1 – Il Progetto


Tiamatillaremeriati, tarda primavera del 5530 aC

Vista dall’alto, l’isola ha la forma di un grande 8 appoggiato sulle tiepide acque equatoriali dell’oceano, a centinaia di chilometri1 dalla costa più vicina.
La sua forma deriva dai due grandi coni vulcanici, alti entrambi più di tremila metri, che ne costituiscono la massa centrale, circondati da un’ampia fascia di terreno che li congiunge e che digrada verso la spiaggia di sabbia candida. I vulcani sono estinti ormai da milioni di anni e in tutto questo tempo sulla superficie dell’isola si è accumulato uno spesso strato di terriccio fertile. Il suo nome, Tiamatillaremeriati, nella lingua del Popolo significa “L’isola che è la nuova casa del Popolo” ma normalmente, in questi ultimi tempi, viene chiamata semplicemente Tiamat, l’Isola.
La cultura che chiama se stessa il “Popolo” è molto antica, la sua storia si snoda per decine di migliaia di anni nel passato, ma ha sempre avuto la tendenza all’isolazionismo. Anche adesso, Tiamat è abitata esclusivamente dal Popolo, e il Popolo abita solo a Tiamat.
Non è che i suoi abitanti non sappiano che ci sono altre popolazioni umane sparse nei continenti del mondo ma, semplicemente, non hanno nessun interesse nell’avere a che fare con quelli che chiamano gli uomini selvaggi. Il popolo è stabile con le sue 36 tribù, autosufficiente e felice sulla sua Isola, i selvaggi possono tenersi tutto il resto del mondo.
In questa mattina di fine maggio quasi duecento persone si stanno riversando nella Grande Sala, nei sotterranei della Casa delle Scienze Materiali della città di Sorna. La sala è un ovale con l’asse maggiore di circa quaranta metri, gli ospiti arrivano alla spicciolata attraverso i portali, si fermano a chiacchierare formando piccoli capannelli nell’area centrale e poi, un po’ per volta, prendono posto a sedere sulle ampie gradinate disposte lungo tutta la sua circonferenza.
Gli invitati sono tutti inviati ufficiali delle trentasei tribù, molti di loro sono Testimoni per le Menti delle rispettive tribù; un Testimone è una figura a metà strada tra quello che noi definiremmo un ambasciatore e un giornalista: ha il compito di presenziare alle cerimonie e occasioni ufficiali e, in genere, a tutte le circostanze di interesse generale, e di riferire le sue osservazioni, e soprattutto il suo punto di vista, alla Mente della propria tribù che le registra e le trasmette agli altri cittadini che ne siano interessati. L’occasione di oggi è così importante che è persino presente il Testimone dell’Osservatore, la trentasettesima Mente che non appartiene a nessuna tribù e rappresenta e garantisce l’unità del Popolo stesso.
Quando finalmente tutti hanno preso posto sulle tribune, sale sul piccolo podio al centro della sala Temerisorna. Teme ha 427 anni, anche se ne dimostra una trentina, ed è una di quelle rare persone che preferiscono portare avanti una singola carriera per tutta la vita, invece che cambiare specializzazione ogni pochi decenni come fanno quasi tutti; ormai da più di duecento anni è una direttrice di sezione alla Casa delle Scienze Materiali.
Da quattro anni è a capo del Progetto Fotosfera Solare, da lei avviato, e la presentazione di oggi rappresenta probabilmente il culmine della sua carriera. Prende la parola senza fretta, lanciando un rapido sguardo alla strana struttura a fianco del podio, un cilindro di vetro del diametro di un metro e mezzo e alto circa il doppio:
– Onorevoli Testimoni, gentili ospiti e stimati colleghi, – esordisce la direttrice – a nome del Progetto Fotosfera Solare vi do il benvenuto a questa presentazione. Dopo quattro anni di preparazione e di studi, oggi siamo finalmente pronti ad attivare la prima fase del Progetto. Per quelli tra di voi che non conoscono già le modalità e gli scopi dell’esperimento a cui stiamo per assistere, darò prima una breve descrizione di quello che vogliamo ottenere.
