che stiamo percorrendo, il più possibile precisa e accurata, vista come a volo di uccello.
Detto così sembra facile, ma vi assicuro che non lo è affatto. Perché una carta sia ragionevolmente affidabile, non solo le distanze tra i vari luoghi che vi sono rappresentati devono essere precise, ma è essenziale che siano esatte anche le direzioni. Se non ne siete convinti, potete provare a fare un semplice esperimento: disegnate tre linee consecutive che rappresenteranno tre tratti di costa, poi provate a partire dallo stesso punto iniziate a disegnare di nuovo il primo tratto, sempre della stessa lunghezza, ma leggermente inclinato rispetto al primo; dal punto dove siete arrivati, disegnate il secondo tratto, anche lui della stessa lunghezza ma con un angolo leggermente diverso; infine fate la stessa cosa con il terzo tratto.
Se avete modificato gli angoli solo di poco, vedrete che il primo punto intermedio si allontana appena dall’originale, il secondo un po’ di più, mentre il punto di arrivo si scosta ancora maggiormente. Questo succede perché ogni tratto parte dal punto in cui era arrivato il precedente e quindi anche delle piccole imprecisioni si sommano le une alle altre per diventare grandi errori.
Adesso pensate al fatto che noi dobbiamo riportare sulla nostra carta centinaia di punti lungo un percorso di migliaia di miglia. Se le nostre misurazioni non fossero tutte estremamente accurate, sia come distanza che come direzione, la nostra carta diventerebbe sempre più imprecisa man mano che ci allontaniamo dal punto di partenza, fino a diventare del tutto inutile.
Per fortuna abbiamo con noi alcuni degli strumenti più ingegnosi e precisi che siano mai stati realizzati: con la semplice meridiana, che permette di misurare l’altezza del sole a mezzogiorno, e con la sofisticata dioptra che è una versione molto più precisa e versatile della groma usata dagli architetti e dagli agrimensori e permette anche di misurare con grande precisione l’altezza di una stella sull’orizzonte possiamo calcolare, in qualsiasi località ci troviamo, il clima, cioè l’altezza del sole al solstizio d’estate, e quindi l’esatta distanza dalla linea aequinoctialis che divide l’orbis tra nord e sud.
Poiché non è possibile usare metodi astronomici per misurare la posizione nell’altra direzione, cioè da est a ovest, sfruttiamo un metodo indiretto: utilizziamo i nostri strumenti per misurare la velocità della nave e da questa calcoliamo le distanze percorse durante la navigazione e poi, confrontando queste distanze con la differenza di clima, possiamo determinare la nostra posizione in maniera abbastanza precisa.
Infine, quando siamo a terra, possiamo usare la dioptra per misurare la direzione esatta in cui si trova un determinato punto di riferimento, ad esempio la cima di una montagna sufficientemente lontana; se da due punti diversi del nostro viaggio siamo in grado di effettuare questa misurazione relativamente ad almeno due punti di riferimento fissi, gli stessi in entrambi i luoghi, possiamo utilizzare il metodo detto di triangolazione per ottenere con grandissima precisione la distanza che separa i due luoghi.
Tutto questo naturalmente solo se le condizioni sono ottimali. Non si può misurare la posizione del sole o delle stelle se il cielo è coperto di nuvole e la nebbia può impedire di vedere anche le montagne più alte. Per non parlare poi della pioggia o della neve; il lavoro di un astrologo può essere veramente spiacevole quando si trova a viaggiare in terre selvagge.


L’Oceanus Germanicus è quel ramo di Oceano che bagna le coste a nord della Germania, sia di quella parte al di qua dal fiume Rhenus sotto il dominio di Roma che costituisce la provincia di Germania Inferior, sia le terre al di là del fiume che formano la Germania Magna.
Tra il delta del Rhenus e quello del fiume Isla è situato il territorio dei bataves, fronteggiato da una catena di basse isolette sabbiose. Questo braccio di mare lungo poco più di un centinaio di miglia è infido per la navigazione in quanto cosparso di secche e bassifondi che ne rendono pericoloso l’attraversamento a chi non conosca perfettamente la configurazione dei fondali e l’andamento delle maree.
