Capitolo 25 Trattenersi dal proporre soluzioni

Articolo originale
Eliezer Yudkowsky

Atto 2

(Il sole risplendeva luminoso all’interno della Sala Grande dal soffitto-cielo incantato lì sopra, illuminando gli studenti come se sedessero sotto il cielo nudo, baluginando dai loro piatti e dalle loro scodelle, come se, rinfrancati dal sonno di una notte, inalassero la colazione in preparazione di qualunque piano avessero fatto per la loro domenica.)
E così. C’era una sola cosa che faceva di te un mago.
Non era sorprendente, quando ci si pensava. Ciò che il dna faceva normalmente era istruire i ribosomi su come disporre gli amminoacidi in una catena per formare proteine. La fisica convenzionale sembrava piuttosto capace di descrivere gli amminoacidi, e indipendentemente da quanti amminoacidi incatenavi tra loro, la fisica convenzionale diceva che non avresti mai, mai ottenuto della magia in quel modo.
Eppure la magia sembrava essere ereditaria, seguire il dna.
Allora probabilmente non era perché il dna stava incatenando insieme amminoacidi non-magici in proteine magiche.
Anzi, la sequenza chiave del dna non ti dava affatto, di per sé, la tua magia.
La magia veniva da un’altra parte.
(Al tavolo di Corvonero c’era un ragazzo che stava fissando il vuoto, mentre la sua mano destra automaticamente raccoglieva col cucchiaio del cibo di scarsa importanza e lo metteva nella sua bocca, qualunque cosa vi fosse davanti a lui. L’avresti probabilmente potuto sostituire con un mucchietto di terra e lui non se ne sarebbe accorto.)
E per qualche ragione la Fonte della Magia prestava attenzione a un particolare marcatore del dna in individui che per ogni altro aspetto erano ordinari esseri umani discendenti dalle scimmie.
(In realtà c’erano diversi ragazzi e ragazze che fissavano il vuoto. Era il tavolo di Corvonero, dopo tutto.)
C’erano altre sequenze logiche che conducevano alla stessa conclusione. Un macchinario complesso era sempre universale all’interno di una specie che si riproducesse sessualmente. Se il gene B faceva affidamento sul gene A, allora A doveva essere utile di per sé, e assurgere da solo fino alla quasi universalità all’interno del pool genico, prima che B fosse abbastanza utile da conferire un vantaggio in fitness. Quando poi B fosse stato universale si avrebbe avuta una variante A* che faceva affidamento su B, e poi C che faceva affidamento su A* e B, poi B* che si basava su C, finché l’intera macchina sarebbe caduta a pezzi se si fosse rimosso un singolo pezzo. Ma doveva accadere tutto incrementalmente – l’evoluzione non guardava mai in avanti, l’evoluzione non avrebbe mai iniziato a sostenere B per preparare A a diventare universale in una fase successiva. L’evoluzione era il mero fatto storico che, chiunque fossero stati gli organismi che avessero effettivamente avuto il maggior numero di figli, i loro geni sarebbero stati più frequenti nella generazione successiva. Quindi ogni pezzo di una macchina complessa doveva diventare quasi universale prima che altri pezzi della macchina potessero evolversi dipendendo dalla sua presenza.
Dunque un macchinario complesso e indipendente, le potenti e sofisticate macchine per la produzione delle proteine che mettevano in moto la vita, era sempre universale all’interno di una specie che si riproducesse sessualmente – ad eccezione di un mucchietto di varianti non-interdipendenti che in ogni momento erano oggetto della selezione, mentre ulteriore complessità era lentamente definita. Era per questa ragione che tutti gli esseri umani avevano lo stesso schema sottostante al cervello, le stesse emozioni, le stesse espressioni facciali collegate a quelle emozioni; quegli adattamenti erano complessi, quindi dovevano essere universali.
Se la magia fosse stata così, un grande e complesso adattamento con molti geni necessari, allora un mago che si fosse accoppiato con un Babbano avrebbe avuto un figlio con solo metà di quelle parti, e metà della macchina non avrebbe concluso molto. E quindi non ci sarebbero stati Nati babbani, mai. Anche se tutti i pezzi fossero individualmente finiti nel pool genico babbano, non si sarebbero mai ri-assemblati tutti in un unico posto per formare un mago.
Non ci sarebbe stata alcuna vallata geneticamente isolata di umani che fossero inciampati su di un cammino evolutivo che avesse condotto a sofisticate sezioni magiche del cervello. Quel macchinario genetico complesso, se i maghi si fossero incrociati con i Babbani, non si sarebbe mai ri-assemblato nei Nati babbani.
