Un giovane imbroglione – Non tutto è oro quel che brilla
Alexandria in Egitto, prid. Non. Apr. 780 AUC
– Domine, ti prego! In nome di Hermes Hodios protettore dei viaggiatori, aiutami. – Il tono era di genuina disperazione. Il ragazzo aveva tipici lineamenti greci, era ben vestito e sembrava avere dodici o tredici anni al massimo. L’uomo, un romano abbastanza alto dal portamento nobile e abbigliato con estrema cura, lo squadrò per bene prima di chiedergli di ripetere la sua storia.
– Come ti ho detto, domine, sono Trifone, figlio di Dioniso mercante di Korinthos, e sono qui ad Alexandria in viaggio di studio. Avrei dovuto prendere il mare domani, ma proprio stamattina mi hanno rubato la borsa con tutti i soldi e adesso non so più come fare a pagare il mio passaggio sulla nave che dovrebbe riportarmi a casa. – Dall’espressione si sarebbe detto che stesse per scoppiare in lacrime: – Tutto quello che mi rimane di valore è questo anello d’oro, regalo di mia madre; credo che valga più di sessanta drachmae, ma te lo cedo per trenta, se questo mi permetterà di non perdere la nave!
L’uomo sembrava più incuriosito che interessato dalla storia del ragazzo: – E chi mi dice che l’anello è veramente d’oro e non di piombo dorato? Facciamo una cosa, Trifone: andiamo insieme da un nummularius e chiediamo il suo parere. – propose sorridendo: – Se lui conferma che l’anello è autentico ti darò trenta denarii, se dovesse invece risultare falso farò in modo che tu riceva trenta frustate. Ti sembra un accordo equo? – Il romano naturalmente si aspettava che il ragazzo sparisse come un fulmine nelle viuzze intorno al mercato in cui si trovavano, ma quest’ultimo lo sorprese rispondendo affermativamente e con entusiasmo.
I due si trovavano ai margini del grande mercato nella piazza di fronte al Serapeion, il più grande e importante dei templi di Alexandria, e sul lato confinante con il recinto del tempio lavoravano diversi cambiavalute. Si avvicinarono insieme al banco di uno di questi e l’uomo espose il problema al nummularius, mentre il ragazzo gli consegnava l’anello. L’anello venne preso, osservato attentamente, pesato, e infine strofinato delicatamente su una lastra di pietra grigia posta sul bancone; il saggiatore provò persino a graffiarlo con l’unghia prima di rispondere.
– È autentico. Per quello che posso vedere senza fonderlo è oro massiccio e di buona qualità, praticamente oro fino. Vale qualcosa di più di cinquanta drachmae.
– Se lo dici tu che sei un esperto, naturalmente mi fido, ma tutta la procedura mi ha incuriosito. Posso chiederti come fai a essere così sicuro che è veramente oro?
– Beh, tanto per cominciare dal peso: i falsari spesso producono oggetti di piombo dorato, ma il piombo pesa molto meno dell’oro e uno del mestiere riesce a sentire la differenza quando un oggetto che dovrebbe essere d’oro pesa meno del dovuto. Un’altra differenza è data dal calore, in quanto l’oro è il metallo più freddo che esista: la differenza non è grande, ma è percepibile al tatto e non è possibile in nessun modo alterarla. Infine, ed è la prova più sicura, c’è il colore che il metallo lascia quando viene strisciato sulla pietra di paragone: – concluse indicando la lastra di pietra sul tavolo – questo colore è assolutamente caratteristico e permette di distinguere ad esempio l’oro puro da una lega di oro e argento o di oro e rame. Per questo ti ho potuto dire che questo anello è di oro fino.
Il romano ascoltò attentamente la spiegazione, quindi allungò la mano alla borsa per pagare il nummularius per il servizio reso.
– Per carità senatore… È un piacere potermi rendere utile a una persona del tuo rango. – A queste parole il ragazzo impallidì leggermente, ma la sua espressione rimase impassibile mentre riprendeva in mano l’anello.
– Ti prego di scusarmi, senatore, se non ho riconosciuto subito il tuo rango: non ti avrei certo importunato così se avessi saputo…
Il senatore stava già aprendo la borsa e contando le monete d’argento promesse: – Non ti preoccupare ragazzo: mi stai comunque offrendo un buon affare e non intendo lamentarmi. E poi – aggiunse – ti ho fatto una promessa e non è certo mia abitudine rimangiarmi la parola data. – L’anello e le monete cambiarono rapidamente di mano e il senatore stette per qualche secondo a guardare il ragazzo che, mentre si allontanava nella calca del mercato, ringraziava silenziosamente Hermes, protettore dei viandanti e dei mercanti.
E dei ladri.