A causa di questi rischi, Clearco ha deciso saggiamente di aggirare la linea delle isole a una distanza di circa un miglio, onde evitare il pericolo di ritrovarsi arenati proprio davanti al territorio di popolazioni potenzialmente ostili. È vero che i bataves sono nominalmente alleati di Roma ma, come dice il proverbio, l’occasione fa il mercante ladro: una nave bella e grossa come la nostra, arenata a cento piedi dalla costa potrebbe indurre una tribù nella tentazione di attaccarci sperando in un facile bottino. Naturalmente non saremmo una preda inerme: anche se un eventuale attaccante non potrebbe saperlo, abbiamo a bordo tre centuriae armate, ma sarebbe ugualmente da sciocchi correre dei rischi inutili.
Dopo il territorio dei bataves, nel punto in cui l’Albis sfocia in Oceano con un ampio delta, la costa gira bruscamente verso nord, rimanendo sempre frastagliata e poco accogliente. È questo l’inizio della lunga penisola di Cimbria che costituisce il territorio dei saxones, degli anglii e dei teutones.
La costa è bassa e cosparsa di insenature, lagune e isolette che, se da un lato costituiscono un pericolo per il navigatore inesperto, dall’altra potrebbero in alcuni luoghi ospitare dei magnifici porti. E infatti sia gli anglii che i saxones possiedono barche, piccole e rozze secondo il metro della flotta romana, ma pur sempre sufficienti per navigare lungo le loro coste per pescare, commerciare e, a quanto si dice, compiere scorrerie ai danni delle tribù vicine.
Aggirata la punta della penisola, che si trova secondo i miei calcoli altrettanto a nord della selvaggia Caledonia, all’estremità più remota dell’isola di Britannia, la costa torna a scendere verso sud, mentre sulla sinistra si possono scorgere a tratti le rive di Scatinavia. È questa la grande isola su cui si dice vivano i goutai e i suiones, popoli di cui sappiamo abbastanza poco dato che non hanno mai avuto contatti diretti con noi. Le uniche informazioni che abbiamo ci vengono dai chatti e dai cherusci che a volte commerciano con loro.
Clearco ha drasticamente respinto la proposta avanzata da qualcuno di esplorare l’isola di Scatinavia e ha ordinato di proseguire verso sud seguendo la costa della Cimbria tornando verso la riva germanica.


C’è un buon motivo se non sono stato io ad avanzare la proposta di esplorare a fondo la grande isola a nord: non ho intenzione di sfidare ulteriormente e così presto l’ira del trierarca dopo la violenta discussione che abbiamo appena avuto e di cui mi appresto a parlare.
Dovrebbe essere chiaro, dalla descrizione che ho riportato più sopra dei metodi e degli strumenti usati da noi geografi, che per utilizzare la meridiana per individuare il clima, o la dioptra per fissare dei punti di riferimento bisogna essere a terra a mezzogiorno, e per osservare le stelle con quest’ultima bisogna essere a terra di notte.
Questo significa che la maggior parte del nostro lavoro di geografi, che è quello per cui questa spedizione è stata organizzata, non può assolutamente essere svolto su una nave che percorre molte centinaia di miglia senza approdo. Durante la navigazione possiamo effettuare delle misurazioni, certo, ma sono inevitabilmente imprecise a causa del continuo rollio e beccheggio della nave. Se pensate che stia esagerando provate voi a far stare fermo un filo a piombo sul ponte di un vascello in mare! Queste imprecisioni potrebbero essere per la maggior parte corrette se avessimo la possibilità di effettuare almeno una misura precisa ogni tre o quattrocento miglia, possibilmente mediante il metodo della triangolazione di cui parlavo prima.
Ho quindi cercato di spiegare tutto questo al trierarca, nel modo più semplice e conciso di cui sono capace. Non si può dire che l’abbia presa bene: prima mi ha accusato di voler prendere decisioni che non mi competono sull’organizzazione della navigazione e poi mi ha detto che non sta comandando una nave con un equipaggio di duecentosettanta milites per portare a spasso degli sfaticati come noi in gita di piacere.
Gli ho fatto allora notare che lo scopo primario della missione è di “esplorare strane nuove terre, alla ricerca di nuovi popoli e nuove civiltà” e che se ci impedisce di fare le nostre misurazioni sarà lui a danneggiare l’obiettivo della missione. Questo lo ha fatto veramente infuriare, e per un attimo ho pensato che volesse buttarmi fuori bordo.