Così, in qualunque modo i tuoi geni ti avessero reso un mago, non sarebbe stato contenendo i progetti per un macchinario complesso.
Quella era l’altra ragione per la quale Harry aveva indovinato che lo schema mendeliano sarebbe stato presente. Se i geni magici non fossero stati complicati, perché ce ne sarebbero dovuti essere più di uno?
Eppure la magia in sé sembrava proprio complicata. Un incantesimo di chiusura di una porta avrebbe impedito alla porta di aprirsi e impedito a te di Trasfigurarne i cardini e resistito a Finite Incantatem e Alohomora. Molti elementi che puntavano tutti nella stessa direzione: la si sarebbe potuta chiamare indirizzamento all’obiettivo, o in un linguaggio più semplice, significatività.
C’erano solo due cause note per la complessità significativa. La selezione naturale, che produceva cose come le farfalle. E l’ingegneria intenzionale, che produceva cose come le automobili.
La magia non sembrava qualcosa che fosse nata attraverso l’auto-replicazione. Gli incantesimi erano significativamente complicati, ma non, come una farfalla, complicati allo scopo di produrre copie di sé stessi. Gli incantesimi erano complicati allo scopo di servire il loro utilizzatore, come un’automobile.
Qualche ingegnere pensante, allora, aveva creato la Fonte della Magia, e le aveva detto di prestare attenzione ad un particolare marcatore del dna.
Lo scontato pensiero successivo fu che questo aveva qualcosa a che fare con “Atlantide”.
Harry aveva precedentemente chiesto a Hermione informazioni a riguardo – sul treno per Hogwarts, dopo averla sentita nominare da Draco – e per quanto ne sapeva lei, nulla era noto oltre alla parola stessa.
Sarebbe potuta essere una mera leggenda. Ma era anche abbastanza plausibile che una civiltà di praticanti della magia, specialmente una precedente l’Interdetto di Merlino, fosse riuscita a farsi saltare in aria.
Quella linea di ragionamento continuava: Atlantide era stata una civiltà isolata che aveva in qualche modo portato all’esistenza della Fonte della Magia, e le aveva detto di servire solo la gente con il marcatore genetico atlantideo, il sangue di Atlantide.
E secondo una logica simile: le parole che un mago pronunciava, i movimenti della bacchetta, non erano abbastanza complicati di per sé per far sorgere gli effetti degli incantesimi da zero – non nello stesso modo in cui tre miliardi di coppie di basi del dna erano effettivamente abbastanza complicate da creare un corpo umano da zero, non nello stesso modo in cui i programmi per computer utilizzavano migliaia di byte di dati.
Quindi le parole e i movimenti della bacchetta erano solo cause scatenanti, l’azionamento delle leve di una qualche macchina nascosta e più complessa. Bottoni, non progetti.
E proprio come il programma di un computer non avrebbe compilato se avessi commesso un singolo errore di sintassi, la Fonte della Magia non ti avrebbe risposto se non avessi lanciato i tuoi incantesimi nel modo esatto.
La sequenza logica era inesorabile.
E conduceva inevitabilmente a un’unica conclusione finale.
Gli antichi progenitori dei maghi, migliaia di anni prima, avevano detto alla Fonte della Magia di far levitare gli oggetti solo se avessi detto…
`Wingardium Leviosa’.
Harry si accasciò sul tavolo della colazione, appoggiando stancamente la fronte sulla mano destra.
C’era un aneddoto risalente agli albori dell’Intelligenza Artificiale – quando avevano appena incominciato e nessuno aveva ancora compreso che il problema sarebbe stato difficile – a proposito di un professore che aveva delegato a uno dei suoi studenti la soluzione del problema della visione dei computer.
Harry stava incominciando a capire come si doveva essere sentito quello studente.
Questo avrebbe potuto prendergli un po’ di tempo.
Perché richiedeva uno sforzo maggiore lanciare l’incantesimo Alohomora, se era come premere un bottone?
Chi era stato abbastanza stupido da inserire un incantesimo per l’Avada Kedavra che fosse stato possibile lanciare solo usando l’odio?
Perché la Trasfigurazione senza parole necessitava che compissi una separazione mentale completa tra il concetto di forma e quella di materiale?
Harry avrebbe potuto non aver finito con questo problema per quando si fosse diplomato da Hogwarts. Sarebbe potuto essere ancora al lavoro su questo problema quando sarebbe stato trentenne. Hermione aveva avuto ragione, Harry non l’aveva compreso intimamente prima. Aveva semplicemente pronunciato un discorso motivante sulla determinazione.
