Quando riaprii gli occhi pensai che dovevo essere svenuto di nuovo, ma questa volta non riuscii a capire dove mi trovavo.
Sicuramente non ero sul divano e neanche in casa, sopra di me vedevo un cielo – o un soffitto? – completamente nero, ed ero sdraiato su qualcosa di duro ed estremamente scomodo. Non assomigliava per niente a quello che mi sarei immaginato dell’interno di un’ambulanza e non era certamente neanche una stanza di ospedale. Provai a tirarmi su con cautela, pronto a sentire di nuovo quell’orribile senso di vertigine, ma la mia testa sembrava essere tornata a posto e quindi mi alzai lentamente in piedi e mi guardai intorno.
Mi trovavo su un tavolato di legno lungo una quindicina di metri e largo al massimo due, sotto il quale sentivo lo sciacquio delle onde, evidentemente un molo o una passerella priva di parapetto; mi affacciai con prudenza e quello che vidi confermò l’ipotesi: una distesa d’acqua calmissima, mossa solo da delle leggere onde alte pochi centimetri che facevano un lieve rumore di risucchio urtando i piloni del pontile. Da una parte il molo puntava verso il mare – o era un lago? – dall’altra terminava ai piedi di una scogliera praticamente verticale, di cui non riuscii a stimare l’altezza. Non si vedeva altro.
In effetti, era già strano che si vedesse qualcosa: non c’era nessuna fonte di luce, né sole, né luna né un lampione o qualcosa del genere, il cielo era perfettamente nero, ma guardandomi intorno vedevo gli oggetti e anche i colori. Però non c’erano ombre, sembrava che l’illuminazione fosse diventato un lusso superfluo.
– Curioso, sempre più curioso. – Credevo di avere solo pensate queste parole, ma evidentemente le avevo pronunciate ad alta voce, perché qualcuno alle mie spalle mi rispose.
– Sì, questo posto sembra sempre strano, la prima volta che lo vedi. D’altra parte quasi nessuno ha il tempo di abituarcisi, dato che questo è solo il punto di partenza.
Mi girai lentamente – ero sicuro che un attimo prima non ci fosse nessun altro oltre a me sul molo – e vidi chi aveva parlato: un omone, probabilmente abbastanza anziano a giudicare dalla barba e dai capelli bianchi, ma decisamente ben piantato. Impeccabilmente vestito da pirata. – Partenza per dove? E dove siamo esattamente? E poi, – aggiunsi quasi come un ripensamento – tu chi sei se posso chiedertelo?
– Hai ragione Azrael, scusa se non mi sono presentato prima. Io sono il Capitano Mosey
– Quel Capitano Mosey, quello della Nave Pirata sul Monte Salsa?
Mosey fece una smorfia seccata: – Ancora con quella vecchia storia, sono tremila anni che tutti me la rinfacciano! Ero un cuoco, allora, come avrei dovuto sapere dove trovare una nave? Comunque, – riprese calmandosi un po’ – dovresti aver già capito cos’è questo posto: – indicò con il braccio tutto intorno a noi – siamo nel Firmamento e da qui si parte per raggiungere il Vulcano.
Ecco, devo dire che effettivamente un sospetto lo avevo già avuto, ma sentirmelo dire così a freddo mi fece un certo effetto: – Vuoi dire che io sono…
– Eh sì, l’ambulanza non è arrivata in tempo e tutto quello che il medico ha potuto fare è stato di constatare il decesso.
– Oh… E adesso cosa succede?
– Cosa vuoi che succeda, le hai lette le Scritture. Adesso prendi quella – e indicò una barchetta a remi ormeggiata a uno dei piloni, strano che non l’avessi notata prima – e remi verso il Vulcano. È un lungo tragitto, ma prima o poi ci arriverai, come tutti.
A dire la verità la prospettiva non mi attirava molto. Io sono sempre stato uno legato alla terra, alle colline. Magari alle montagne, ma il mare proprio no, non ho neanche mai imparato a nuotare! Già l’idea di salire sul quella specie di guscio di noce non mi piaceva molto, pensare poi di doverla governare, in mare, verso una destinazione sconosciuta… – Ma io non ho la minima idea di come si porta una barca. E poi come faccio a sapere in che direzione andare?
– È semplice: sali a bordo, ti metti a sedere e cominci a remare. E per quanto riguarda la destinazione non c’è problema, la vedi quella luce laggiù?
Indicò con la mano in una direzione ed effettivamente si vedeva una scintilla di luce, come una stella abbastanza bassa sull’orizzonte che in questo cielo completamente vuoto era impossibile non vedere. – E quella è…
– Il Vulcano. Vai in quella direzione e non ti puoi sbagliare, prima o poi arrivi per forza.