D’altra parte, per quanto collerico e impulsivo, Clearco è un uomo intelligente e un buon comandante. Passatagli la rabbia iniziale per il fatto che io avessi osato discutere le sue decisioni, si è reso conto che la mia osservazione era ragionevole: sarebbe stato del tutto inutile proseguire il nostro viaggio come in una corsa contro il tempo (o non è forse una corsa contro la Inceptio?) se non avesse potuto riportare a Roma dei dati sicuri e precisi per aiutare le prossime navi a seguire questa rotta.
Alla fine, visibilmente contrariato, è stato costretto a scendere a un compromesso: per tutta la parte del viaggio in acque sconosciute, quelle in cui è per noi necessario misurare la posizione delle coste con maggior cura, si è impegnato a effettuare almeno una sosta di un giorno e una notte ogni cinquecento miglia. Non è quanto avrei sperato, ma mi dovrò accontentare.


Poco più di cento miglia dopo aver aggirato l’estremità della penisola di Cimbria la costa comincia di nuovo a rompersi in una serie di golfi e isolette, tanto che ci stiamo domandando se tutto l’Oceanus Germanicus bagna rive così disagevoli, fino a raggiungere lo stretto che separa la terraferma dall’isola di Scatinavia.
Si tratta in realtà di una serie di brevi bracci di mare collegati tra loro da canali navigabili, il più stretto dei quali è largo non più di un miglio, inframmezzati da isolette. Questo passaggio è un punto importante per noi in quanto è l’ultimo riferimento geografico di cui eravamo precedentemente a conoscenza, sia pure in maniera vaga e imprecisa; da qui in poi nessuno sa cosa ci aspetti.
Nell’attraversare questo angusto passaggio tra terra e terra ho la fugace impressione di trovarmi nell’Hellespontus o nel Bosporus, gli stretti che separano la Propontis dal Pontus Euxinus e dal Mare Ægaeum. Ancora una volta, come al momento della partenza da Olisipo, un dio sta cercando forse di avvertirmi riguardo a quanto ci riserva il futuro, e ancora una volta non riesco a riconoscere il presagio.
Continuando verso sud lungo il lato orientale della Cimbria, un centinaio di miglia dopo gli stretti la costa torna a girare verso est e procede irregolarmente in questa direzione per circa trecento miglia; è questo il territorio dei burgundi, una grande tribù germanica che non ha rapporti amichevoli o di clientela con Roma. D’altra parte non possiamo continuare a navigare all’infinito senza rifornirci di acqua e di cibo, e quindi Clearco decide di prendere terra nelle vicinanze del delta di un grande fiume che, come abbiamo poi appurato, i locali chiamano Vistula.
Nel nostro equipaggio abbiamo diversi milites di origine germanica, non ultimo Caio Segimondo che comanda la seconda centuria. Ci avviciniamo quindi a un villaggio abbastanza grande che sorge poco all’interno rispetto alla foce per cercare di trattare con gli abitanti, se possibile in termini amichevoli.
La reazione iniziale degli abitanti del villaggio al vedere la nostra grande nave che si avvicina alla riva non è incoraggiante. Dopo un momento di panico iniziale, donne e uomini che corrono lontano dal fiume trascinando con sé giovani e bambini, un gruppo di un centinaio o forse più di guerrieri, armati di asce da combattimento, spade, lance e qualche arco, si dispone in formazione compatta con il chiaro intento di contrastare un nostro eventuale sbarco.
Mentre la Viatrix si mantiene a distanza di sicurezza, fuori dalla portata dei loro corti archi, Segimondo comincia a parlare con loro, o meglio ad urlare a causa della distanza, cercando di convincerli che abbiamo intenzioni pacifiche e che intendiamo solo commerciare. Dopo un certo numero di tentativi riescono a intendersi: pare che i burgundi parlino un dialetto germanico diverso da quello dei cherusci da cui viene il centurione, ma abbastanza simile da permettere loro di capirsi, anche se con qualche difficoltà.
Viene raggiunto un accordo: non ci è consentito sbarcare nel villaggio, ma se risaliamo di circa due miglia la corrente potremo approdare e sbarcare nel punto in cui il fiume si dirama e attendere lì l’arrivo di una loro delegazione.