La mente di Harry prese brevemente in considerazione se comprendere intimamente oppure no che avrebbe potuto non risolvere affatto il problema, mai, e poi decise che sarebbe stato eccessivo.
Per di più, fintanto che avesse potuto ottenere quanto meno l’immortalità nei primi decenni, sarebbe stato a posto.
Quale metodo aveva usato il Signore Oscuro? A pensarci, il fatto che il Signore Oscuro era in qualche modo riuscito a sopravvivere alla morte del suo primo corpo era quasi infinitamente più importante del fatto che aveva provato a conquistare la Gran Bretagna magica –
“Mi scusi”, disse dalle sue spalle una voce attesa in toni molto inattesi. “Con suo comodo, il signor Malfoy le chiede il favore di una conversazione”.
Harry non si strozzò con i suoi cereali da colazione. Invece si voltò e osservò il signor Crabbe.
“Scusi me”, disse Harry. “Non voleva dire forse `Er capo te vole parlà’?”
Il signor Crabbe non sembrò contento. “Il signor Malfoy mi ha dato istruzioni di parlare in maniera corretta”.
“Non posso sentirla”, disse Harry. “Non sta parlando in maniera corretta”. Tornò alla sua tazza di piccoli fiocchi di cristallo blu e deliberatamente ne mangiò un altro cucchiaio.
“Er capo te vole parlà”, giunse una voce minacciosa da dietro di lui. “È mejo che ‘o vai a trovà, si capisci che è mejo pe’ te”.
Ecco. Ora tutto stava andando secondo il piano.

Atto 1

“Una ragione?” disse l’antico mago. Tenne lontana la furia dal proprio volto. Il ragazzo davanti a lui era stata la vittima, e certamente non aveva bisogno di essere spaventato ancora. “Non c’è nulla che possa scusare –”
“Ciò che ho fatto io a lui è stato peggiore.”
L’antico mago si irrigidì per l’improvviso orrore. “Harry, cos’hai fatto?
“Ho indotto Draco con l’inganno a credere che l’avessi indotto con l’inganno a partecipare a un rituale che sacrificava la sua convinzione nel purismo del sangue. E questo ha significato che non potrà essere un Mangiamorte da grande. Ha perso tutto, Preside.”
Ci fu una quiete prolungata nell’ufficio, rotta solo dai sommessi sbuffi e fischi dei congegni di precisione, che dopo un po’ erano sembrati diventare come silenziosi.
“Ohimè”, disse l’antico mago, “mi sento davvero stupido. E a questo punto mi stavo aspettando che cercassi di redimere l’erede di Malfoy, diciamo, mostrandogli vera amicizia e gentilezza”.
Ah! Già, come se questo avesse potuto funzionare.”
L’antico mago sospirò. Questo lo stava portando troppo lontano. “Dimmi, Harry. Non ti è neppure venuto in mente che ci fosse qualcosa di inappropriato nel proporsi di redimere qualcuno con bugie e inganni?”
“L’ho fatto senza raccontare alcuna bugia diretta, e stiamo parlando di Draco Malfoy qui, penso che la parola che sta cercando sia appropriato”. Il ragazzo sembrava alquanto compiaciuto.
L’antico mago scosse la testa per la disperazione. “E questo è l’eroe. Siamo tutti spacciati”.

Atto 5

La lunga e stretta galleria di pietra grezza, non illuminata se non dalla bacchetta di un bambino, sembrava allungarsi per miglia.
La ragione di ciò era semplice: si allungava per miglia.
L’ora era le tre del mattino, e Fred e George stavano intraprendendo il lungo viaggio giù per il passaggio segreto che conduceva da una statua di una strega orba di Hogwarts alle cantine del negozio di dolci Mielandia di Hogsmeade.
“Come sta andando?” disse Fred a voce bassa.
(Non che ci fosse nessuno in ascolto, ma c’era qualcosa di strano nel parlare a voce normale quando stavi attraversando un passaggio segreto.)
“Ancora guasto”, disse George.
“Entrambi, o –”
“Quello intermittente si è aggiustato ancora da solo. L’altro è lo stesso di sempre.”
La Mappa era un artefatto straordinariamente potente, in grado di tenere traccia di ogni essere senziente all’interno delle pertinenze della scuola, in tempo reale, identificandolo per nome. Quasi certamente, era stata creata durante la costruzione originaria di Hogwarts. Era non buono che degli errori stessero iniziando a comparire. Era probabile che nessuno tranne Silente potesse aggiustarla una volta rotta.
