17 – Costituente


Luna, sabato 22 marzo 2025

Sono in tredici, l’intera popolazione lunare, tutti riuniti nella sala 07, quella della tribù Sorna, ora utilizzata da Kathleen come studio. È stato liberato un po’ di spazio e sono tutti seduti su seggiole, salvo Kate che ha convocato la conferenza ed è alla sua scrivania dove si trova il suo computer, attualmente collegato a un videoproiettore.
– Questo è il progetto preliminare dell’intera città, – annuncia indicando l’immagine proiettata sulla parete – naturalmente ci vorranno molti anni per arrivare a costruirla tutta, ma Reinaldo mi ha chiesto di pensare in grande.
Lo schermo mostra l’immagine tridimensionale di un cilindro basso e largo, con un foro centrale grande quasi la metà del suo diametro esterno; la prima impressione è di uno stampo per ciambelle. Mentre Kate parla, l’immagine si modifica aggiungendo nuovi dettagli: – Vista così sembra una cosa piccolina, ma in realtà avrà un diametro esterno di circa tre chilometri e mezzo per un’altezza di poco meno di un chilometro; naturalmente sarebbe una follia cercare di progettare in anticipo ogni dettaglio di una struttura così immensa, ma per fortuna questo non è necessario; l’urbanistica nell’era dei portali ha un immenso vantaggio rispetto alla sua versione più antica in quanto non abbiamo bisogno di preoccuparci di tutte quelle infrastrutture che sono fondamentali quando si progetta una città sulla Terra: strade, fognature, distribuzione di acqua ed energia elettrica, linee telefoniche… sono tutte cose che noi possiamo considerare obsolete, dato che possiamo posare un tubo, o un cavo, che va da un punto a un altro senza passare per lo spazio intermedio.
– La struttura è divisa in dodici livelli, sovrapposti l’uno all’altro e sostanzialmente uguali tra loro. – Mentre parla l’immagine mostra le divisioni tra i livelli, come se il cilindro venisse tagliato in fette circolari; undici fette svaniscono, mentre l’unica superstite ruota sullo schermo per cambiare punto di vista.
– Ogni livello è a sua volta diviso in nove anelli, ciascuno dei quali è ulteriormente diviso in settori. – L’immagine cambia di nuovo indicando le linee di separazione tra gli anelli e i settori. – L’anello più interno, il più piccolo, è diviso in dodici settori, il successivo in quattordici e così via fino al nono anello che è diviso in ventotto settori. Il numero di settori aumenta andando dall’interno all’esterno nella stessa proporzione in cui aumentano le circonferenze degli anelli: in questo modo tutti i settori hanno la stessa superficie, indipendentemente dall’anello a cui appartengono; l’unica differenza starà nel fatto che i settori più interni avranno una maggiore curvatura di quelli esterni. – Li evidenzia sullo schermo ed effettivamente quello interno ha una forma che ricorda una banana.
L’immagine cambia di nuovo, zoomando su un singolo settore che viene ad occupare l’intero schermo. Kate riprende a parlare: – In pratica possiamo progettare l’interno di un settore, o habitat, in modo quasi del tutto indipendente da dove verrà a trovarsi all’interno della città, con solo piccoli adattamenti per tenere conto della curvatura differente. L’habitat può essere immaginato come una grande caverna di circa quattrocento metri di lunghezza per cento di larghezza, con un soffitto a volta cilindrica alto fino a cinquanta metri al centro e quaranta ai bordi, con all’interno un certo numero di edifici. Gli habitat verranno creati asportando, mediante portali mobili, la roccia direttamente dal sottosuolo lunare; questo ci fornisce un’incredibile vantaggio: invece di svuotare completamente l’habitat e costruire successivamente al suo interno degli edifici in mattoni o cemento, possiamo realizzarne le strutture portanti semplicemente lasciando al suo posto la roccia e asportando solo quella che non ci serve. Questo significa che l’Osservatore può da solo, senza bisogno di mano d’opera umana, realizzare un intero habitat e tutti gli edifici che deve contenere in pochi giorni; naturalmente sarà poi necessario aggiungere tutte le sovrastrutture: rivestimenti, infissi, mobili e così via.