– Tutti voi sapete certo che il Sole è una stella come la maggioranza di quelle che si vedono in cielo la notte e che ci sembra così grande e luminosa solo perché è più vicina a noi. Ma più vicina in questo caso è un concetto molto relativo: la superficie del Sole dista da noi circa centocinquanta milioni di chilometri e, nonostante questo, la luce che arriva fino a noi è in ultima analisi l’unica fonte di energia che sostiene la vita sulla Terra.
– Provate a immaginare quale immensa potenza potremmo attingere dal Sole se potessimo piantare una sonda sulla sua superficie o, ancora meglio, all’interno della sua atmosfera. Il Sole, come tutte le stelle, è costituito da un nucleo estremamente denso e incredibilmente caldo, circondato da un’atmosfera di idrogeno ed elio molto più rarefatta e con temperature fortemente variabili a seconda dell’altitudine.
– Come dice il suo stesso nome, il Progetto Fotosfera Solare ha come obiettivo aprire un portale tra una zona dell’atmosfera del Sole chiamata fotosfera e la Terra. La fotosfera è formata da gas a una temperatura stimata tra i 5000 e i 6000 gradi ma estremamente rarefatti, con densità mille volte inferiori a quella dell’atmosfera terrestre; se non fosse così calda, potremmo tranquillamente considerarla spazio vuoto, ma a una temperatura così elevata questi gas, pur così radi, emettono tutta la luce che viene poi emessa dal sole.
– Quando attiveremo il portale, il cilindro di vetro che vedete di fianco a me, e che al momento è perfettamente vuoto, entrerà in comunicazione con un’area di circa un decimo di metro quadro della fotosfera e il plasma surriscaldato si riverserà all’interno, riempiendo la camera cilindrica.
Qualcuno dal pubblico aveva segnalato di voler fare una domanda, e Temerisorna gli cede la parola: – Direttrice, il vostro progetto è senza dubbio impressionante, ma non sarà un po’ pericoloso portare un pezzetto di Sole nella stessa sala in cui ci troviamo anche noi?
Si sentono alcune risatine nervose da parte di altri spettatori che evidentemente avevano condiviso lo stesso timore. Ma Teme risponde tranquillamente: – Ringrazio l’onorevole Testimone di Hulva per questa domanda. Naturalmente questo è solo un primo esperimento in piccola scala; calcoliamo che questo contenitore, una volta che sarà riempito dal plasma della fotosfera, irradierà luce con una potenza di poche centinaia di Watt: abbastanza per essere ben visibile anche in questa sala ben illuminata, ma del tutto innocua. Se anche il contenitore si spezzasse, la pressione della nostra atmosfera impedirebbe l’afflusso di altro plasma e i pochi grammi di idrogeno si disperderebbero immediatamente nell’aria raffreddandosi a temperatura ambiente. L’effetto su di noi sarebbe paragonabile all’apertura della porta di un forno da pane: una breve ventata di aria tiepida.
– Sarebbe ben diverso se invece di attingere alla fotosfera avessimo deciso di collegarci alla cromosfera: lì i gas sono ancora più rarefatti, ma le temperature salgono a centinaia di migliaia di gradi. In quel caso sì che ci sarebbe un pericolo, in quanto la maggior parte dell’energia irradiata sarebbe nella banda dell’ultravioletto e dei raggi X, entrambi potenzialmente dannosi. Ma la fotosfera ha temperature paragonabili a quelle della fiamma di una candela, per di più estremamente rarefatta.
Prende poi la parola Romotavidarfa, un insigne scienziato della tribù di Darfa: – Stimata collega, sono rimasto sorpreso e sconcertato dalla tua illustrazione: come è possibile aprire un portale nell’atmosfera del Sole, dove non ci sono corpi solidi che possano fare da ancora?