E i gemelli Weasley non avevano intenzione di consegnare la Mappa a Silente. Sarebbe stato un insulto imperdonabile ai Malandrini – i quattro sconosciuti che erano riusciti a rubare un componente del sistema di sicurezza di Hogwarts, qualcosa probabilmente forgiato da Salazar Serpeverde in persona, e piegarlo in uno strumento per scherzi di studenti.
Qualcuno avrebbe potuto considerarlo irrispettoso.
Qualcuno avrebbe potuto considerarlo criminale.
I gemelli Weasley credevano fermamente che se Godric Grifondoro l’avesse visto, avrebbe approvato.
I fratelli camminarono senza fermarsi, per lo più in silenzio. I gemelli Weasley si parlavano l’un l’altro quando stavano escogitando nuovi scherzi, o quando uno di loro conosceva qualcosa che l’altro non sapeva. Altrimenti era inutile. Se già conoscevano la stessa informazione, tendevano a formulare gli stessi pensieri e a prendere le stesse decisioni.
(Ai vecchi tempi, ogni volta che nascevano dei gemelli magici identici, era stata consuetudine ucciderne uno alla nascita.)
Alla fine, Fred e George si arrampicarono in una cantina polverosa, ricoperta da barili e rastrelliere di strani ingredienti.
Fred e George aspettarono. Non sarebbe stato educato fare qualunque altra cosa.
Dopo non molto tempo, un magro e anziano signore con un pigiama nero si arrampicò giù per i gradini che conducevano alla cantina, sbadigliando. “Ciao, ragazzi”, disse Ambrosius Flume. “Non vi aspettavo questa notte. Già finite le scorte?”
Fred e George decisero che Fred avrebbe parlato.
“Non esattamente, signor Flume”, disse Fred. “Speravamo che potesse aiutarci con qualcosa molto più… interessante”.
“Ehi, ragazzi”, disse Flume con un tono severo, “spero che non mi abbiate svegliato solo per farvi dire ancora una volta che non ho intenzione di vendervi nessuna merce che possa cacciarvi in guai seri. Non prima che abbiate compiuto sedici anni, quanto meno –”
George estrasse un oggetto dalle sue vesti, e lo passò senza parlare a Flume. “Ha visto questo?” chiese Fred.
Flume osservò l’edizione del giorno precedente della Gazzetta del Profeta e annuì, accigliandosi. Il titolo del foglio recitava Il prossimo Signore Oscuro? e mostrava un giovane ragazzo che la macchina fotografica di qualche studente era riuscita a immortalare in un’espressione inusualmente fredda e bieca.
“Non posso credere a quel Malfoy”, sbottò Flume. “Attaccare il ragazzo quando ha appena undici anni! Quell’uomo andrebbe macinato e usato per fare cioccolatini!”
Fred e George sbatterono le palpebre all’unisono. Malfoy era dietro Rita Skeeter? Harry Potter non li aveva avvisati della cosa… il che certamente significava che Harry non lo sapeva. Non li avrebbe mai coinvolti, se l’avesse saputo…
Fred e George si scambiarono un’occhiata. Beh, Harry non aveva bisogno di saperlo prima che il lavoro fosse portato a termine.
“Signor Flume”, disse Fred pacatamente, “il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto ha bisogno del suo aiuto”.
Flume li fissò entrambi.
Poi si lasciò sfuggire un sospiro.
“Va bene”, disse Flume, “cosa volete?”

Atto 6

Quando Rita Skeeter era concentrata su di una preda succulenta, non tendeva a notare le affannate formiche che costituivano il resto dell’universo, ed è così che andò quasi a sbattere contro il giovane stempiato che le aveva ostruito il cammino.
“Signorina Skeeter”, disse l’uomo, sembrando piuttosto severo e freddo per qualcuno il cui volto era così giovane. “Che coincidenza incontrarla qui”.
“Si faccia da parte, bellimbusto!” sbottò Rita, e cercò di aggirarlo.
L’uomo sul suo cammino rispecchiò il movimento così perfettamente che fu come se nessuno di loro si fosse mosso, come se fossero rimasti fermi mentre la strada si spostava attorno a loro.
Gli occhi di Rita si socchiusero. “Chi pensa di essere?”
“Davvero insensato”, l’uomo disse seccamente. “Sarebbe stato saggio memorizzare il volto del Mangiamorte travestito che sta addestrando Harry Potter per essere il prossimo Signore Oscuro. Del resto”, un sorriso sottile, “quello sembra davvero qualcuno in cui non vorrebbe imbattersi per strada, specie dopo averlo attaccato malevolmente sul giornale”.