Myra ha fatto segno di voler dire qualcosa e Kate le lascia la parola: – A parole è un’idea bellissima, ma hai tenuto conto degli eventuali problemi strutturali? Con il cemento armato un progettista conosce esattamente le caratteristiche di resistenza e di elasticità del materiale, ma in questo caso…
– Sì, Myra, ci abbiamo pensato. – Risponde immediatamente Kathleen: – Reinaldo ha scelto come sito per la città la zona del Mare delle Nubi, vicino al centro della faccia della Luna visibile dalla Terra. Abbiamo fatto dei sondaggi e abbiamo verificato che per almeno due chilometri di profondità l’area che abbiamo scelto è una massa compatta di roccia basaltica, i campioni che abbiamo prelevato e mandato ad analizzare sulla Terra alla Minerals & Metals Analytics sono risultati molto omogenei tra loro, quindi riteniamo di poter contare sulle caratteristiche meccaniche della roccia. Naturalmente – aggiunge – potremmo essere sfortunati e trovare che la lastra di roccia che deve costituire ad esempio una parete contiene delle impurità o dei difetti: in tal caso nessuno ci impedirebbe di restaurare in cemento armato la struttura difettosa: se anche dovessimo ricostruire il dieci per cento degli edifici, avremmo comunque risparmiato il novanta per cento del lavoro!
È Wu a porre la successiva domanda: – Ma in definitiva, quanto sarà grande questa città? Quanta gente ci potrà abitare?
– Beh, dipende da quanto vogliamo densa la popolazione. – Risponde cauta Kathleen: – Il progetto che vi farò vedere fra poco, quello del primo habitat che costruiremo, prevede edifici con una superficie calpestabile di circa sessantamila metri quadri; considerando che una parte di questi saranno attività commerciali, possiamo calcolare dai mille ai millecinquecento abitanti.
– Attività commerciali? – È Uki a interromperla questa volta.
– Sì, certo. Dovranno esserci negozi, ristoranti, servizi, tutto quello che ti aspetteresti di trovare in una città; stiamo progettando un posto in cui la gente venga a vivere, non solo a lavorare. Ogni livello sarà formato da centoottanta settori, quindi un livello completo potrà ospitare circa duecentomila abitanti; moltiplicato per dodici livelli dà un totale di circa due milioni e mezzo.
Nella sala si sente un mormorio di sbalordimento. Reinaldo prende la parola: – Naturalmente, come Kate ha detto all’inizio, non sarà una cosa da realizzare in poco tempo. La città dovrà crescere insieme alla popolazione, ci vorranno almeno cent’anni per arrivare a completarla; ma progettandola sin d’ora in questo modo, speriamo di creare una struttura ben organizzata e funzionale, a differenza delle città terrestri che, chi più chi meno, sono sempre cresciute oltre le intenzioni dei fondatori.
– Vuoi dire che stai già progettando per tutti i prossimi cent’anni? – Chiede Jane che finora era rimasta zitta ad ascoltare.
– No, – risponde seccamente Reinaldo – almeno per i prossimi mille; quello che abbiamo fatto qui nell’ultimo anno è solo l’inizio di un processo che richiederà molti secoli per essere concluso. D’altra parte, come sapete, per la prima volta nella storia possiamo permetterci di progettare veramente a lungo termine.
– Se permettete, – si intromette Kathleen, leggermente irritata – finirei la mia presentazione; poi potremo discutere i dettagli. – Mormorii e cenni di assenso dagli altri, e lei riprende a parlare: – Ecco, volevo solo farvi vedere quest’ultima parte: un rendering tridimensionale del progetto per il primo habitat, visto dall’interno.
