Capitolo 14


Una lettera dal limes – Contrattazioni

Arelate, a.d. III Id. Mai. 873 AUC

– È arrivata stamattina, – disse Marco all’amico che aveva appena incontrato al foro – l’ha portata da Castrum Mogontiacum un miles che è stato congedato per motivi di salute.
– E cosa dice il nostro Lucio? – Chiese Tito.
– Che sta bene e che la vita del legionario non è poi così male, almeno se sei un praefectus. – Si misero a ridere: – Dice che in questi due mesi non ha ancora partecipato a nessuna azione significativa: nonostante sia un ufficiale i suoi superiori lo trattano ancora come un tiro, un novellino. Però pare che nella zona ci sia un certo fermento: gli Suebi sono in agitazione e spingono sui confini dei nostri alleati germani; Lucio dice che ci sono già state infiltrazioni e razzie e che, nonostante la guarnigione di Mogontiacum sia sostanzialmente di retroguardia, sono costantemente all’erta e vengono effettuate continuamente spedizioni di là dal Rhenus, quindi si aspetta di venir mobilitato anche lui da un momento all’altro.
– Ma è terribile! Quindi si troverà a dover combattere contro i germani?
– Penso di sì, ma d’altra parte è a questo che servono le legioni: a combattere. Altrimenti cosa le terremmo a fare?
– Già… Ma l’idea di Lucio a combattere contro i germani mi sembra così strana. – Tito sorrise: – Proprio lui, che sosteneva che le legioni servono solo a tenere sottomesse le province come la nostra…
– Da quello che scrive sembra proprio che stia cambiando opinione. – Anche Marco stava sorridendo: – Adesso parla delle legioni come l’unico baluardo che protegge la Gallia dal caos e dall’invasione dei barbari dell’est…
– Lucio? Stai scherzando?
– Per niente. Leggi cosa scrive:

Ci chiamano romani, con disprezzo, uomini che vivono a pochi giorni di cammino da nemici che li farebbero fuggire terrorizzati e ridurrebbero in macerie i loro villaggi, se non fossero incessantemente protetti. Eppure non vorremmo che fosse diversamente: che fossero esposti e coscienti di questi pericoli da cui noi li proteggiamo.

– Sì, è proprio il nostro Lucio, – rise Tito – riconosco il suo stile ampolloso. È buffo come si possa cambiare idea su una cosa come questa in pochi mesi.
– È quello che ho pensato anch’io leggendo la sua lettera, ma le sue parole corrispondono a quello che diceva mio padre, sul fatto che noi qui ad Arelate siamo tenuti così al sicuro da non renderci nemmeno conto del pericolo da cui veniamo protetti.