– Vedo con piacere che all’illustre collega di Darfa non è sfuggito il principale problema che abbiamo dovuto affrontare per la realizzazione del Progetto. Come tutti certamente sapete, la tecnica dei portali trans-spaziali che il nostro Popolo usa con soddisfazione da decine di migliaia di anni, richiede che entrambe le estremità di un portale siano ancorate a un oggetto solido che determina la posizione e l’orientamento del portale stesso nello spazio circostante. Poiché nell’atmosfera solare non esistono corpi solidi, non esiste in realtà nulla se non gas estremamente rarefatto, sarebbe impossibile ancorare al suo interno un portale utilizzando i metodi classici.
– È per questo motivo che la prima fase del Progetto Fotosfera Solare, quella che ha richiesto quasi quattro anni di lavoro teorico e sperimentale ai nostri migliori scienziati materiali, è stata indirizzata al tentativo di aggirare questo problema; i nostri studi non sono ancora pronti per essere pubblicati ufficialmente, ma una relazione preliminare è già archiviata sia nella Mente di Sorna che nell’Osservatore sotto il vincolo del segreto temporaneo. Il risultato che abbiamo ottenuto è di poter ancorare un portale non a un oggetto solido ma a una configurazione del campo gravitazionale; in parole povere, siamo adesso in grado di definire la posizione e l’orientamento di un portale in termini di distanza dal centro di massa di due oggetti, anche non solidi, purché siano sufficientemente massicci.
– I primi esperimenti sono stati effettuati nel punto intermedio tra Terra e Luna, aprendo in quella posizione un portale ancorato non a un punto materiale della Terra, nel qual caso il portale avrebbe girato intorno alla terra seguendo la sua rotazione ogni ventiquattro ore, ma alla combinazione dei centri di massa di Terra e Luna, ottenendo un portale “fermo” in un punto intermedio tra i due corpi. L’esperimento di oggi si baserà sullo stesso principio, utilizzando come ancore i centri di massa del Sole e del pianeta Venere, ottenendo così l’apertura di un portale a settecentomila chilometri dal centro del Sole sulla linea ideale che lo collega con Venere, in altre parole una posizione al centro della fotosfera.
– Ma quindi questo punto di ancoraggio si muoverà insieme alla rivoluzione di Venere? – Chiede ancora Romotavidarfa.
– Certamente, – confermò Teme – ma anche considerando l’eccentricità dell’orbita di Venere, che è molto piccola, non uscirà mai dalla fotosfera e, per i nostri scopi, qualunque punto della fotosfera andrà bene.
Dopo altre richieste di chiarimenti, la questione più importante viene sollevata dal Testimone dell’Osservatore, che quest’anno proviene dalla tribù Disa: – Direttrice, tutto questo è sicuramente interessante, almeno per chi si occupa di scienze materiali, ma qual è la sua utilità pratica? Non mi pare che abbiamo veramente bisogno di nuove fonti di energia, quando possiamo attingerne a volontà dai collettori solari installati lungo l’equatore lunare. Per quanto tu ci rassicuri sul fatto che questo esperimento non comporta nessun rischio, detto in termini molto brutali, a cosa serve?
– È una buona domanda, Testimone, e merita una risposta approfondita. Lascio la parola a Karlatisorna che è il nostro maggiore esperto di climatologia e geologia.
Karlatisorna sale sul podio al posto di Teme. È un uomo non molto alto, con la carnagione abbastanza scura, a differenza della maggior parte dei Sorna. Si schiarisce la voce prima di cominciare a parlare: – È veramente una buona domanda, onorevole Testimone, e la risposta è molto semplice: a salvare il Popolo dall’esilio o dalla distruzione.