Sullo schermo, la grande banana del profilo dell’habitat comincia a muoversi e il punto di vista si sposta. Ora lo spettatore si trova all’interno dell’habitat, al centro di una piazza spoglia che si estende a perdita d’occhio sia a destra che a sinistra, mentre davanti si staglia la facciata di un immenso edificio.
– Naturalmente il progetto non è ancora completo nei dettagli, – si scusa Kathleen – manca ancora tutto l’arredo della piazza. Lo spazio aperto è lungo trecentocinquanta metri e largo settanta, c’è posto per aiuole, alberi, una fontana… insomma, per tutto quello che vorremo metterci. I quattro lati della piazza come vedete sono delimitati e circondati da un unico edificio, il che aiuta a nascondere il fatto che ci troviamo in una caverna; il piano al livello stradale ospiterà negozi, uffici e attività commerciali, per una profondità di circa venticinque metri, mentre i cinque piani superiori saranno adibiti ad abitazione. – Il punto di vista si sposta ancora, avvicinandosi all’edificio e alzandosi a mezz’aria – Potete vedere che la facciata di ciascun piano è rientrata di circa tre metri rispetto a quella del piano inferiore, lasciando davanti a ciascun appartamento lo spazio per un terrazzo o giardino e che ogni venti o trenta metri la facciata rientra lasciando lo spazio per le finestre dei locali posteriori; questo fa sì che la vista dalla piazza non sia quella di un canyon tra due muraglie verticali, ma dia più l’effetto di una valle racchiusa tra basse colline, o tra due file di grandi ziggurat.
– Il soffitto invece, – conclude – si trova a cinquanta metri di altezza dal centro della piazza e a più di dieci metri dai giardini dell’ultimo piano. Stiamo progettando un sistema di illuminazione diffusa, basata su specchi e portali che riportino la luce solare, e si potrebbe arrivare a dipingere l’intera volta di azzurro e proiettarci sopra l’immagine del Sole stesso, in modo da creare un’illusione credibile di cielo.
– Mi piace! – Myra, entusiasta come sempre: – Però una città non ha bisogno solo di edifici e muri: ci vorranno acqua, elettricità fognature…
È Reinaldo a risponderle: – Hai ragione, e sono problemi che dovremo affrontare subito. In realtà le cose che hai nominato sono le più facili da realizzare: per l’acqua potabile è sufficiente un desalinizzatore, alimentato prelevando acqua da un oceano terrestre, a una profondità tale da utilizzarne la pressione per un impianto a osmosi inversa; per l’elettricità dovremo acquistare e modificare un generatore a turbina, come quelli che si usano nelle centrali elettriche a gas, ma invece di bruciare combustibili otterremo il calore dal Sole; per le fognature invece sarà sufficiente ricavare da qualche parte nel sottosuolo delle fosse settiche e vasche di sedimentazione, e poi ributtare le acque di risulta nell’oceano.
– In realtà, Myra, – interviene Shauna – il problema tecnicamente più difficile è quello a cui non hai neanche accennato: l’aria!
– Oh…
– Già, l’aria. – Riprende Reinaldo: – Abbiamo pensato a riciclare l’aria mediante colture idroponiche, o produrre ossigeno per elettrolisi dell’acqua, ma sono approcci inaffrontabili, almeno per il momento. L’elettrolisi è troppo costosa, e le colture idroponiche potrebbero essere una soluzione, ma ci servirebbe uno spazio almeno dieci volte superiore a quello occupato dalla città e, francamente, non è realistico.
– E quindi dovremo trattenere il fiato? – Ironizza qualcuno.
– … e quindi continueremo a fare quello che stiamo facendo già adesso. – Ribadisce Reinaldo seccato: – Continueremo a prendere aria pulita dall’atmosfera terrestre e a scaricare indietro aria viziata. È un sistema che non mi piace per due motivi: primo, ci mantiene dipendenti dalla Terra e secondo richiede di avere dei portali costantemente aperti nell’atmosfera, il che è potenzialmente un rischio sia per noi che per i terrestri.
– In che senso sarebbe un rischio? – Chiede Massimo.
