Capitolo 106 La verità, parte III

Articolo originale
Eliezer Yudkowsky

Dopo un solo passo nella stanza proibita di Silente, Harry strillò e saltò all’indietro e si scontrò col professor Snape, finendo entrambi per terra.
Il professor Snape si ricompose e riprese a stare in piedi davanti alla porta. La sua testa localizzò Harry. “Sto vigilando su questa porta per ordine del Preside”, disse il professor Snape col suo solito tono beffardo. “Si allontani subito, o dedurrò punti-Casa.”
Quello era raccapricciante fin dentro le ossa, ma l’attenzione di Harry era impegnata dal gigantesco cane a tre teste che era balzato in avanti, per essere poi fermato a qualche metro da Harry dalle catene serrate ai suoi tre collari.
“Quel – quel – quel –” fece Harry.
“Sì”, disse il professor Quirrell molto dietro di lui, “quello è infatti il consueto occupante della camera, che è interdetta all’accesso per tutti gli studenti, specie quelli del primo anno”.
Questo non è prudente neppure secondo gli standard dei maghi!” All’interno della stanza, l’enorme bestia nera emise un urlo a più voci, chiazze bianche di saliva che volarono da quelle tre fauci zannute.
Il professor Quirrell sospirò. “È incantato in modo che non magli gli studenti, si limita a risputarli fuori dalla porta. Ora, ragazzo, come ci suggerirebbe di affrontare questa pericolosa creatura?”
“Uh”, balbettò Harry, cercando di riflettere malgrado il ruggito continuo del guardiano della stanza. “Uh. Se è come il Cerbero della leggenda babbana di Orfeo e Euridice, allora dobbiamo cantare fino a farlo addormentare in modo da poter passare –”
Avada Kedavra.
La bestia a tre teste cadde a terra.
Harry si girò a guardare il professor Quirrell, che gli stava rivolgendo un’espressione di estremo disappunto, come per chiedergli se avesse mai frequentato le sue lezioni.
“Diciamo che avevo supposto”, disse Harry, cercando ancora di riprendere fiato, “che portare a termine questa sfida in qualche modo diverso da quello usato dagli studenti del primo anno potesse forse far scattare un allarme”.
“Quella è una bugia, ragazzo, semplicemente non si è ricordato delle sue lezioni quando ha fronteggiato la circostanza nella vita reale. Quanto agli allarmi, ho speso mesi confondendo tutte le protezioni e gli avvertimenti in queste camere.”
“Allora perché mi manda dentro per primo, esattamente?”
Il professor Quirrell si limitò a sorridere. Sembrava decisamente più cattivo del solito.
“Fa niente”, disse Harry, e camminò lentamente dentro la stanza, i suoi arti ancora tremanti.
La camera era tutta di pietra, illuminata da una pallida luce azzurra che splendeva dalle nicchie arcuate scavate nel muro; come se la luce di un cielo grigio passasse attraverso delle finestre, sebbene non vi fossero finestre. All’estremità opposta della camera c’era una botola di legno sul pavimento, con attaccato un solo anello. Nel centro della camera giaceva un gigantesco cane morto con tre teste inanimate.
Harry si girò verso una delle nicchie arcuate e vi guardò dentro. Non c’era nulla là eccetto il bagliore blu senza origine, così avanzò e guardò nella successiva, esaminando anche il muro mentre vi passava davanti.
“Cosa”, disse il professor Quirrell, “sta facendo?”
“Sto ispezionando la stanza”, disse Harry. “Potrebbe esserci un indizio, o un’iscrizione, o una chiave di cui potremmo aver bisogno in seguito, o qualcosa –”
“Dice sul serio, o sta deliberatamente cercando di rallentarci? Risponda in Serpentese.”
Harry si voltò. “Dicevo ssul sserio”, sibilò. “Avrei fatto lo sstessso sse fosssi venuto da ssolo.
Il professor Quirrell si massaggiò brevemente la fronte. “Confesso”, disse, che il suo approccio potrebbe esserle utile, diciamo, nell’esplorazione della tomba di Amon-Set, quindi non la definirò esattamente un idiota, eppure… Il falso enigma, la forma esterna della sfida, è un gioco pensato per bambini del primo anno. Noi scenderemo semplicemente giù per la botola”.
Sotto la botola c’era una gigantesca pianta, qualcosa di simile ad un’enorme dieffenbachia con ampie foglie che spuntavano da un gambo centrale come una scala a chiocciola, ma di un colore più scuro di una dieffenbachia, con rampicanti simili a viticci che emergevano dal gambo centrale e spenzolavano verso il basso. La base si espandeva con foglie e rampicanti più grandi, come per promettere di attenuare la caduta di chiunque. Al di sotto c’era un’altra camera di pietra come simile alla prima, con le stesse nicchie simili a false finestre arcuate, che emettevano la stessa luce grigio-blu.
“Il pensiero scontato è di volar giù sul manico di scopa nella mia borsa, o di gettare qualcosa di pesante per vedere se quei viticci sono delle trappole”, disse Harry, sbirciando in basso. “Ma immagino che mi dirà che scendiamo semplicemente lungo le foglie.” Certamente sembrava che fossero pensate per essere una scala a chiocciola.
“Dopo di lei”, disse il professor Quirrell.