Attende che il brusio che ha accolto le sue parole si acquieti e riprende: – Il pericolo di cui sto parlando si chiama “riscaldamento globale”. Ormai da molte migliaia di anni, la temperatura media della Terra sta gradualmente aumentando; lo sappiamo da tempo, ma abbiamo sempre pensato di non poter fare nulla per evitarlo e che, prima o poi, il problema si sarebbe risolto da solo.
– Non è così, purtroppo, e abbiamo una quantità di prove che ce lo confermano. Da quando il Popolo è migrato su Tiamatillaremeriati, l’aumento delle temperature ha causato lo scioglimento della maggior parte dei ghiacci perenni, soprattutto nei continenti dell’emisfero settentrionale, provocando un innalzamento di quasi cinquanta metri del livello dell’Oceano.
– In appena ottomila anni quasi un terzo della superficie di Tiamat è stata sommersa dalle acque, e la tendenza non accenna a cambiare. Già due volte, la prima intorno ai seimila anni fa e poi di nuovo duemila anni dopo, il riscaldamento si era fermato, e il Popolo aveva sperato che il fenomeno potesse invertirsi, ma in entrambi i casi dopo una pausa di pochi secoli il livello delle acque aveva ricominciato a salire. Vedo che tra voi è presente lo stimato decano della tribù Sarna, che potrà confermarvi le mie parole quale testimone oculare.
La persona a cui Karla si riferisce è una donna seduta nel settore di Sarna. Nonostante l’aspetto giovanile è l’esponente più anziano della sua tribù e, con i suoi tremilaottocentoquarantasette anni, la terza persona più anziana dell’intero Popolo. Annuisce col capo e fa segno a Karlatisorna di proseguire.
Il climatologo ringrazia con un cenno e riprende a parlare:– Con l’innalzamento del livello dell’oceano abbiamo già perso quasi metà dei terreni coltivabili, comprese le aree più fertili nelle pianure centrali. Finora abbiamo potuto compensare la perdita migliorando le nostre tecniche agricole e selezionando e raccogliendo specie più produttive, grazie soprattutto agli sforzi della tribù Disa. Ma questo non potrà durare ancora a lungo.
– Se non facciamo qualcosa gli ultimi ghiacciai dei continenti settentrionali e del continente antartico si scioglieranno nell’arco di poche migliaia di anni e, secondo le nostre stime, l’Oceano salirà almeno di altri 50 metri distruggendo circa il novanta per cento dei terreni coltivabili che ci sono rimasti, per non parlare di almeno dodici delle Trentasei Città. Giunti a questo punto abbiamo solo due possibilità e poco tempo per decidere: o emigriamo di nuovo, abbandonando per sempre Tiamatillaremeriati al suo destino, oppure dobbiamo cercare di usare le nostre risorse per invertire il riscaldamento globale.
– La prima ipotesi è chiaramente inaccettabile: siamo qui da soli 8000 anni, chiamiamo ancora quest’isola la nuova casa del Popolo, e dovremmo già andarcene e lasciare che l’Oceano distrugga tutto quello che abbiamo e costruito? E comunque, dove potremmo andare? In realtà non esistono molte isole abbastanza grandi e disabitate in cui ci possiamo trasferire e, nei pochi casi disponibili, non abbiamo in realtà nessuna idea di come il disgelo degli ultimi ghiacciai potrà mutare il clima: potremmo investire tutte le nostre risorse nella migrazione in un territorio che nel giro di pochi secoli diventerà un deserto arido!
– L’unica alternativa realistica che abbiamo è la geoingegneria: modificare artificialmente il clima terrestre in modo tale da favorire la ricrescita dei ghiacciai, possibilmente fino a tornare ai livelli di 8000 anni fa. I meccanismi che favoriscono la crescita o la riduzione dei ghiacciai sono complessi ma il nostro gruppo di ricerca ha sviluppato dei modelli che sembrano dimostrare che questo sia possibile.