– Quindi esistono davvero il Vulcano che erutta Birra e la Fabbrica di Spogliarelliste? Pensavo fosse solo, come dire, un’immagine poetica.
– Beh, la fabbrica è un un’esagerazione, il Profeta Bobby a volte si è fatto un po’ prendere la mano. D’altra parte, ti pare che abbia senso? Cioè cosa ti aspettavi, una fabbrica di bambole gonfiabili o un posto pieno di persone vere create senza libero arbitrio? Tutta la storia della Fabbrica è evidentemente un nonsense, un po’ come la faccenda delle urì nel Corano. Però è vero che laggiù la maggior parte delle persone non si preoccupa di vestirsi, tanto il clima è sempre ottimale, quindi in un certo senso il Vulcano è una specie di immenso campo di nudisti. – Mosey si lisciò la barba con aria pensierosa: – Mentre il Vulcano esiste, eccome! È una montagna altissima e lungo le sue pendici ci sono una quantità di bocche che eruttano in continuazione birra di ogni tipo che si raccoglie in fiumi che scendono fino a valle.
– Dev’essere un bel po’ affollato come posto, non so se mi piacerà…
– Di gente ce n’è un sacco anzi, per essere precisi, ci sono proprio tutti. Però il Vulcano è così grande che c’è davvero abbastanza spazio, anche per chi preferisce la solitudine. E poi non è che tu abbia molte alternative, a meno che tu non preferisca rimanere qui, che non è un luogo molto accogliente.
Mi guardai di nuovo intorno e mi resi conto che aveva ragione: c’era il molo, con i suoi trenta metri quadri scarsi di tavolato di legno grezzo, una parete di roccia ripida e quasi verticale, di cui non si poteva vedere la cima – o che forse non aveva una cima, stavo cominciando a rendermi conto del significato della parola “infinito”… – e il mare, a perdita d’occhio. Nient’altro, oltre a me e Mosey: – Quanto ci vorrà per arrivare al Vulcano? È molto lontano da qui?
– Questo dipende solo da te, le distanze, sia nel tempo che nello spazio, sono molto soggettive da queste parti. C’è chi dice che tutto sommato non è un viaggio così lungo, altri sostengono che dura come una vita intera… D’altronde anche una vita intera non è che un niente in confronto all’eternità, e dovresti cominciare ad abituarti al fatto che quando il tempo a tua disposizione è letteralmente infinito, non c’è davvero più nessun motivo di avere fretta.
– Ma non … – Stavo per chiedere se non avrei rischiato di morire di fame, ma mi trattenni in tempo: era ovviamente una domanda stupida: – Mi è appena venuta in mente una cosa, Capitano, se la gente anche qui apprezza la birra del Vulcano, immagino che dovremo anche mangiare; se la traversata è così lunga ci vorranno un bel po’ di provviste…
Mosey si mise a ridere: – In realtà non è che dobbiamo mangiare, o bere. Capisco che devi ancora abituarti all’idea che siamo morti. Morti. Ormai non possiamo più morire di fame, di sete o per nessun altro motivo. In realtà potresti anche smettere di respirare, se volessi, ma le abitudini sono dure a morire – fece una smorfia che poteva essere un sorriso alla sua battuta involontaria – e quindi continuiamo a respirare, mangiare e bere come prima, quando possiamo. Comunque, – aggiunse tornando serio – non preoccuparti: sul banco di poppa c’è un sacco con un po’ di provviste, ti basteranno sicuramente fino all’arrivo al Vulcano.
Tornai a guardare la barchetta, il molo, la parete di roccia… Cos’altro avrei potuto fare? Scalare la scogliera era improponibile: anche con un’attrezzatura adeguata sarebbe stata un’impresa ciclopica, forse impossibile; pensare di farlo a mani nude era semplicemente ridicolo. L’alternativa era restare qui a parlare con questo vecchio pirata, che onestamente non mi era neanche troppo simpatico, oppure mettermi a remare verso il Vulcano. Non so dire veramente perché esitassi tanto, forse in quel momento quel molo solitario rappresentava per me l’ultimo collegamento con il mondo dei vivi, salire su quella barca sarebbe stato un ammettere con me stesso che ero davvero morto.
Non sono mai stato un tipo particolarmente impulsivo, ma non ho neanche mai esitato troppo davanti all’inevitabile: salutai il Capitano e salii con cautela sulla barchetta. Mosey mi diede una mano a sciogliere la cima che la ormeggiava al pilone e la lanciò a bordo; presi i remi e comincia lentamente a vogare.