– Un senatore! Hai davvero cercato di truffare un senatore di Roma con il trucco dell’anello? – Il maestro Gregorios era un greco di bassa statura, sulla cinquantina e con la barba grigia tagliata a punta sotto il mento. Ed era fuori di sé dalla rabbia: – Lo sai cosa avrebbe potuto farti se si fosse accorto dell’imbroglio?
– Hai ragione kyrie, ma non avevo idea… Non avevo mai visto prima un senatore romano. Mi sarei aspettato una figura più autoritaria, solenne; non come questo qui che sembrava uno dei soliti giovani ricchi appena arrivati da Roma, un eques forse, un cavaliere con un mucchio di soldi da spendere… Quando il nummularius l’ha chiamato senatore mi sono sentito male ma ormai il danno era fatto: non potevo più tirarmi indietro.
– Va bene; come dici tu, ormai il danno è fatto. Quanto ha fruttato questa tua bravata? – Gregorios allungò le mani e il ragazzo gli consegnò una manciata di monete e l’anello, estraendolo da una piega nascosta della sua tunica. – Ventidue denarii, un po’ poco per il rischio che hai corso. Anzi ventuno! Questa moneta è pure falsa!
– Kyrie, ho fatto come tu mi hai insegnato. – Rispose il giovane allargando le braccia: – L’anello vale cinquanta drachmae d’argento, e come tu mi hai detto bisogna chiedere ai gonzi un po’ meno della metà del valore dell’oggetto, per convincerli che si tratta di un affare da prendere al volo. E sì, lo sapevo che in mezzo alle altre c’era una moneta falsa: l’ho capito dal suono che faceva mentre il romano le contava. Ma cosa avrei dovuto fare? Un giovane disperato che si mette a contestare a un senatore romano la bontà del suo argento sarebbe stato un po’ troppo, non ti pare? – Mentre parlava si guardava intorno, nella ormai familiare bottega del suo maestro.
Era una bottega assai curiosa: il grande armarium che copriva quasi interamente una parete, con gli scomparti pieni di rotoli di papiro, ed i tre banchi da scrittura avrebbero potuto far pensare a un estraneo che si trattasse dello studio di un filosofo o di un copista. Ma poi lo sguardo si sarebbe posato sui due banconi ingombri di strumenti e attrezzi degni del laboratorio di un gioielliere o di un argentarius e sugli scaffali, pieni di vasi e cassette contenenti i materiali e gli oggetti più disparati. Inoltre, a differenza della maggior parte delle botteghe, non si trovava a pianterreno con un lato aperto alla strada ma al primo piano di un edificio vicino all’imbocco dell’Heptastadion, il lunghissimo ponte che collegava Alexandria all’isola di Faro.
Gregorios, dopo aver accuratamente riposto l’anello d’oro e le monete negli scomparti di una grande arca, sembrò dimenticare l’incidente e tornò al lavoro a cui si stava dedicando prima. Stava esaminando accuratamente due strisce di tessuto finissimo, larghe circa un palmo e lunghe due, sulle quali erano disegnati alcune dozzine di strani disegni, ciascuno composto da alcuni tratti di inchiostro nero. – Riesci a vedere la differenza tra queste due? – Chiese all’allievo, che si chinò anch’egli sul bancone per guardare meglio.
– A me sembrano identiche kyrie: stesso tessuto, per quanto posso distinguere, stessi disegni identici, stesso inchiostro. Anche se forse il colore dell’inchiostro… – si avvicinò ancora di più: – Sì, quello di destra sembra un po’ più sbiadito dell’altro, soprattutto ai bordi dei tratti più sottili.
Il maestro sospirò: l’apprendista aveva molti difetti ma aveva gli occhi buoni e un ottimo spirito di osservazione. – Hai ragione, purtroppo. Anche questo inchiostro spande troppo e viene assorbito dalla seta troppo rapidamente. Oggi voglio provare un’altra proporzione di ingredienti, e speriamo riesca meglio.
– Ma kyrie, cosa sono questi oggetti? Sembrerebbe quasi una scrittura, ma le lettere sono troppo complicate e non ce ne sono due uguali tra loro. E poi… seta? Chi userebbe la seta per scriverci sopra, con quello che costa?
– I Seres ovviamente: sono loro che producono la seta. E comunque la usano per scriverci sopra solo in casi particolari, per documenti di grande importanza o valore. Quella che vedi qui a sinistra è una lettera di impegno di pagamento, scritta nel loro complicatissimo alfabeto in cui ogni segno rappresenta un’intera parola, e dice più o meno che il loro re si impegna a pagare al portatore di questa striscia di tessuto una somma equivalente a circa cento aurei, quasi mezzo talento d’argento. – Cento aurei. Diecimila sesterzi. Una ricchezza inconcepibile per un ragazzo cresciuto nei bassifondi del quartiere greco di Alexandria.