Rita ebbe bisogno di un momento per identificare il riferimento. Quello era Quirinus Quirrell? Sembrava troppo giovane e troppo vecchio allo stesso tempo; il suo volto, se si fosse rilassato dalla posa severa e condiscendente, sarebbe appartenuto a qualcuno ben in là nel suo quarto decennio di vita. E i suoi capelli stavano già cadendo? Non poteva permettersi un guaritore?
No, quello non era importante, doveva essere in un certo luogo in un certo momento con un certo scarabeo. Aveva appena ricevuto una dritta anonima su Madam Bones, che avrebbe avuto una relazione con una delle sue assistenti più giovani. Sarebbe valso un bonus notevole se fosse stata in grado di confermarlo, Bones si trovava in alto nella sua lista degli obiettivi. L’informatore aveva detto che Bones e la sua giovane assistente erano in procinto di pranzare in una stanza speciale a Mary’s Place, una stanza molto popolare per certi scopi; una stanza che, aveva scoperto, era sicura contro ogni dispositivo di registrazione, ma non a prova di un bellissimo scarabeo blu attaccato ad una parete…
“Si faccia da parte!” disse Rita, e cercò di allontanare Quirrell dalla sua strada. Il braccio di Quirrell sfiorò il suo, deviandolo, e Rita barcollò mentre la spinta si scaricava nel nulla.
Quirrell sollevò la manica sinistra della sua veste, mostrando il braccio sinistro. “Osservi”, disse Quirrell, “nessun Marchio Oscuro. Vorrei che il suo giornale pubblicasse una ritrattazione”.
Rita si fece scappare una risata di incredulità. Ovviamente quell’uomo non era un vero Mangiamorte. Il giornale non l’avrebbe pubblicato se lo fosse stato. “Se lo scordi, bellimbusto. Ora vada a farsi un giro”.
Quirrell la fissò per un momento.
Poi sorrise.
“Signorina Skeeter”, disse Quirrell, “avevo sperato di trovare una qualche leva che si sarebbe dimostrata convincente. Eppure scopro che non posso negarmi semplicemente il piacere di distruggerla”.
“Ci hanno provato. Ora si faccia da parte, bellimbusto, o troverò qualche Auror e la farò arrestare per ostruzione al giornalismo.”
Quirrell le rivolse un piccolo inchino, e poi le passò oltre. “Arrivederci, Rita Skeeter”, disse la voce da dietro di lei.
Mentre Rita si faceva strada proseguendo, notò nei recessi della sua mente che l’uomo stava fischiettando una musichetta, mentre si allontanava.
Come se quello avesse potuto spaventarla.

Atto 4

“Mi dispiace, non contare su di me”, disse Lee Jordan. “Sono più il tipo del ragno gigante”.
Il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto aveva detto di avere un compito importante per l’Ordine del Caos, qualcosa di serio e segreto, molto più significativo e difficile che la loro solita serie di scherzi.
E poi Harry Potter si era lanciato in un discorso che era motivante, eppure vago. Un discorso il cui senso era che Fred e George e Lee avevano un potenziale tremendo, se solo avessero imparato a essere più strani. Per rendere le vite delle persone più surreali, invece di sorprenderle semplicemente con l’equivalente dei secchi d’acqua appoggiati sulle porte. (Fred e George si scambiarono occhiate d’interesse, a quello non avevano mai pensato.) Harry Potter aveva invocato l’immagine dello scherzo che avevano tirato a Neville – sulla base del quale, Harry aveva menzionato con qualche rimorso, il Cappello Smistatore l’aveva strapazzato – ma che doveva aver fatto dubitare Neville della sua stessa sanità mentale. A Neville doveva essere sembrato di essere stato trasportato in un altro universo. Nello stesso modo in cui si erano sentiti tutti gli altri quando avevano visto Snape chiedere scusa. Quello era il vero potere degli scherzi.
Siete con me? aveva gridato Harry Potter, e Lee Jordan aveva risposto no.
“Conta su di noi”, disse Fred, o forse George, poiché era indubbio che Godric Grifondoro avrebbe detto sì.
Lee Jordan gli indirizzò un sorriso dispiaciuto, si alzò, e lasciò il corridoio deserto e incantato con un Quietus dove i quattro membri dell’Ordine del Caos si erano incontrati e seduti in un circolo cospiratorio.
I tre membri dell’Ordine del Caos tornarono al lavoro.