Dopo le necessarie spiegazioni e traduzioni, Clearco decide che il compromesso è accettabile; gli uomini si rimettono ai remi, e in poco tempo raggiungiamo il luogo indicato. Qui approfittando del basso fondale sabbioso viene fatta rapidamente sbarcare l’intera prima centuria in armamento completo, che si schiera sulla spiaggia davanti alla nave mentre la maggior parte della seconda prende posizione con i pila in pugno lungo la murata: se questi barbari pensassero di attaccarci di sorpresa, scoprirebbero che la fama delle legioni di Roma è ben meritata.
Clearco sbarca più dignitosamente utilizzando una delle scialuppe, accompagnato da Caio Segimondo come interprete, proprio mentre si vede arrivare da nord la delegazione dei burgundi. Questa risulta composta da una quarantina di guerrieri pesantemente armati che accompagna un uomo abbastanza anziano che, come Clearco giustamente immagina, è il capo del villaggio.
Dopo una lunghissima discussione e un infinito mercanteggiare sul prezzo, l’accordo viene raggiunto: i burgundi ci venderanno trecento modii di grano e quattrocento di orzo e ci consentiranno di fermarci per due giorni sul loro territorio per cacciare, a condizione che non ci avviciniamo a meno di un miglio dal villaggio e che non tocchiamo i sacri bern, in cambio di dieci anfore di vino, cinque librae di sale e quattrocento denarii d’argento.
La sosta ci permetterà anche di rinnovare la nostra scorta d’acqua potabile prelevandola dal fiume che è rapido e pulito, e consentirà a me e ai miei assistenti di effettuare finalmente dei rilievi precisi della nostra posizione: per fortuna il cielo è limpido e quindi non dovremmo avere problemi a misurare con precisione il corso del sole e delle stelle.
Sarà meglio non ignorare l’ultima condizione posta dai burgundi riguardo alla caccia: non dovremo, per nessun motivo, cacciare quelli che loro chiamano bern, i grandi orsi bruni, in quanto sono per loro animali sacri; Segimondo avverte Clearco che violare questo divieto potrebbe avere conseguenze molto gravi: anche se sono inferiori a noi come forze, i loro guerrieri ci attaccherebbero immediatamente senza preoccuparsi delle conseguenze.
Pare che ogni tribù germanica abbia un suo animale sacro, e che loro ritengano che in questi animali si incarnino gli spiriti dei loro antenati; l’animale sacro può essere catturato e sacrificato solo in occasione di particolari cerimonie religiose e solo seguendo i prescritti rituali di purificazione.
Uccidere un bern sarebbe da parte nostra un orribile sacrilegio, che non lascerebbe loro altra possibilità che ucciderci tutti o morire nel tentativo.
Clearco non è molto contento di doversi adattare alle superstizioni di questi barbari del nord, ma è chiaro che non ci conviene rischiare un attacco in massa per un motivo così futile, e quindi conferma il divieto: i bern non devono essere uccisi per nessun motivo.


La caccia è fruttuosa, i nostri uomini riescono a intrappolare un branco di grossi cervi e, mentre tornano alla nave con le prede, incontrano un uro.
Si tratta di una bestia spaventosa simile a un toro ma molto più grande, con corna ricurve e acuminate che possono sventrare un uomo senza che l’animale venga nemmeno rallentato nella sua carica. Naturalmente neanche il più grande degli uri può avere alcuna speranza se confrontato da un’intera centuria armata: l’animale viene abbattuto, anche se prima di morire è riuscito a ferire gravemente uno dei milites, e viene trasportato fino all’accampamento provvisorio sulla riva del fiume davanti alla quale la Viatrix è all’ancora, con grande fatica dato che pesa quasi quattromila librae.
Dopo aver macellato le prede, salato la carne e caricato il grano e l’orzo comprato dai burgundi, possiamo finalmente ripartire. La Viatrix discende di nuovo le tre miglia di fiume che la separano da Oceano e possiamo riprendere la navigazione verso est.
O almeno ci proviamo. La foce della Vistula si trova pressapoco al centro di un golfo ampio una cinquantina di miglia con la bocca rivolta esattamente verso nord. Poco dopo essere usciti dal golfo, scopriamo che la costa curva abbastanza bruscamente verso nord e continua in questa direzione per oltre cento miglia. Non ci resta ovviamente altra scelta che seguirla, anche se speravamo in una lunga e tranquilla navigazione verso est, lungo la costa settentrionale della terra degli aestii.

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