– A una condizione: il primo intervento assolutamente necessario per innescare un’inversione di tendenza, consiste nell’aumentare l’albedo della Terra per almeno alcune decine di anni, in modo da ridurre la quantità di luce solare che raggiunge la superficie. In un secondo tempo, sarà possibile modificare le correnti oceaniche in modo da ridurre o bloccare l’afflusso di acqua calda al continente settentrionale, stabilizzando in questo modo la tendenza al congelamento.
– Il modo più semplice per aumentare l’albedo è di immettere una grande quantità di polveri nella stratosfera, polveri che rifletterebbero verso lo spazio esterno una percentuale significativa della luce solare. Il problema è che la superficie terrestre è immensa, per ottenere lo scopo che ci prefiggiamo è necessario immettere nell’atmosfera molti miliardi di metri cubi di polvere e questo, fino ad oggi, era totalmente al di fuori delle nostre possibilità.
– E come può il Progetto Fotosfera aiutarci a raggiungere questo obiettivo? – Chiede ancora il Testimone dell’Osservatore.
È Temi a riprendere la parola e a rispondere a questa domanda: – Gli unici fenomeni naturali a noi conosciuti che possano portare grandi masse di particelle nella stratosfera, sono le esplosioni vulcaniche. Occasionalmente un grande vulcano non trova sfogo per la pressione generata dal magma al suo interno e quindi accumula lentamente energia fino a che, all’improvviso, la pressione è sufficiente a sfondare l’ostacolo e si verifica quella che viene chiamata un’eruzione esplosiva; la pressione interna lancia grosse quantità di magma ad altezze considerevoli, anche molti chilometri. Parte di questo magma si solidifica in rocce che ricadono rapidamente a terra, ma una percentuale significativa si solidifica in particelle così piccole da restare in sospensione nell’atmosfera per mesi, o addirittura per anni.
– Si dà il caso che quasi al centro del continente al di là dall’oceano occidentale, esista un supervulcano in attività. La sua ultima eruzione risale a seicentomila anni fa, e da allora il suo serbatoio di magma ha continuato a riempirsi e ad aumentare di pressione. Prima o poi esploderà di nuovo, e calcoliamo che la quantità di polveri che lancerà nell’atmosfera potrebbero essere sufficienti ad innescare un nuovo congelamento.
– Il problema è che non sappiamo quando questo avverrà: lasciato a se stesso il vulcano potrebbe esplodere domani o fra mille o centomila anni. Temo proprio che non possiamo permetterci di aspettare così a lungo…
Temi aspetta che cessino le prevedibili risatine tra il pubblico e riprende: – Quindi abbiamo deciso di dargli una mano. La seconda fase del Progetto prevede di aprire un portale di una decina di metri di diametro, tra il centro della camera del vulcano e il nucleo del Sole.
– I nostri calcoli ci dicono che un portale del genere, aperto per pochi secondi, porterà al travaso di alcuni milioni di tonnellate di massa solare, materia a temperature di molti milioni di gradi, a una pressione dell’ordine del miliardo di atmosfere. Il colpo di ariete provocato dall’effetto combinato di pressione e aumento della temperatura dovrebbe sfondare l’intero tetto del vulcano e provocare un’esplosione che farà tremare la terra sotto i nostri piedi persino qui, quasi agli antipodi.
– È questo quindi l’obiettivo a lungo termine del Progetto Fotosfera Solare: re-innescare il meccanismo della glaciazione e invertire il trend attuale di riscaldamento globale. Questo comunque sarà nel futuro, anche se prossimo, per oggi ci limiteremo all’esperimento di cui vi ho parlato all’inizio, il prelievo di pochi grammi di fotosfera solare.
Temerisorna aziona un comando e il Sole entra nella sala sotterranea.