(Non era così triste. Fred e George avrebbero potuto ancora lavorare con Lee agli scherzi con i ragni giganti, come sempre. Avevano iniziato a chiamarlo Ordine del Caos solo per reclutare Harry Potter, dopo che Ron aveva detto loro che Harry era strano e malvagio, e Fred e George avevano deciso di salvare Harry mostrandogli vera amicizia e gentilezza. Fortunatamente questo non sembrava più necessario – sebbene non fossero completamente sicuri di ciò…)
“Quindi”, disse uno dei gemelli, “di che si tratta?”
“Rita Skeeter”, disse Harry. “Sapete chi è?”
Fred e George annuirono, accigliati.
“Sta facendo domande su di me.”
Non era una buona notizia.
“Potete indovinare cosa voglio che facciate?”
Fred e George si guardarono l’un l’altro, un po’ perplessi. “Vuoi che le rifiliamo qualcuna delle nostre caramelle più interessanti?”
“No”, disse Harry. “No, no, no! Questo è come pensare al ragno gigante! Forza, cosa fareste voi se sentiste che Rita Skeeter sta cercando voci su di voi?
Quello lo rese ovvio.
Ampi sorrisi nacquero lentamente sui volti di Fred e George.
“Inventeremmo voci su noi stessi”, risposero.
Esattamente”, disse Harry, con un ampio sorriso. “Ma non possono essere voci qualsiasi. Voglio insegnare alla gente a non credere mai a ciò che i giornali scrivono su Harry Potter, non più di quanto i Babbani credano a quello che i giornali scrivono su Elvis. All’inizio avevo pensato di inondare Rita Skeeter con tante di quelle voci che non avrebbe saputo a cosa credere, ma a quel punto sceglierebbe semplicemente quelle che le sembrano più plausibili e cattive. Quindi quello che voglio da voi è che inventiate una storia falsa su di me, e in qualche modo facciate sì che Rita Skeeter ci creda. Ma deve essere qualcosa che, successivamente, tutti sappiano che era falsa. Vogliamo imbrogliare Rita Skeeter e i suoi redattori, e dopo far uscire la prova che era falsa. E naturalmente – dato che questi sono i requisiti – la storia deve essere la più ridicola possibile, ed essere comunque pubblicata. Capite cosa voglio che facciate?”
“Non proprio…” Fred o George disse lentamente. “Vuoi che inventiamo la storia?”
“Voglio che facciate tutto”, disse Harry Potter. “Sono alquanto occupato ora, e poi voglio poter dire sinceramente che non avevo idea di cosa sarebbe successo. Sorprendetemi”.
Per un attimo vi fu un sorriso maligno sui volti di Fred e George.
Poi tornarono seri. “Ma Harry, non sappiamo davvero come fare nulla di tutto questo –”
“Allora scopritelo”, disse Harry. “Ho fiducia in voi. Non una fiducia completa, ma se non potete farlo, ditemelo, e proverò con qualcun altro, o lo farò io stesso. Se avete un’idea davvero buona – sia sulla storia ridicola, sia su come convincere Rita Skeeter e i suoi redattori a pubblicarla – allora potete procedere a realizzarla. Ma non scegliete qualcosa di mediocre. Se non riuscite a trovare qualcosa di fantastico, ditelo”.
Fred e George si scambiarono occhiate preoccupate.
“Non riesco a pensare a niente”, disse George.
“Neppure io”, disse Fred. “Mi dispiace”.
Harry li fissò.
E poi Harry iniziò a spiegare come si pensava alle cose.
Si sapeva che ci volevano più di due secondi, disse Harry.
Non dovevi mai considerare nessun problema impossibile, disse Harry, finché non avevi preso un vero orologio e ci avevi pensato per cinque minuti, secondo la lancetta dei minuti. Non cinque minuti metaforici, cinque minuti di un orologio fisico.
E inoltre, disse Harry, la sua voce enfatica e la sua mano destra che batteva forte sul pavimento, non dovevi cominciare cercando subito la soluzione.
Harry si lanciò poi in una spiegazione di un test fatto da qualcuno chiamato Norman Maier, che era qualcosa chiamato uno psicologo del lavoro, e che aveva chiesto a due serie diverse di gruppi di risoluzione dei problemi di affrontare un problema.
Il problema, disse Harry, riguardava tre impiegati che facevano tre lavori. Il più giovane voleva fare solo quello più facile. Il più anziano voleva ruotare tra i lavori, per evitare di annoiarsi. Un esperto di efficienza aveva raccomandato di dare il lavoro più facile all’impiegato più giovane e alla persona più anziana il lavoro più difficile, cosa che sarebbe stata più produttiva del 20%.
Un insieme di gruppi di risoluzione dei problemi aveva ricevuto l’istruzione “Non proporre soluzioni finché il problema non è stato discusso il più profondamente possibile senza suggerirne alcuna”.
