Capitolo 16


Bioko, a.d. VIII Kal. Sext. 874 AUC

Diario del trierarca I. Tiberio Dominico, nave da esplorazione Inceptio.
L’epidemia di febbre sembra finalmente recedere: da tre giorni non abbiamo nuovi ammalati. Complessivamente quattordici milites hanno avuto attacchi di febbre terzana, tutti con la stessa modalità: brividi, sudore, in qualche caso delirio; l’attacco durava circa sei ore e poi si attenuava, per riprendere nello stesso modo ogni terzo giorno.
Nonostante le cure di Gibil, tre di loro sono arrivati alla fase delle convulsioni e del delirio e sono morti. Il nostro medico sostiene che gli altri sono probabilmente ormai fuori pericolo, anche se avranno bisogno di tempo e di riposo prima di riprendersi completamente; al momento sono affidati alle sue cure nel valetudinarium che ha allestito nello spazio tra il ponte e il disco, all’interno del castello di poppa
Purtroppo pare proprio che la previsione di Tolomeo si rivelerà corretta: dopo aver lasciato l’accampamento di Finis Africae abbiamo proseguito per nove giorni la navigazione in direzione est e, proprio quando ormai sembrava certo che avremmo potuto continuare così fino a tornare in Egitto, la costa ha improvvisamente curvato verso destra, riprendendo la direzione sud.
Anche se sapevamo sin da prima di partire che questo sarebbe stato un viaggio molto lungo, della durata forse di diversi anni, dopo più di quattro mesi di navigazione praticamente ininterrotta l’equipaggio non ha preso molto bene questa speranza subito abortita di un rapido ritorno verso la civiltà.
È forse anche per questo motivo che ho risposto un po’ troppo bruscamente a Claudio Tolomeo, ma d’altra parte la sua richiesta era assurda: pretendeva che tornassimo indietro di quasi cento miglia solo perché ha dimenticato all’accampamento di Finis Africae il libro di Aristotele che stava studiando. Dopotutto potrà procurarsi un’altra copia del trattato sulla commedia quando tornerà ad Alexandria, non è che sia difficile acquistare una copia delle opere dello Stagirita.
Poche decine di miglia dopo aver cambiato rotta abbiamo visto sulla nostra destra un breve tratto di costa dominato da un’alta montagna; sembrerebbe un’isola che, per le sue dimensioni e per la presenza imponente del picco, ricorda l’Insula Ninguaria che abbiamo lasciato dietro di noi da molti mesi.
Abbiamo nuovamente bisogno di acqua fresca e credo che una sosta farà bene al morale dell’equipaggio. Ho dato pertanto l’ordine di avvicinare la nave alla costa e cercare un luogo adatto all’approdo.

– Vicino a quella spiaggia sembra che ci sia la foce di un fiume.
Dominico si sporse dalla murata per vedere meglio:– Andiamo a vedere. Sobadako, portaci laggiù.
La nave si stava avvicinando alla costa dell’isola, quando Aktis inarcò un sopracciglio indicando qualcosa: – Trierarca, si direbbe che su quella spiaggia qualcuno ci stia aspettando.


Il trierarca Dominico, l’interprete Azrur e sei milites approdarono con una delle scialuppe della Inceptio alla spiaggetta sabbiosa.
I sette guerrieri che li stavano aspettando non si erano mossi di un pollice: perfettamente allineati, neri come etiopi, alti più di sei piedi, con una lancia alta più di loro dalla punta in ferro a forma di foglia e un piccolo scudo ovale legato all’avambraccio sinistro. Non avevano un atteggiamento aggressivo ma la loro stessa immobilità li rendeva stranamente inquietanti, persino minacciosi.
I romani si disposero quasi istintivamente in un’analoga formazione e Dominico avanzò da solo, senza elmo né scutum e a mani vuote ma con il gladio appeso al cingulum, fino a trovarsi a tre passi di distanza da quello che sembrava il capo, almeno a giudicare dagli ornamenti che indossava: – Veniamo in pace, abbiamo solo bisogno di fare rifornimento di acqua.
Il guerriero di fronte a lui sembrò perplesso e poi rispose con un flusso di parole incomprensibili.
Dominico si rivolse ai suoi dietro di lui, senza voltarsi: – Azrur, credo che qui abbiamo del lavoro per te.

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