– E come sei venuto in possesso di questo oggetto, kyrie, se posso chiedertelo? È stata rubata? E a chi? E come si può ricavarne qualcosa senza andare fino in Seria, ovunque essa sia?
– Quante domande tutte insieme! – Rise Gregorios: – Comincerò dall’ultima: non si può andare alla terra dei Seres. Tutto quello che sappiamo è che la seta proviene da laggiù, e che si trova ancora più a oriente dell’India. Le nostre navi comprano la seta, insieme ad altre merci pregiate, commerciando con gli indiani. Ogni anno partono e arrivano ai porti di Myos Hormos e Berenike sul Mar Rosso decine di navi, forse centinaia, che attraversano Oceano fino a Taprobane in India. Molti mercanti preferiscono utilizzare queste lettere di seta al posto del denaro, infatti sono meno ingombranti e più facili da nascondere cucite dentro gli abiti. Questa è una saggia precauzione quando passi metà della tua vita in mare, con il rischio costante di un attacco da parte dei pirati, e l’altra metà del tuo tempo in porti stranieri.
– Ma i mercanti come fanno a sapere quanto valgono? Cioè, come fanno a sapere che sono autentiche e non delle copie? – Insistette il ragazzo.
– Si fidano del fatto che, a quanto ne sappiamo, è impossibile farne dei duplicati esatti, o almeno lo è stato fino ad oggi. Un mercante indiano che viene pagato con una di queste lettere da un mercante greco o siriano, a Myos Hormos o a Taprobane, si fida in quanto sa che non può essere un falso. E la parola del re dei Seres non si può certo mettere in discussione.
Gregorios indicò verso l’altro bancone su cui si trovava una strana struttura di legno, una specie di cornice di legno contenente diversi blocchetti di legno sagomati e bloccati in posizione mediante piccoli cunei. – Vedi ragazzo, la seta è costosa ma non è difficile procurarsela: basta pagare. Quello che rende queste lettere impossibili da falsificare è la tecnica utilizzata per tracciarci sopra i segni che vedi. Se guardi attentamente vedrai che non sono stati fatti con un pennello o con uno strumento simile: se così fosse si vedrebbero i segni delle pennellate e l’inchiostro sarebbe più abbondante all’inizio del tratto e più scarso alla fine. Il metodo utilizzato dalla tesoreria del re dei Seres, metodo che dovrebbe essere un segreto assoluto, è quello che io chiamo imprimitura e che sto cercando di imitare qui: i blocchetti di legno dentro quella cassetta sono scolpiti nell’esatta forma, anche se capovolta, dei simboli sulla seta e tenuti in posizione mediante quei cunei, in modo da riprodurre precisamente la scritta dell’originale. Con un tampone di lana imbevuto, passo sulla superficie dei blocchetti un velo di inchiostro, poi ci appoggio una striscia di seta e, con questo rullo di legno rivestito di cuoio, la schiaccio uniformemente senza farla muovere. L’effetto è quello che vedi a destra: quasi perfetto.
– Però non hai ancora risposto alla mia prima domanda, kyrie, come ti sei procurato questa lettera autentica e come pensi di guadagnare qualcosa dalle copie?
– Semplice. La lettera originale l’ho avuta in prestito da un mio contatto a Berenike, allo scopo di cercare di duplicarla. Se riuscirò a produrre una dozzina di copie che lui consideri indistinguibili dall’originale, me le pagherà venticinque aurei ciascuna. Lui poi le rivenderà ai suoi amici mercanti a cinquantacinque aurei ciascuna e loro le spacceranno ai mercanti indiani come autentiche. Io guadagnerò trecento aurei, correndo un rischio minimo; lui ne guadagnerà trecentosessanta correndo un rischio un po’ più grande; i mercanti ne guadagneranno complessivamente cinquecentoquaranta, perché sono loro a correre il rischio maggiore; potrebbero lasciarci la pelle se quelli che verranno imbrogliati dovessero accorgersi del falso.
Spostatosi all’estremità opposta della bottega, Gregorios cominciò a prendere diversi oggetti dagli scaffali. – Aiutami con questi, proviamo a rendere più denso l’inchiostro. È l’ultimo dettaglio che manca per rendere la mia copia identica all’originale. – Così dicendo passò al ragazzo un piccolo mortaio, una pisside di legno e un paio di vasetti di coccio.