– Per noi, perché se si sapesse dove sono questi portali, potrebbero diventare un modo per arrivare a noi; per i terrestri perché se un aereo colpisse per caso il bordo di un portale si troverebbe tagliato in due…
– E quindi, qual è la soluzione?
– Non c’è! – Risponde Reinaldo esasperato: – Non abbiamo una soluzione semplice, tutto quello che possiamo fare è aprire molti piccoli portali, a una quota tale da non interferire con le linee aeree; questo però significa che l’aria sarà estremamente fredda e rarefatta, quindi dovremo comprimerla e scaldarla prima di immetterla nell’habitat, e questo è un costo così stupido che mi fa andare in bestia…
– Ma se noi… – Cominciò a dire Dimitri, uno dei programmatori amici di Myra. Si interruppe e poi riprese con più sicurezza: – Ma perché non possiamo prendere l’aria a livello del mare, in modo da non doverla comprimere, e poi rilasciarla nell’alta atmosfera sfruttando la differenza di pressione? In questo modo non avremmo bisogno di pompe o altre attrezzature complicate…
– Perché non riusciremmo a nascondere la nostra attività. – Risponde Reinaldo sbrigativo: – Dovremmo scambiare qualcosa come un metro cubo all’ora per persona, il che significa che ogni singolo habitat dovrebbe far circolare almeno un migliaio di metri cubi all’ora. Ammettendo di usare un portale di un metro quadro, questo genererebbe una corrente d’aria con una velocità di un chilometro all’ora, assolutamente percepibile. E questo va calcolato per ogni singolo habitat!
– D’accordo, ma non basterebbe aprire questi portali in luoghi completamente disabitati, in modo che nessuno se ne accorga?
– Non esistono luoghi sulla Terra dove non passi veramente mai nessuno! – Ribatte Reinaldo: – Anche se lo aprissimo al centro del Sahara, prima o poi qualcuno si accorgerebbe di questo vento continuo e verrebbe a investigare.
– Anche se fosse nel centro dell’Antartide? – Insiste Dimitri.
Reinaldo rimane per un momento senza parole: – Ok, ammetto che non avevo pensato all’Antartide. Certo, anche lì ogni tanto ci sono delle spedizioni scientifiche, ma…
– Per quanto tempo potremmo resistere senza ricircolo dell’aria? – Chiede Shauna.
– Almeno una settimana senza problemi, – risponde Kathleen – forse due o tre se avessimo delle trappole per abbattere l’anidride carbonica.
– Quindi se dovessimo sapere che una spedizione si dirige da quella parte, potremmo chiudere il portale e aspettare che se ne vadano. – Shauna sembra soddisfatta: – E se dovessero proprio fermarsi lì, nessuno ci impedirebbe di riaprire il portale qualche decina di chilometri più in là…
– Va bene, mi avete convinto. – Ammette Reinaldo: – Studieremo i dettagli ma direi che si può fare; meglio così, il problema dell’aria mi preoccupava.


– Allora, proviamo a riassumere. – La discussione sui particolari del progetto del primo habitat è andata avanti un paio d’ore, come normale in questi casi: – Kate procederà con i disegni, sviluppando i dettagli degli edifici e dell’arredo urbano. Nel frattempo abbiamo in parallelo essenzialmente due priorità: realizzare le infrastrutture e assicurarci una solida base economica.
– Per l’ultimo punto non dovremmo avere problemi. – Lo rassicura Massimo: – Aaron Lavi mi ha comunicato proprio ieri di essere a buon punto delle trattative con qualcuno interessato alla nostra intera produzione. – Vede che Reinaldo ha aggrottato la fronte e continua: – Lo so che può essere rischioso mettere tutte le uova nello stesso paniere, ma d’altro canto questo ci permetterebbe di risparmiare un sacco di tempo. Non so chi sia il potenziale cliente, ma per comprare oro per quasi mezzo miliardo di dollari all’anno immagino si tratti di un governo e, conoscendo Lavi, credo di immaginare anche quale possa essere.