– Marco mi ha detto che ci tenevi particolarmente a incontrarmi per qualcosa che riguarda il Palladium, posso sapere di che cosa si tratta?
Tito Canio Rufo era seduto sulla cathedra nel tablinium della sua domus, con Annia Vera seduta di fronte a lui.
– È presto detto, flamen, – rispose lei in un tono quasi di sfida – volevo chiederti se avete già deciso quale sarà la politica del Palladium per quanto riguarda la partecipazione alle lezioni di allievi appartenenti ai ceti più poveri.
– È una domanda curiosa, Annia Vera, – rispose lui con cautela – non è che abbiamo previsto una politica specifica: la partecipazione alle lezioni del Palladium sarà subordinata al pagamento di una retta di iscrizione annuale, che servirà a coprire i costi della struttura e l’onorario degli insegnanti.
– È più o meno quello che mi aspettavo, ma non credo che sia una scelta giusta o saggia. In questo modo l’accesso agli studi sarà sempre limitato a quei pochi privilegiati che possono permettersi di pagare.
– Sì, ma non saranno più così pochi! Il fatto stesso di avere molti allievi che seguono contemporaneamente una lezione permetterà di ridurre il costo dell’istruzione a livelli accettabili per molte più famiglie. Oggi, con il fatto che ciascuno deve assumere individualmente dei tutori o dei professori per i propri figli, l’istruzione superiore è alla portata solo dei ricchi; uno dei nostri obiettivi, dei miei obiettivi, nel fondare il Palladium è proprio quello di rendere l’istruzione accessibile a molti invece che a pochi.
– È certamente un buon inizio, flamen, – gli concesse Vera – ma io pensavo a qualcosa di più radicale: invece di allargare la possibilità di avere un’istruzione dai pochi ai molti, perché non pensare di allargarla a tutti?
– Che sciocchezza!
– Perché pensi che sia una sciocchezza? – Chiese Vera seccata: – Fino a poco tempo fa non sarebbe sembrata una sciocchezza anche la tua idea?
– Ci sono almeno tre buoni motivi per cui la tua proposta è insensata. Prima di tutto – cominciò ad enumerare – da un punto di vista economico: un conto è pagare insegnanti per un centinaio di allievi o poco più, ben diverso sarebbe se gli studenti fossero migliaia.
– Il secondo punto – continuò rapidamente, bloccando sul nascere la replica di Vera – riguarda l’aspetto pratico: la maggior parte della popolazione di questa città è appena capace di leggere e scrivere. Aprire a tutti l’accesso al Palladium significherebbe abbassare drasticamente il livello delle lezioni: gli insegnanti dovrebbero adattare il loro linguaggio e il loro pensiero per farsi capire dai meno istruiti tra i loro ascoltatori, e questo pregiudicherebbe la qualità del loro insegnamento.
– Infine, se davvero permettessimo a tutti di studiare, chi coltiverebbe la terra? – Chiese ironico: – Un’istruzione superiore di massa, come sembra che sia quello che tu vorresti, non ci porterebbe ad avere una città piena di dottori e senza neanche un contadino o un commerciante?
Annia Vera era rimasta ad ascoltare senza interrompere, ma si vedeva che era sul punto di esplodere: – Scusami flamen, ma adesso sei tu che stai dicendo sciocchezze. Rendere l’istruzione accessibile a tutti, non significa certo che tutti si metterebbero a studiare retorica o medicina! – Abbassò un po’ il tono di voce: – Certamente non tutti i contadini e commercianti di Arelate potrebbero, o vorrebbero, avere un’istruzione superiore; ma ci sono alcuni, forse molti, che la meritano e non possono permettersela e, sulla base di quanto hai detto prima, non se la potranno permettere mai.
– Può darsi che tu abbia ragione, ma che cosa ci potrei fare io? – Le rispose brusco Canio Rufo: – Come risposi una volta a Iulio Enobarbo, il Palladium è un’impresa commerciale e finanziaria, non un’opera di filantropia.
– Comprendo, flamen. Lascia però che ti porti come esempio un caso specifico: forse sai che da circa due anni sto aiutando un gruppo di una dozzina di bambini e giovani di una villa nella campagna a nord di Arelate: insegno loro a leggere, scrivere e far di conto. La maggior parte di loro, in due anni, ha imparato a leggere e a scrivere abbastanza bene e un paio di loro hanno mostrato un discreto interesse nell’aritmetica.
– Questo è molto bello da parte tua, ma da questo al livello di istruzione di cui stiamo parlando per il Palladium…
– Non ho finito, flamen. Tra questi miei allievi c’è una ragazza, una certa Adiega, che non ha ancora compiuto i quindici anni. Tre anni fa era analfabeta, dall’anno scorso aiuta i suoi fratelli minori a studiare quando io non ci sono. In seguito alle sue domande sempre più specifiche, a cui spesso non sapevo rispondere, quest’autunno le ho prestato una copia degli Elementa di Eukleides pensando, con una certa cattiveria, di darle un boccone troppo grosso per essere digerito.
Canio Rufo sembrava suo malgrado interessato al racconto di Vera: – E invece…?
– E invece ha letto tutti i tredici libri degli Elementa in poco più di due mesi e, da quanto posso giudicare, ne ha anche capito il contenuto. È dalla fine dell’inverno che mi sommerge di domande e interpretazioni su questo o quell’altro aspetto della geometria dei solidi. È chiaramente arrivata a un punto in cui io non posso più aiutarla né seguirla e mi sembra un delitto che non abbia la possibilità di proseguire gli studi con un insegnante migliore di me, solo perché viene da una famiglia di peregrini e non è ricca.
– Capisco il tuo punto di vista, ma cosa posso farci io?
– Non lo so, flamen, ma non sei stato tu a dire una volta che la possibilità di avere un numero maggiore di medici e architetti è una ricchezza che il nostro paese non dovrebbe rischiare di sprecare? Quello che ti sto dicendo è che ci sono nella nostra città, e anche nelle campagne, giovani che potrebbero diventare grandi medici o filosofi se avessero i mezzi per studiare, e non credo che questa sia una risorsa che possiamo permetterci di buttare via.
– D’accordo. Supponiamo per un attimo di poter trovare un modo per individuare questi giovani poveri ma promettenti: dove li troviamo i soldi per pagare i loro studi?
– Dagli studenti più ricchi, naturalmente, – rispose pronta Vera – da dove altrimenti?
– Uhm… sì, si potrebbe anche fare. – Meditò Canio Rufo: – Potremmo avere rette dipendenti dal censo: i più ricchi pagherebbero di più, mentre i più poveri di meno. Naturalmente – aggiunse – bisognerebbe trovare un modo per limitare l’accesso a queste agevolazioni ai soli studenti più meritevoli.
– Questo non dovrebbe essere difficile, flamen, basterebbe istituire un qualche tipo di esame di ammissione. Come ti ho detto, non ti sto chiedendo di aprire le porte a tutti, ma solo ai più dotati; a quelli che, avendo la possibilità di studiare, arricchirebbero il nostro paese.
– Ci penserò, e ne parlerò anche con gli altri soci. Forse – aggiunse sovrappensiero – potremmo chiedere al proconsole se ci può fare avere un contributo dall’aerarium, per queste sovvenzioni agli studenti meno abbienti.
Tito Canio Rufo non lo notò, ma a quest’ultima sua osservazione sul viso di Annia Vera era improvvisamente comparsa un’espressione di puro odio.

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