– Adesso tu pesta bene nel mortaio due misure di nerofumo, è nella scatola che hai in mano, mentre io preparo la miscela. – Mentre il ragazzo lavorava di pestello, il maestro misurava e versava in una coppa di bronzo le sostanze prese dai vasetti. – Proverò a mettere un po’ meno olio di mandorla e olio di oliva e ad aumentare la quantità di naphta. Speriamo che sia la volta buona.
Mentre aggiungeva lentamente la polvere di nerofumo al composto, spiegava: – La naphta bianca è costosissima: viene dalla Parthia e con l’attuale situazione di continuo conflitto i commerci sono assai difficoltosi. Ecco fatto. Adesso – aggiunse finendo di mescolare la miscela e coprendo la coppa con un coperchio di legno – dobbiamo lasciarlo riposare fino a domani, poi proveremo di nuovo l’imprimitura su di un’altra striscia di seta.
– Ma kyrie, perché limitarsi a farne una dozzina? Una volta che hai scoperto il segreto del re dei Seres potresti farne centinaia. Diventeresti ricchissimo…
– Sciocco! Quante volte ti ho detto che nel nostro ramo di affari la moderazione è la massima virtù mentre l’ingordigia porta a un’infamante morte certa? – Gregorios questa volta era davvero irritato: – Se nei porti romani comparissero all’improvviso centinaia di lettere Seres, i mercanti stranieri se ne accorgerebbero subito e smetterebbero di accettarle in pagamento. Abbiamo calcolato che una dozzina sia il numero massimo per non far risaltare troppo la nostra attività. Inoltre, puoi stare sicuro che quando questi falsi arriveranno in India, o nella migliore delle ipotesi quando arriveranno alla tesoreria del re di Seria, qualcuno si accorgerà dell’imbroglio. E allora l’anno prossimo, quello dopo o al massimo fra tre anni, tutti i mercanti indiani che verranno da noi sapranno distinguere i miei falsi dagli originali; perché per quanto simili non potranno mai essere perfettamente identici. Producendone una dozzina e ritirandoci subito dall’affare, non rischiamo quasi niente. Se continuassimo a farlo, nel giro di un paio d’anni qualcuno riuscirebbe a risalire al mio agente, e tramite lui a me. E dopo ci ritroveremmo sia io che lui appesi a una croce o, forse persino peggio, spediti in India a verificare di persona quale sia l’ospitalità che il re dei Seres riserva ai falsari.
Dopo questa sfuriata si calmò un poco e la sua voce tornò gentile: – Tu sei bravo e diventerai sicuramente uno dei migliori falsari e truffatori di Alexandria, così come io sono oggi indubbiamente il migliore, ma sei troppo impulsivo. Se ti lasciassi fare a modo tuo, domani saresti di nuovo al mercato con un altro anello di piombo dorato, alla ricerca di un altro pollo da spennare. Probabilmente ti andrebbe bene e quindi insisteresti. Finché uno dei polli non si accorgerà dell’imbroglio, ti aspetterà al mercato o avvertirà i nummularii, e tu ti troverai consegnato alle guardie senza neanche capire perché, e darai la colpa alla sfortuna. – Di nuovo la voce si fece grave: – Ricordatelo sempre: la fortuna e la sfortuna non esistono. O meglio, siamo noi che ce le costruiamo agendo in modo sciocco o sensato. Adesso in giro per Alexandria c’è un senatore romano che può riconoscerti, al quale hai truffato ventidue denarii, e che potrebbe già essersene accorto. In tal caso parlerà sicuramente con il nummularius che ha garantito l’anello, probabilmente accusandolo di essere tuo complice, e anche lui ti può riconoscere. D’ora in poi quando sarai per strada, dovrai sempre essere all’erta per cominciare a correre per primo nel caso incontrassi uno di loro due.
Il ragazzo era molto soddisfatto. Il suo maestro non era risultato troppo scontento della sua spedizione al mercato e lui aveva messo da parte, in uno dei suoi svariati nascondigli segreti, altri nove denarii. Tutto sommato era stata una giornata positiva. C’era solo da sperare che quel senatore non si accorgesse dell’imbroglio prima di tornare a Roma, e allora tutto sarebbe andato per il meglio.
Il senatore romano stava guardando l’anello appena comprato. Era sicuramente falso e valeva probabilmente un decimo o poco più di quanto l’aveva pagato, ma quel ragazzo gli era riuscito simpatico. Anche se non era stato abbastanza svelto nel sostituire l’anello vero con la copia, e lui aveva dovuto far finta di non accorgersene piuttosto che smascherarlo e farlo arrestare dalle guardie del tempio.
D’altra parte, anche se falso l’anello era molto bello: cominciava come una fascia liscia che gradualmente si trasformava ai due lati in serpenti intrecciati tra loro. Conosceva una ragazza ad Alexandria che sarebbe stata proprio felice di ricevere un dono simile.