Con estrema cautela Harry posò il piede su di una foglia e scoprì che infatti sosteneva il suo peso. Allora Harry diede un’ultima occhiata in giro per la stanza prima di partire, per vedere se c’era qualcosa degno di essere notato.
L’enorme cane morto attirava abbastanza l’attenzione su sé stesso che era difficile concentrarsi su qualcos’altro.
“Professor Quirrell”, disse Harry, omettendo la frase il suo approccio alla gestione degli ostacoli ha alcuni inconvenienti, “e se qualcuno guardasse dietro la porta e vedesse il Cerbero morto?”
“Allora avrà probabilmente già notato qualcosa di sbagliato in Snape”, disse il professor Quirrell. “Ma poiché insiste…” Il Professore di Difesa si mosse verso il cadavere a tre teste e vi appoggiò contro la propria bacchetta. Iniziò un incantamento che suonava in latino e che fu accompagnato da una sensazione di crescente apprensione, il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto che sentiva il potere del Signore Oscuro come aveva sempre fatto.
L’ultima parola pronunciata fu “Inferius” e fu accompagnata da un’ultima ondata di fermo, non farlo.
E il cane a tre teste si rimise in piedi, i suoi sei occhi spenti e assenti, e si girò a vigilare la porta ancora una volta.
Harry fissò l’enorme Inferus con un’orribile sensazione di irrequietezza nel suo stomaco, la terza peggiore sensazione che avesse mai provato in tutta la sua vita.
Allora seppe che aveva visto e percepito questa procedura in passato, solo senza che venisse pronunciato il latino.
Il centauro che lo aveva fronteggiato nella Foresta Proibita era morto. Il Professore di Difesa l’aveva colpito con un vero Avada Kedavra, non uno fasullo.
Da qualche parte nei recessi della sua mente, Harry aveva pensato che se avesse potuto riportare indietro Hermione allora sarebbe potuto tornare al codice in cui nessuno moriva, all’etica di Batman, la maggior parte delle persone vivevano le loro intere vite senza che qualcuno fosse ucciso quali che fossero le avventure che vivessero.
E non sarebbe stato così.
Non se n’era neppure accorto, il giorno che aveva perso la sua ultima possibilità di vincere. Anche se Hermione fosse risorta, ora, Harry non avrebbe attraversato tutto quel disordine senza che nessuno fosse stato ucciso.
Non aveva neppure saputo il nome del centauro.
Harry non disse nulla ad alta voce. Il Professore di Difesa avrebbe o confermato l’accusa in Serpentese o mentito nel linguaggio normale, e in entrambi i casi avrebbe avuto altre ragioni per sospettare le successive azioni di Harry. Ma Harry comprese che – sebbene non sapesse come avrebbe fermato il professor Quirrell, sebbene non osava compiere nessun atto certo di tradimento, forse neppure il prendere la decisione, finché non fosse venuto quasi il momento di vincere – non ci sarebbe mai stato un accordo amichevole tra lui e Lord Voldemort, poiché quei due spiriti diversi non potevano esistere nello stesso mondo.
E fu come se quella decisione, quella cognizione di opposizione, invocasse una forza da ciò a cui Harry si era riferito come al proprio lato oscuro. Harry aveva smesso di fare deliberatamente appello al proprio lato oscuro dal giorno in cui aveva ucciso il troll. Ma il suo lato oscuro non era mai stato qualcosa di distinto da lui. Era stato un qualche ricordo proveniente da Tom Riddle. Harry non sapeva come ciò fosse avvenuto, ma accettando quel presupposto e sviluppandolo, quali che fossero gli eco dei talenti cognitivi del suo lato oscuro, dovevano essere disponibili per il suo uso. Non come un modo distinto, come Harry aveva inizialmente concettualizzato, ma semplicemente come schemi neurali con una forte tendenza a incatenarsi l’uno all’altro in quanto in passato avevano formato una parte di un tutto connesso.
Questo, sfortunatamente, non cambiava il fatto che il professor Quirrell avesse le stesse capacità con molta più esperienza di vita per sostenerle, e inoltre aveva la pistola.
Harry si girò, e mise il piede sulla pianta gigantesca, e iniziò a discendere la scala a chiocciola formata dalle foglie. Questa volta Harry aveva avuto bisogno di molto tempo, ma si era ripreso a un certo livello, malgrado il dolore lo stesse ancora appesantendo come acqua pesante. Non era una fredda verga d’acciaio nella sua spina dorsale, ma era comunque qualcosa di dritto e solido. Avrebbe giocato fino in fondo, avrebbe prima atteso che Hermione fosse restituita alla vita, e poi, in qualche modo, avrebbe fermato il professor Quirrell. O avrebbe prima fermato il professor Quirrell e poi avrebbe preso la Pietra egli stesso. Doveva esserci qualcosa, qualche possibilità, qualche opportunità che si sarebbe presentata, qualche modo di fermare Voldemort e riportare in vita Hermione…
Harry continuò la sua discesa.
Dietro di lui, il cane a tre teste restò in attesa, facendo la guardia alla porta.

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