Insegno in una classe e scrivo alla lavagna tre numeri: 2, 4, 6. “Sto pensando a una regola”, dico, “che regola sequenze di tre numeri. Capita che la sequenza 2-4-6 rispetti questa regola. Ciascuno di voi ha sul banco un pacchetto di schede. Scrivete una sequenza di tre numeri su una scheda e io scriverò “Sì” se la sequenza soddisfa la regola oppure “No” in caso contrario. Dopo di che potete scrivere un’altra serie di tre numeri e chiedere se passano la regola e così via. Quando sarete convinti di aver capito la regola, scrivetela su una scheda. Potete provare quante terne volete.”
Questi sono i tentativi di uno studente:
4, 6, 2 No
4, 6, 8 Sì
10, 12, 14 Sì
A questo punto lo studente ha scritto quella che pensava essere la regola. E tu quale pensi che sia la regola? Avresti voluto provare un’altra terna di numeri, e in tal caso quali sarebbero stati? Prenditi un momento per pensarci prima di continuare.
La sfida illustrata qui sopra si basa su un classico esperimento di Peter Wason, il problema 2-4-6. Anche se i soggetti a cui è stato posto il problema erano tipicamente molto convinti delle loro ipotesi, solo il 21% ha indovinato correttamente la regola reale, e ulteriori repliche dell’esperimento hanno continuato a mostrare percentuali di successo intorno al 20%.
Lo studio si chiamava “Sull’incapacità di eliminare le ipotesi in un compito concettuale” (Quarterly Journal of Experimental Psychology, 12: 129-140, 1960). I soggetti che affrontano il problema 2-4-6 cercano in genere di produrre esempi positivi piuttosto che negativi – applicano la loro regola ipotetica per produrre un istanza rappresentativa della classe, e vedere se viene etichettato “Sì”.
Così, qualcuno che pensa all’ipotesi “numeri che aumentano a due a due” proverà la terna 8-10-12, avrà la conferma che corrisponde, e annuncerà convinto la sua regola. Qualcun altro che partirà dall’ipotesi X-2X-3X proverà la terna 3-6-9, scoprirà che anche questa corrisponde, e annuncerà la sua regola.
In tutti i casi la regola reale è la stessa: i tre numeri devono essere in ordine crescente.
Ma per scoprire questo, avresti dovuto produrre terne che non dovrebbero essere corrette, come ad esempio 20-23-26, e vedere se vengono etichettate “No”. Cosa che la gente tende a non fare, in questo esperimento. In alcuni casi i soggetti immaginano, “verificano” e annunciano regole molto più complicate di quella vera.
Questo fenomeno cognitivo è in genere considerato parte del “bias di conferma”. Tuttavia mi sembra che il fenomeno di provare a verificare esempi positivi piuttosto che negativi dovrebbe essere distinto dal fenomeno di cercare di mantenere l’idea con cui sei partito. “Bias positivo” è usato a volte come sinonimo di “bias di conferma” e si adatta molto meglio a questo particolare difetto.
Una volta sembrava che la teoria del flogisto potesse spiegare il fatto che una fiamma in un contenitore chiuso si spegne (l’aria diventa satura di flogisto e quindi non se ne può rilasciare altro), ma la teoria del flogisto avrebbe potuto altrettanto bene spiegare perché la fiamma non si spegne. Per accorgertene, devi cercare esempi negativi invece che esempi positivi, cercare lo zero invece che l’uno; il che è contrario quello che l’esperimento ha mostrato essere istintivo per gli uomini.
Perché, per istinto, noi esseri umani viviamo solo in metà del mondo.
Si può spiegare il bias positivo per giorni a qualcuno che poi, alla prova dei fatti, ci casca lo stesso. Il bias positivo non è un modo sbagliato di applicare la logica, non è nemmeno una questione di attaccamento emotivo. Il problema 2-4-6 è “freddo”, logico, non affettivamente “caldo”. Eppure l’errore è sub-verbale, a livello delle immagini, delle reazioni istintive. Perché il problema non nasce dal fatto di seguire deliberatamente una regola che dice “pensa solo ad esempi positivi”, non può essere risolto dalla pura conoscenza verbale che “Dovremmo pensare sia a esempi positivi che negativi”. Quali esempi ti saltano in mente automaticamente? Devi imparare, senza parole, ad andare zag invece che zig. Devi imparare a pendere verso lo zero, invece che allontanartene.
Ho già scritto molto sull’idea che la forza di un’ipotesi sta in quello che non può, non in quello che può spiegare: se sei costantemente capace di spiegare qualunque risultato, hai conoscenza zero. Così, per accorgerti che una spiegazione non è molto utile, non è sufficiente pensare a cosa spiega molto bene: devi anche verificare risultati che essa non potrebbe spiegare. Questa è la vera forza di una teoria.
Così io ho detto queste cose e poi, ieri, ho attaccato l’utilità del concetto di “emergenza”. Un commentatore ha citato la superconduttività e il ferromagnetismo come esempi di emergenza. Ho risposto che anche la non-superconduttività e il non-ferromagnetismo sono esempi di emergenza, e che questo è il problema. Ma lungi da me criticare il commentatore in questione! Nonostante avessi letto estensivamente sul “bias di conferma”, non ho capito il trucco del problema 2-4-6 la prima volta che ne ho letto. È una reazione automatica sub-verbale che deve essere riaddestrata. Io stesso sto ancora lavorandoci sopra.
Molto dell’abilità di un razionalista è al di sotto del livello verbale. È una sfida difficile cercare di comunicare l’Arte attraverso articoli su un blog. La gente sarà d’accordo con voi e poi, nella frase successiva, farà qualcosa di sub-deliberativo che va nella direzione opposta. Non mi sto lamentando! Uno dei motivi principali per cui sto scrivendo qui è per osservare cosa le mie parole non riescono a comunicare.
In questo momento stai cercando esempi di errori dovuti a bias positivo o spendi una parte della tua ricerca su cosa il bias positivo ti potrebbe portare a non vedere? Guardi verso la luce o affronti l’oscurità?