L’altro insieme di gruppi di risoluzione dei problemi non aveva ricevuto istruzioni. E quelle persone avevano fatto la cosa naturale, e reagito alla presenza di un problema fornendo soluzioni. E le persone si erano affezionate a quelle soluzioni, e avevano iniziato a combattere per loro, e a discutere dell’importanza relativa della libertà rispetto all’efficienza e così via.
Il primo insieme di gruppi di risoluzione dei problemi, quelli che avevano ricevuto l’istruzione di discutere il problema prima e poi di risolverlo, avevano trovato più frequentemente la soluzione di lasciare all’impiegato giovane il lavoro più facile e di ruotare le altre due persone tra gli altri due lavori, che secondo i dati dell’esperto avrebbe portato un miglioramento del 19%.
Iniziare cercando le soluzioni metteva tutto completamene fuori ordine. Era come iniziare un pasto col dolce, solo male.
(Harry citò anche qualcuno chiamato Roby Dawes che diceva che più difficile era il problema, più era probabile che le persone cercassero di risolverlo subito.)
Quindi Harry avrebbe lasciato questo problema a Fred e George, e loro avrebbero discusso tutti i suoi aspetti e riflettuto su qualunque idea ritenessero remotamente rilevante. E avrebbero dovuto evitare di farsi venire in mente una vera soluzione finché non avessero finito di farlo, naturalmente a meno che avessero casualmente pensato a qualcosa di fantastico, in tal caso potevano annotarselo per dopo e tornare a pensare. E non voleva sentirli parlare di nessuna presunta incapacità a pensare a niente per almeno una settimana. Alcune persone passavano decenni a cercare di pensare alle cose.
“Qualche domanda?” disse Harry.
Fred e George si guardarono l’un l’altro.
“Non riesco a pensare a niente.”
“Neppure io.”
Harry tossì gentilmente. “Non avete chiesto il vostro tetto di spesa”.
Tetto di spesa? pensarono.
“Potrei dirvi l’ammontare”, fece Harry. “Ma penso che questo sia più motivante”.
Le mani di Harry andarono sotto le sue vesti, e tirarono fuori –
Fred e George quasi caddero, sebbene fossero già seduti per terra.
“Non spendetelo tanto per spenderlo”, disse Harry. Sul pavimento in pietra di fronte a loro, luccicava una somma di denaro assolutamente ridicola. “Spendetelo solo se l’idea fantastica lo richiede; e ciò che l’idea fantastica richiede, non esitate a spenderlo. Se dovesse rimanere qualcosa, restituitemelo dopo. Mi fido di voi. Oh, e riceverete il dieci percento di quanto è lì dentro, indipendentemente da quanto spendiate –”
Non possiamo!” esplose uno dei gemelli. “Non accettiamo denaro per queste cose!”
(I gemelli non prendevano denaro per fare cose illegali. Senza che Ambrosius Flume lo sapesse, rivendevano tutta la sua merce con margine zero; Fred e George volevano essere in grado di testimoniare – sotto Veritaserum se necessario – che non erano sciacalli criminali, ma solo fornitori di un servizio pubblico.)
Harry li guardò corrucciato. “Ma vi sto chiedendo metterci un vero impegno in questa cosa. Un adulto sarebbe pagato per fare qualcosa di simile, e conterebbe ancora come un favore a un amico. Non posso semplicemente assoldare qualcuno per questo genere di cose”.
Fred e George scossero le loro teste.
“Va bene”, disse Harry. “Vi farò dei costosi regali di Natale, e se proverete a restituirmeli li brucerò. Ora non sapete neppure quanto spenderò per voi, eccetto, ovviamente, che sarà di più di quanto avrei speso se aveste preso direttamente il denaro. E ho intenzione di comprare quei regali comunque, quindi pensate a questo prima di dirmi che non riuscite a pensare a niente di fantastico”.
Harry si alzò, sorridendo, e si girò per andarsene mentre Fred e George erano ancora a bocca aperta per lo stupore. Fece qualche passo, poi tornò indietro.
“Oh, un’ultima cosa”, disse Harry. “Tenete fuori il professore Quirrell da qualunque cosa facciate. Non gli piace la pubblicità. So che sarebbe più facile convincere la gente a credere a cose strane riguardo al Professore di Difesa che a chiunque altro, e mi dispiace esservi d’intralcio, ma per favore, tenetene fuori il professore Quirrell”.
E Harry si girò di nuovo e fece qualche passo in più –
Guardò indietro un’ultima volta, e disse, piano, “Grazie”.
E se ne andò.
Ci fu una lunga pausa dopo che se ne fu andato.