– Questa è una buona notizia, – interviene Jane – perché la produzione procede già da più di un mese a ritmo pieno e abbiamo in magazzino quasi otto quintali di lingotti.
– Bene, allora procediamo. – Conferma Reinaldo: – Dovremmo anche pensare a costituire delle riserve in valuta, possibilmente differenziando tra le quattro o cinque valute più forti, in modo da poter garantire realmente la convertibilità degli stipendi che pagheremo in lunari.
Si guarda intorno e poi riprende: – Sì perché adesso siamo al punto in cui dobbiamo cominciare ad assumere un bel po’ di gente, soprattutto operai e tecnici, quindi dovremo avere il modo di pagarli.
– Quanta gente? – Chiede Dimitri.
– Il più possibile, compatibilmente con le strutture disponibili. – Spiega Reinaldo: – Finché non avremo costruito il primo habitat non possiamo avere più di un centinaio di persone residenti in questa base, in realtà probabilmente ci pesteremmo i piedi a vicenda quando saremo poco più di cinquanta; d’altra parte per rendere abitabile l’habitat ci servono muratori, carpentieri, idraulici, elettricisti, falegnami, eccetera, per non parlare di ingegneri e tecnici per realizzare gli impianti per desalinizzare l’acqua, produrre energia elettrica, gestire gli scarichi…
– Troppo lavoro per poche decine di persone! – Fa notare Myra.
– Certamente, quindi dovremo lavorare per gradi: quando avremo il progetto definitivo dell’habitat lo costruiremo noi, cioè lo farà l’Osservatore seguendo i progetti di Kate, ottenendo una specie di guscio vuoto; dopo di che avremo una prima serie di squadre di operai che ne renderà completamente abitabile una prima parte e a quel punto avremo spazio per ospitare altri operai che permetteranno di procedere più velocemente.
– Quindi quello che hai in mente è una specie di accampamento di operai in crescita esponenziale? – Chiede Massimo.
– Più o meno. In realtà mentre l’habitat si sviluppa dovremo cominciare a diversificare le competenze della popolazione: dovremo avere medici, negozianti, cuochi, camerieri, impiegati di banca, addetti al personale… Però l’idea di base è quella: abbiamo detto che il primo habitat potrà contenere una popolazione di mille, millecinquecento persone, l’ideale sarebbe che quando sarà completo fosse già pieno almeno per metà.
– E le infrastrutture di cui parlavi prima? – Insiste Shauna.
– Quelle dovranno procedere in parallelo, dovranno essere già pronte per quando la popolazione comincerà a crescere rapidamente. Per questo pensavo di aprire una nuova società sulla Terra, che si occupi della progettazione e realizzazione di grandi impianti: all’inizio assumeremo ingegneri già specializzati nel tipo di strutture che ci servono e lavoreranno sulla Terra, anche se necessariamente dovranno sapere che stanno progettando macchine che dovranno funzionare sulla Luna. Quando sarà il momento di comprare gli apparati e installarli qui, dovremmo essere già pronti per assumere anche la manodopera necessaria.
– Un’altra società? – Chiede Wu che si sente chiamato in causa.
– Sì, pensavo di chiamarla Helios Systems, con sede da qualche parte nell’India sudoccidentale, dalle parti di Calcutta.
– India? Non stiamo rischiando di crearci ulteriori problemi linguistici? – Osserva Myra.
– Beh, è un problema che comunque dovremo affrontare prima o poi. – Reinaldo li guarda tutti negli occhi: – Vi ricordo che il mio obiettivo primario in tutta questa faccenda è di permettere al maggior numero possibile di persone di accedere nel minor tempo possibile alle terapie di ringiovanimento ereditate dal Popolo, e che nel fare questo dovremmo cercare in tutti i modi di minimizzare la discriminazione per origine etnica o linguistica! E un modo per ridurre la discriminazione è proprio di cominciare sin dall’inizio ad assumere personale proveniente da culture diverse: da un lato evitiamo di fossilizzarci in un singolo modello culturale, dall’altro ci creiamo delle entrature in paesi diversi: ad esempio, se adesso assumiamo personale indiano, quando apriremo all’immigrazione di massa avremo già a disposizione dei contatti in India e personale che parla almeno qualcuna delle lingue locali.