1Per semplicità e per non annoiare troppo il lettore, userò nel testo unità di misura e riferimenti temporali moderni. È chiaro che il Popolo non usava chilometri, litri e ore; se è per questo non usava neanche la numerazione decimale. Se proprio ci tenete, potrò aggiungere un’appendice al riguardo, ma vi avverto sin d’ora che sarebbe del tutto irrilevante ai fini della storia.

10 commenti su “1 – Il Progetto”

  1. Un racconto di fantascienza e si parla di geoingegneria.. Mi piace! Non più scie chimiche ma far eruttare un vulcano! 😀
    Ma il far entrare nel vulcano quella pressione e quella temperatura, non può scombussolare il nucleo e far esplodere anche altri vulcani?

    1. Dubito. Stiamo parlando dell’energica equivalente a una grossa bomba H, a pochi km di profondità (sui 6000 e passa che separano la superficie dal nucleo).

  2. Concordo sull’uso di sistemi di misura attuali (del resto quando dici che l’isola ha la forma di un 8 ti riferisci ai numeri romani) ma la cosa stride un po’ nel discorso diretto. Lo stesso vale per “lo sportello del forno da cucina”.
    Ribadisci che il Sole è una stella ma non spieghi cosa sia l’albedo.

    1. Un’isola a forma di VIII sarebbe veramente molto strana! 🙂 Non capisco perche’ “stride”.
      Ribadisco che il sole e’ una stella, per parlare di nucleo e fotosfera, il che e’ essenziale per seguire il resto del discorso. Cosa sia l’albedo e’ secondario e comunque e’ spiegato indirettamente poco dopo.
      Sul forno da cucina sono d’accordo con te, e’ un anacronismo. In effetti il Popolo tendeva a non avere cucine come noi le intendiamo, locali appositi di pertinenza a ogni singola unita’ abitativa, ma piuttosto cucine di tipo comunitario.
      In particolare nella tribu’ Sorna, quella a cui appartiene anche Temerisorna la preparazione e la consumazione dei pasti principali e’ un momento con caratteristiche sacrali, che viene esplicato quanto piu’ possibile in comune, all’interno di ciascuno dei trentasei clan della tribu’.

  3. C’è una cosa che mi lascia perplesso (solo un poco).
    Questo popolo estremamente evoluto, che ha un’aspettativa di vita lunghissima, che ragiona in termini temporali quasi geologici (8000 anni sono pochi per cambiare “casa”), va ad eleggere la sua patria su un’isolotto con due vulcani?
    Io mi sarei aspettato che avessero scelto uno zoccolo continentale molto più stabile.

    1. Oh, pensavo di averlo scritto che sono due vulcani spenti.
      No, hai ragione , non l’ho scritto, ma si tratta di dimenticanza da parte mia; correggerò.

  4. “– Tutti voi sapete certo che il Sole è una stella come la maggioranza di quelle che si vedono in cielo la notte e che ci sembra così grande e luminosa solo perché è più vicina a noi. Ma più vicina in questo caso è un concetto molto relativo: la superficie del Sole dista da noi circa centocinquanta milioni di chilometri e, nonostante questo, la luce che arriva fino a noi è in ultima analisi l’unica fonte di energia che sostiene la vita sulla Terra.”

    Non e vero. IL calore endogeno della terra e’ quelo che provocando un flusso di calore salla suerficie allo spazio, permette il mantenimento dell’ttuale temperatura superficiale. Se ci fosse solo ‘irraggiaento solare a mantenere la temperatura, saremmo su un pianeta gihiacciato:

    Inoltre esistono organismi che traggono la loro energia dall emissione di acqua ipercalda nelle profondita’ dell’oceano (“nlack smokers”) Ipercalda perche’ a causa dell forte pressione, ceninaia di bar, nonostante la temperatura sia ampiamente superiore ai 100 gradi, e’ in fase liquida.

    Torando gli agli organismiche prolificano prezzo quei camini, c’e unaintera catena lamentare che si sviluppa e prolifica in totale assenza di luce o altre forme di energia che derivi dal soli. Sono organismi “estremofili” e pure dei vermi tubulari e dei crostacei ne fanno parte.

    1. Pignolo.
      Comunque la frase è sostanzialmente quasi corretta: escludendo gli estremofili e i loro predatori, tutte le forme di vita terrestri traggono la maggior parte della loro energia dal sole.

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