“Quindi”, disse uno.
“Quindi”, disse l’altro.
“Al Professore di Difesa non piace la pubblicità, no?”
“Harry non ci conosce molto bene, no?”
“No, non ci conosce.”
“Ma non useremo il suo denaro per quello, naturalmente.”
“Naturalmente no, non sarebbe giusto. Ci occuperemo del Professore di Difesa separatamente.”
“Convinceremo qualcuno a Grifondoro a scrivere a Skeeter, e dire…”
“… che la sua manica si è sollevata una volta a lezione di Difesa e che ha visto il Marchio Oscuro…”
“… e che sta probabilmente insegnando a Harry Potter ogni genere di cose spaventose…”
“… e che è il peggior Professore di Difesa che chiunque ricordi persino a Hogwarts, non sta semplicemente mancando di insegnarci, sta sbagliando tutto, l’esatto contrario di come dovrebbe essere…”
“… come quando ha affermato che puoi lanciare la Maledizione Mortale solo usando l’amore, cosa che la rende piuttosto inutile.”
“Mi piace questa.”
“Grazie.”
“Scommetto che piacerà anche al Professore di Difesa.”
“In effetti ha il senso dell’umorismo. Non ci avrebbe chiamati come ha fatto se non avesse il senso dell’umorismo.”
“Ma saremo davvero in grado di portare a termine il lavoro di Harry?”
“Harry ha detto di discutere il problema prima di provare a risolverlo, quindi facciamolo.”
I gemelli Weasley decisero che George sarebbe stato quello entusiasta mentre Fred avrebbe dubitato.
“Sembra tutto contraddittorio”, disse Fred. “Vuole che sia abbastanza ridicolo così che tutti ridano di Skeeter e sappiano che è falso, e vuole che Skeeter ci creda. Non possiamo fare entrambe le cose allo stesso tempo”.
“Dovremo falsificare delle prove per convincere Skeeter”, disse George.
“Quella era una soluzione?” chiese Fred.
Valutarono la cosa.
“Forse”, disse George, “ma io non penso che dovremmo essere così fiscali a riguardo, e tu?”
I gemelli scrollarono le spalle impotenti.
“Quindi le prove false devono essere abbastanza buone da convincere Skeeter”, disse Fred. “Possiamo farlo davvero da soli?”
“Non dobbiamo farlo da soli”, disse George, e indicò il mucchio di denaro. “Possiamo pagare altre persone per aiutarci”.
I gemelli misero su un’espressione pensierosa.
“Questo potrebbe consumare il denaro di Harry molto velocemente”, disse Fred. “È molto denaro per noi, ma non è molto denaro per qualcuno come Flume”.
“Forse la gente ci farà uno sconto se sa che è per Harry”, disse George. “Ma la cosa più importante è che, qualunque cosa facciamo, deve essere impossibile”.
Fred sbatté le palpebre. “Cosa intendi con impossibile?
“Così impossibile che non ci ficchiamo nei guai, perché nessuno crederebbe che noi avremmo potuto farlo. Così impossibile che anche Harry inizi a dubitarne. Deve essere surreale, deve far dubitare le persone della propria sanità mentale, deve essere… migliore di Harry”.
Gli occhi di Fred erano spalancati per lo stupore. Questo accadeva qualche volta, tra di loro, ma non spesso. “Ma perché?”
“Erano scherzi. Erano tutti scherzi. La torta era uno scherzo. La Ricordella era uno scherzo. Il gatto di Kevin Entwhistle era uno scherzo. Snape era uno scherzo. Noi siamo i migliori burloni di Hogwarts, ci arrenderemo senza neppure lottare?”
“È il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto”, disse Fred.
“E noi siamo i gemelli Weasley! Ci sta sfidando. Ha detto che potevamo fare quello che fa lui. Ma scommetto che non pensa che saremo mai bravi quanto lui.”
“Ha ragione”, disse Fred, sentendosi piuttosto nervoso. I gemelli Weasley erano talvolta in disaccordo anche quando avevano la medesima informazione, ma ogni volta che accadeva sembrava innaturale, come se almeno uno di loro due stesse facendo qualcosa di sbagliato. “Stiamo parlando di Harry Potter. Può fare l’impossibile. Noi no”.
“Si, possiamo”, disse George. “E dobbiamo essere ancora più impossibili di lui”.
“Ma –” disse Fred.
“È quello che farebbe Godric Grifondoro”, disse George.
E quello risolse la questione, e i due gemelli tornarono a… qualunque cosa fosse che era normale per loro.
“Va bene, allora –”
“– pensiamoci.”

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