– Ma in questo modo – insiste Myra – non rischiamo di trovarci con una Babele? Con una città che ancora non è nata e già si frammenta in gruppi che parlano decine di lingue differenti?
– La soluzione è semplice, – risponde Reinaldo – ma non vi piacerà. Dobbiamo definire una lingua ufficiale e obbligare tutti i residenti a impararla e a utilizzarla. Poi è ovvio che ciascuno manterrà anche la propria lingua madre, e che probabilmente continuerà a utilizzarla in famiglia, ma nel complesso la nostra popolazione dovrà essere bilingue, almeno nella prima generazione.
– E che lingua vorresti adottare, l’inglese? O il catalano? – Scherza Shauna.
– È questa la parte che non vi piacerà, l’inglese è inaccettabile come lingua ufficiale. – Aspetta che il mormorio si zittisca e poi continua: – È una lingua troppo difficile da imparare bene per uno che non sia nato in un paese anglofono: già il fatto che la lingua scritta e parlata siano sostanzialmente differenti costringe a imparare due volte ogni parola e inoltre ha una sintassi e una grammatica piena di eccezioni. Adottare l’inglese significherebbe dare un vantaggio spropositato a chi proviene da paesi anglofoni e, anche se in misura minore, dai paesi europei in genere.
– E quindi cosa sceglieresti? Il cinese?
– Peggio ancora, e per gli stessi motivi. L’ideale sarebbe una lingua semplice da imparare, con una grammatica semplice e regolare, con un’ortografia che rispecchi la pronuncia senza troppe eccezioni e, idealmente, che non conferisca un vantaggio a un gruppo etnico specifico.
– Quindi vorresti inventare appositamente una lingua artificiale? Dimmi che non sei davvero impazzito… – Lo implora Shauna.
– No, non pensavo di inventarla, dato che ci ha già pensato qualcun altro. L’Esperanto è stato creato apposta per questo tipo di situazione: una lingua facile da apprendere e assolutamente regolare. Non è veramente neutra, in quanto sia la sintassi che il lessico sono basati sulle lingue indoiraniche, ma è probabilmente la migliore scelta disponibile: esiste un bel po’ di letteratura in esperanto, esistono vocabolari e grammatiche scritti in quasi tutte le lingue del mondo proprio allo scopo di insegnarlo come seconda lingua…
Si guarda intorno: – Ve l’avevo detto che la mia idea non vi sarebbe piaciuta.

4 commenti su “17 – Costituente”

  1. Propongo il latino! 🙂
    Per quanto riguarda vivere sulla Luna con un sesto di gravità vedo problemi a lungo termine.
    Meglio fare un pendolarismo frequente.
    Altra cosa, da buon fanatico dei backup, se l’Osservatore si guasta? Non sarebbe meglio costruirne un secondo?

    1. No, il latino non è altrettanto semplice e regolare dell’esperanto, e tende ancora di più a favorire chi proviene dall’area dell’Europa occidentale.
      Ti ricordo che il Testimone dell’Osservatore risiedeva sulla Luna (presumibilmente con un minimo di staff) per un anno consecutivo. È evidente, anche se non (ancora) detto esplicitamente, che i problemi medici legati alla lunga permanenza in bassa gravità erano stati già affrontati e risolti dal Popolo.

  2. ok, quindi qua per la prima volta si legge il piano di Reinaldo. (non costruire la città quanto prendere quanta più gente possibile). E dici che non l’ha detto ad Andrew? O meglio: a questo punto cosa può avergli davvero detto?

    1. Sono abbastanza sicuro che l’avesse gia’ detto a Massimo nel capitolo 9, o giu’ di li’…

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